Sono tre le notizie di politica siciliana di queste ore. Sono tre notizie che si materializzano in un clima di grande confusione; basti pensare all’assenza, a quasi venti giorni dal voto del 25 Settembre, dei dati definitivi per l’attribuzione dei 70 seggi della nuova Assemblea regionale siciliana. La prima notizia è che oggi, presso il Palazzo di Giustizia di Palermo, Renato Schifani verrà proclamato presidente della Regione siciliana. Domani è previsto il passaggio di consegne tra il nuovo presidente e il presidente uscente, Nello Musumeci, cerimonia che si svolgerà a Palazzo d’Orleans, sede del Governo siciliano, nella sala dedicata al primo presidente della Regione siciliana, Giuseppe Alessi. La seconda notizia l’abbiamo già accennata: l’incertezza nella composizione del nuovo Parlamento dell’Isola. La terza notizia è una nota che il DIRSI, il sindacato dei dirigenti della Regione siciliana, ha indirizzato al presidente della Regione uscente e al nuovo presidente.
Della prima notizia c’è poco da commentare: proclamazione e insediamento del capo dell’Amministrazione regionale sono passaggi istituzionali normali. Un po’ più complicata la seconda notizia, ovvero o ritardi – che definire incredibili è poco – nello spoglio di alcune sezioni. Quanto sta accadendo merita un approfondimento perché, come vedremo, non sono da escludere, nei prossimi giorni, quando verranno completati i controlli sulle sezioni elettorali ‘sospese’, esiti clamorosi. Noi utilizziamo raramente la parola ‘clamoroso’, ma in questo caso ci sta tutta. Vediamo di illustrare il perché. Fino a questo momento risultano scrutinate 5251 sezioni elettorali su 5298. Mancano 43 sezioni nella provincia di Siracusa (42 nel capoluogo e una a Lentini); 2 sezioni ad Agrigento e 2 sezioni nel Comune di Villalba, provincia di Caltanissetta. I ritardi nelle 4 sezioni dell’Agrigentino e del Nisseno sono comunque un fatto grave, ma potrebbero anche starci; ma che all’appello, a quasi venti giorni dal voto, manchino i risultati di 43 sezioni del collegio di Siracusa, ebbene, questa è un’assurdità, oltre che un fatto grave. E’ evidente che deve essere successo qualcosa.
Ricordiamo che 43 sezioni solo nel collegio di Siracusa non sono poche. Di mezzo ci sono tanti voti. Già nei giorni scorsi qualche sorpresa è venuta fuori. Nel collegio di Messina, a primo acchito, era stato dato come eletto Luigi Genovese; poi – su ricorso della lista di Cateno De Luca – sono stati rifatti i conteggi ed è risultato eletto Alessandro De Leo, il candidato delle liste di De Luca. In questo caso si è trattato di un candidato di una lista che ha preso il posto del candidato di un’altra lista. Questo semplice fatto è già di per sé importante, perché dalla nuova Assemblea regionale siciliana è rimasto fuori un nome ‘pesante’ a Messina: Luigi Genovese, infatti, è il figlio di Francantonio Genovese, primo segretario del PD in Sicilia, già parlamentare, esponente di una famiglia politica e imprenditoriale molto rinomata nella Città dello Stretto. A Siracusa gli esiti dei controlli sulle sezioni elettorali potrebbero avere effetti molto più dirompenti. Se a Messina, alla fine, a perdere un deputato è stata la lista Popolari e Autonomisti di Raffaele Lombardo, con i controlli in corso nelle 43 sezioni del collegio di Siracusa (sommati ovviamente ai controlli delle quattro sezioni dell’Agrigentino e del Nisseno) si potrebbe verificare un vero e proprio ‘terremoto’ elettorale e politico. Ricordiamo che ci sono tre liste che – stando ai dati che possiamo considerare parziali – hanno superato lo sbarramento del 5% per pochi voti. Sono i Popolari e Autonomisti, la Nuova Democrazia Cristiana di Totò Cuffaro e la Lega. Il nuovo conteggio dei voti potrebbe mettere in discussione le percentuali di qualche lista, che potrebbe non aver raggiunto il 5%, che è la percentuale necessaria per avere rappresentanti nella Nuova Assemblea regionale siciliana? In teoria l’ipotesi non è campata in aria: non resta che aspettare l’esito del riconteggio che, con molta probabilità, tiene con il fiato sospeso qualche esponente politico.
Fin qui le due notizie di politica regionale siciliana legate alle elezioni. C’è una terza notizia che merita intanto di essere resa nota ai lettori e anche commentata. Si tratta della citata lettera del DIRSI – il sindacato dei dirigenti della Regione siciliana al presidente della Regione uscente e al suo successore. Leggiamola insieme: “Anche negli ultimi istanti di vita – scrivono i vertici del DIRSI – il Governo regionale uscente, con la complicità di un Parlamento regionale ‘compiacente’, ha purtroppo confermato, ancora una volta, il totale disprezzo nei confronti dell’Amministrazione regionale (in particolare dei suoi dirigenti) e degli interessi dei siciliani. Nell’ambito dell’ultima legge di stabilità – L.R. 25 maggio 2022, n. 13 – tra le ‘Altre disposizioni varie’ (art. 13), ossia la solita norma ‘Zibaldone’ appositamente dedicata alle modifiche (più propriamente: ‘furbate’) alla normativa vigente, al comma 56 si legge: ‘All’articolo 2 della legge regionale 10 dicembre 2001, n. 20 e successive modificazioni, dopo le parole “in quiescenza” la parola “e” è sostituita dalla parola “o” e le parole “esclusivamente per l’Ufficio di diretta collaborazione del Presidente della Regione” sono soppresse'”. La lettera cita anche una delle ultime delibere approvate dalla Giunta di Nello Musumeci, la deliberazione n. 531 del 28 settembre 2022, che, scrivono i sindacalisti del DIRSI, “ha con solerzia approvato la conseguente modifica al regolamento attualmente vigente, che disciplina gli Uffici di diretta collaborazione del Presidente e degli assessori regionali (D.P. Reg. 16 novembre 2018, n. 29). Di che si tratta? Subito detto: ampliare alla platea dei ‘manager’ esterni la possibilità di conferire, da parte del Presidente e degli assessori regionali, l’incarico di Capo di Gabinetto. Finora, l’incarico a soggetto esterno era ammesso soltanto (è non è poco!) per il vice Capo di Gabinetto, il Capo della Segreteria tecnica ed il Segretario particolare del Presidente e degli assessori, dopo che l’Assemblea regionale, con un sussulto ‘virtuoso’, con la nota legge ‘blocca-nomine’ (L.R. 2 agosto 2012, n. 43) aveva tra l’altro disposto: ‘Per motivi di contenimento della spesa i Capi di Gabinetto degli assessori regionali e del Presidente della Regione sono nominati tra il personale interno all’amministrazione regionale, fermi restando i contratti in essere’ (art. 2), eliminando la norma riferita al Capo di Gabinetto del Presidente della Regione (art. 127, comma 17, L.R. n. 11/2010)”. In pratica, il Governo Musumeci, prima di andare via, ha aperto la porta a un possibile incremento di dirigenti esterni all’Amministrazione regionale.
Scrivono ancora i dirigenti del DIRSI: “Al di là del merito certamente non condivisibile, appare ovvio come un esterno non possa efficacemente svolgere il delicatissimo compito di raccordo tra le complesse strutture amministrative e il vertice politico della Presidenza e degli assessorati regionali, senza considerare l’impatto sulle (già esangui) ‘casse’ regionali. Difatti, nella relazione di accompagnamento alla modifica regolamentare, allegata alla suddetta deliberazione n. 531/2022, si legge che da essa non deriva ‘nessun incremento di spesa’, adducendo la motivazione che tale facoltà ‘… continua ad essere esercitata nell’ambito dei contingenti attualmente previsti e nei limiti delle percentuali già consentite dal vigente D.P.Reg. n. 29/2018, ossia un terzo dell’organico’”. Insomma, il Governo Musumeci dice che non ci saranno aumenti di spesa. Tesi contestata dai sindacalisti del DIRSI, secondo i quali “in caso di affidamento ad un soggetto esterno i costi sono inevitabilmente destinati a schizzare in alto”. Il sindacato dei dirigenti regionali definisce “incomprensibile” un pronunciamento sulla questione ad opera del Consiglio di Giustizia Amministrativo (CGA), che in Sicilia – Regione autonoma – è l’equivalente del Consiglio di Stato. “Risulta incomprensibile – scrivono i sindacalisti del DIRSI – come anche il CGA abbia avallato ‘l’invarianza di spesa’, affermando, in sede di parere (n. 546/2022) che ‘non emergono rilievi, sia riguardo ai profili organizzativi, sia per rispetto al principio di invarianza della spesa’, pomposamente affermato nello schema di modifica (art. 2). Senza considerare inoltre che l’incremento della spesa del personale che certamente si determinerà con il ricorso alle figure di Capo di Gabinetto esterni all’Amministrazione regionale va pure contro lo ‘scriteriato’ accordo che il Governo Musumeci ha sottoscritto con Roma. D’altro canto – prosegue la nota del DIRSI – tenuto conto che le nuove figure apicali esterne graveranno sul Fondo per il trattamento accessorio della dirigenza regionale, ecco che al danno (per le ‘casse’ regionali) si aggiunge anche la beffa, perpetrandosi un vero ‘scippo’ nei confronti dei dirigenti regionali di ruolo. Tutto ciò si pone in (sciagurata) continuità con la pseudo-politica pervicacemente perseguita (anche) dal Governo Musumeci, tesa non già a valorizzare le risorse professionali interne, su cui dovrebbe poggiare qualsiasi buona amministrazione, bensì al sistematico discredito della dirigenza regionale, cui vengono addossate tutte le colpe del malfunzionamento della ‘macchina’ burocratica. Insomma, il solito raccontino propinato all’opinione pubblica – anche mediante compiacenti canali di informazione – che volutamente ignora il fondamentale dato di realtà, e cioè che la c.d. ‘burocrazia’ altro non è che l’applicazione di un groviglio di discipline, troppo spesso arzigogolate e contraddittorie, poste in essere dagli Organi politici (Governo ed Assemblea regionale, nel nostro caso), di cui i funzionari sono le prime vittime”.
Il DIRSI mette le conto anche una questione annosa: la terza fascia dirigenziale – unico caso in Italia – introdotta con la legge n. 10 del 2000. “L’incredibile vicenda del mancato superamento della terza fascia dirigenziale – si legge sempre nella nota del DIRSI – dopo 22 anni dalla legge n. 10 del 2000, che l’ha prevista come ‘transitoria’, ove sono rimasti relegati tutti i dirigenti regionali regolarmente assunti per concorso – è quella che in modo più eclatante denuncia tale situazione, che ha provocato la paradossale impossibilità di procedere al fisiologico conferimento, ad essi, degli incarichi apicali di dirigente generale dei Dipartimenti ed uffici equiparati. L’obiettivo evidente della politica-politicante regionale, ormai da molti anni conclamato – sottolineano sempre i sindacalisti del DIRSI – è di ricorrere ancora più massicciamente ai c.d. ‘manager’ esterni, sulla spinta dei desiderata personali di quanti ambiscono o vogliono prolungare insperate carriere, naturalmente a carico dei contribuenti siciliani. In conclusione, cogliendo l’occasione della presente denuncia, questa Associazione sindacale chiede al nuovo Governatore, Renato Schifani, di dare un primo, fortemente simbolico segnale di discontinuità con il precedente Governo, imponendo la linea di rinunciare a nomine di soggetti esterni – salvo che per limitatissime, conclamate necessità – per tutti gli incarichi dirigenziali di vertice, adoperandosi altresì per le indispensabili riforme. In tale ottica non si farà mancare il necessario supporto della dirigenza regionale e della sua rappresentanza, nell’interesse esclusivo della Sicilia. Auspichiamo che il neoeletto presidente Schifani, chiamato a governare una Amministrazione abbandonata da anni, con sagace opera di organizzazione e avveduta efficace condotta di governo, sempre ispirato agli interessi della Regione, riesca a far emergere un tale grado di preparazione dei dipendenti della Regione da superare egregiamente le sfide che la difficile situazione cui versa la Regione siciliana prospetta”.
Che dire? Che il presidente Musumeci, in cinque anni di amministrazione, non ha affatto legato con i dirigenti regionali: e questo, forse, potrebbe essere uno dei motivi per i quali non è stato ricandidato. Non dimentichiamo che Musumeci, nell’Ottobre del 2018, ha pronunciato tali parole: “Ci sono dei funzionari regionali che si comportano da veri criminali. Io li manderei in galera. Io ho trovato una Regione che lo era solo sulla carta intestata. Non c’è un sistema informatico. Si lavora ancora con il cartaceo. Una pratica, per passare da un assessorato all’altro, può necessitare di mesi. Un funzionario può lasciare la pratica sulla scrivania e, invece di portarla al collega sullo stesso piano, la lascia sulla scrivani per due mesi. Criminali” (qui il nostro articolo del 1 Ottobre 2018). Il problema non è che il presidente Musumeci abbia pronunciato tali parole: il problema è che non abbiamo visto il seguito. Musumeci non ha un carattere facile. La sua rigidità è probabilmente legata alla sua militanza in una formazione politica che non ha – e non vogliamo offendere nessuno – una radicata tradizione democratica. Il fascismo non è stato un esempio di democrazia. Questo suo atteggiamento rigido e poco incline al dialogo si è manifestato nel Dicembre del 2017 quando, a un mese dal suo insediamento alla guida del Governo dell’Isola, convocò i giornalisti a Palazzo d’Orleans impedendogli di porre delle domande. Invitare i giornalisti e impedirgli di porre domande con la scusa di averli convocati solo per fargli gli auguri di Natale è un atteggiamento sbagliato. A chi scrive – che era presente alla conferenza stampa – ha impedito di chiedergli cosa avrebbero combinato con il disastroso accordo sull’IVA con lo Stato che era stato siglato dal Governo del suo predecessore, Rosario Crocetta. Ovviamente, noi siamo andati via e non abbiamo mai più partecipato alle conferenze stampa di un presidente della Regione che impedisce ai giornalisti di porre domande. Ah, dimenticavamo: poi a ratificare l’accordo sull’IVA con il Governo nazionale di Paolo Gentiloni hanno mandato l’assessore Marco Falcone, il ‘genio’ della situazione… Tanto le dovevamo, presidente Musumeci.