Per chi come noi si occupa di agricoltura quasi ogni giorno è una sorpresa scoprire che sulla crisi di questo settore, in mezzo a tanta demagogia elettorale di questi giorni, c’è anche un candidato, o meglio, una candidata alle elezioni del 25 Settembre che affronta con cognizione di causa i problemi del grano duro in Sicilia. Si tratta di Antonella Panzeca, candidata alle elezioni regionali nel collegio di Palermo nella lista Cateno De Luca Sindaco di Sicilia e, contemporaneamente, candidata alle elezioni politiche nazionali – per la precisione al Senato nel collegio uninominale Palermo-U01 – nella lista Cateno De Luca Sindaco d’Italia.
“Succede che – prosegue Antonella Panzeca – nella totale assenza del Governo regionale uscente, il costo dei fattori di produzione, sementi, fertilizzanti ed energia, è aumentato in ragione più che proporzionale all’aumento del prezzo del grano duro. Il costo delle sementi è quasi raddoppiato, il costo dei fertilizzanti è quasi triplicato, il costo del gasolio agricolo è raddoppiato così com’è raddoppiato il costo della mieti-trebbiatura. Coltivare il grano duro in Sicilia, oggi, per i nostri agricoltori, significa lavorare in perdita. Se poi intervengono problemi legati al clima, com’è successo lo scorso anno, quando le piogge protrattesi fino a fine Dicembre hanno ritardato la semina a Gennaio, per gli agricoltori siciliani che coltivano il grano duro non si parla più di perdite ma di stra-perdite. Il problema è serio e la politica non può assolutamente ignorare quanto sta accadendo, anche perché nell’entroterra siciliano, tranne rare eccezioni, il grano è l’unica coltura praticabile. Guarda caso, mentre i Governi siciliani che si sono succeduti fino ad oggi non hanno fatto nulla per dare una mano agli agricoltori si va diffondendo il grande affare degli impianti fotovoltaici. I giornali e anche la rete sono pieni di aziende, quasi tutte estere e del Nord Italia, che offrono da 2 mila e 3 mila euro all’anno per l’affitto di un ettaro di terreno dove piazzare pannelli fotovoltaici. In questo momento, per tanti agricoltori siciliani, l’offerta è allettante, perché come ho cercato di evidenziare coltivare grano duro in Sicilia, oggi, non è conveniente. Ci sono delle possibili soluzioni? Certamente”.
“La prima soluzione è rivedere gli accordi sulla ripartizione dei fondi del cosiddetto Primo Pilastro della PAC, la Politica Agricola Comune (leggere fondi europei per l’agricoltura). Senza voler entrare nei tecnicismi, proverò a illustrare il grande imbroglio che, da oltre un ventennio, penalizza i produttori di grano duro del Sud e della Sicilia. Oltre venti anni fa, quando venne calcolata la ripartizione degli aiuti dell’Unione europea ai produttori di grano, le produzioni dello stesso grano per ettaro al Sud e in Sicilia erano basse, mentre le produzioni di grano del Nord Italia erano alte. Così si decise, a mio avviso sbagliando, che, cosiderati gli aiuti comunitari da corrispondere ai produttori di grano italiani, 8 sarebbero andati alle Regioni del Nord perché avevano alte produzioni e 2 ai produttori di grano duro del Sud perché avevano basse produzioni. Questa impostazione era già sbagliata oltre venti anni fa, perché non aiutava e non aiuta tuttora gli agricoltori del Sud e della Sicilia che producevano e producono ancora oggi grano. La questione venne definita dicendo che quando le produzioni di grano del Sud Italia sarebbero aumentate le ripartizioni degli aiuti per il grano del Primo Pilastro sarebbero state riviste e modificate. La produzione per ettaro di grano del Sud Italia e Sicilia è aumentata già da tempo, ma la ripartizione è rimasta la stessa: 8 ai produttori di grano delle Regioni del Nord Italia e 2 ai produttori di grano duro di Sud e Sicilia.
C’è anche un imbroglio nell’imbroglio: il calcolo, nella ripartizione degli aiuti per il grano, infatti, non viene effettuato sulle produzioni reali di grano, ma sulle superfici: se un agricoltore del Nord Italia è proprietario di 20 ettari di seminativi, a lui spettano i contributi previsti dalla vecchia ripartizione, sia che i 20 ettari di seminativo producano grano, sia che non ne producano; se un agricoltore siciliano è proprietario di 20 ettari di seminativo, a lui spettano i contributi per 20 ettari di seminativo, sia che i 20 ettari di seminativo producano grano, sia che non ne producano. Se per i due agricoltori sono disponibili, ad esempio, 10 mila euro di contributi annui, 8 mila andranno all’agricoltore del Nord Italia e 2 mila all’agricoltore della Sicilia. Questa è una seconda assurdità, perché i contributi dovrebbero essere ripartiti a chi produce realmente grano e non certo a chi non ne produce!”.”
“Nel Nord Italia si produce grano tenero, ma tutti sappiamo che, da anni, il grano tenero presente in Italia è quasi tutto importato, in gran parte dal Canada.
Così si verifica il paradosso: gli agricoltori del Nord Italia, anche se non coltivano e quindi non producono il grano tenero, si prendono gli otto decimi dei contributi comunitari per il grano, mentre gli agricoltori del Sud e della Sicilia, che invece il grano duro lo coltivano realmente e rischiando e, come sta succedendo quest’anno, andando in perdita si prendono solo i due decimi dei contributi comunitari per il grano. Si può cambiare questa impostazione colonialista della ripartizione dei fondi comunitari del grano? Sì, ma serve un Governo regionale autorevole che faccia valere le giuste ragioni dei propri imprenditori agricoli in sinergia con le altre Regioni del Sud Italia sui tavoli della politica. Già modificando la ripartizione di questi fondi, tenendo conto delle produzioni di grano duro per ettaro di oggi, gli agricoltori siciliani che producono grano duro (e anche i produttori di grano duro delle altre Regioni del Sud Italia), vendendo il grano a 40 euro al quintale, ce la potrebbero spuntare anziché andare in perdita. Se poi si decidesse di erogare i contributi comunitari del grano a chi effettivamente produce grano, ebbene, gli agricoltori di Sud e Sicilia che producono grano duro vedrebbero finalmente premiati i loro sforzi”.
“L’intervento sul Primo Pilastro – scrive sempre Antonella Panzeca – va inquadrato in prospettiva; se andrà bene ci vorrà un anno di lavoro, perché gli agricoltori del Nord, abituati a considerare Sud e Sicilia loro colonie, farebbero di tutto per non perdere i propri privilegi. Detto questo, SERVONO INTERVENTI IMMEDIATI: il Governo regionale siciliano che si insedierà dopo le elezioni del 25 Settembre dovrà occuparsi della risoluzione di questi problemi. L’entroterra siciliano – conclude Antonella Panzeca – non può essere trasformato in un’immensa distesa di pannelli fotovoltaici, che aumenterebbero notevolmente il processo di desertificazione già presente nella nostra terra. È importante tutelare il paesaggio agrario che fa parte della storia e della cultura della Sicilia”.