Proviamo a riassumere che cos’è successo nella settimana che si è conclusa nel mercato mondiale dei cereali e, segnatamente, del grano. La notizia che salta agli occhi è che Venerdì, cioè due giorni fa, negli Stati Uniti i prezzi del grano sono crollati al minimo di cinque mesi. Le possibili spiegazioni di quest’atmosfera ribassista sono legate alle speranze di una ripresa delle esportazioni di grano da parte dall’Ucraina (ricordiamo che l’Ucraina è, anzi era prima della guerra, il quarto esportatore di grano del mondo: il ritorno del grano ucraino nei mercati mondiali aumenterebbe l’offerta: da qui le attese per prezzi più bassi). Un altro elemento da prendere in considerazione, come illustra nei suoi due ultimi report settimanali l’analista di mercati internazionali, Sandro Puglisi, è il dollaro forte. E poi c’è la pressione sul raccolto. Ma la notizia che, a nostro avviso, è molto importante – soprattutto per l’Europa – è la decisione della Cina di ridurre l’esportazione di fertilizzanti. Perché questa notizia è importante per l’Europa? Perché l’Unione europea, che nel nome del liberismo economico sfrenato si è giocata la sovranità alimentare, ha anche abbandonato la produzione di fertilizzanti. Il tutto nel nome della solita logica globalista: inutile produrre fertilizzanti se acquistarli da altri Paesi costa meno. E’ una logica errata, perché se cambiano le condizioni geopolitiche ed economiche un Continente di circa 500 milioni di abitanti – tanti sono gli abitanti dell’Unione europea – rischia di dover fronteggiare aumenti spropositati dei prezzi dei fertilizzanti: che è quello che sta succedendo. E la guerra in Ucraina, in questo caso, c’entra poco o nulla, perché la Cina, che è uno dei più grandi esportatori al mondo di concimi al fosforo, ha iniziato a ridurre l’export nell’Estate dello scorso anno, sia per fronteggiare i cambiamenti climatici in corso e stabilizzare il mercato interno, sia perché, evidentemente, si aspettava cambiamenti. A ruota, nell’Autunno dello scorso anno, anche la Russia – altro grande produttore ed esportatore mondiale di fertilizzanti – ha deciso di ridurre l’export di fertilizzanti al fosforo e all’azoto. Così, già nell’Autunno dello scorso anno, gli agricoltori europei si sono trovati a dove fronteggiare uno spaventoso aumento dei fertilizzanti. Oggi, con la mossa della Cina, i prezzi dei fertilizzanti potrebbero crescere ancora.
“La Cina – scrive nel report di fine settimana Sandro Puglisi – sta implementando un sistema di quote per limitare le esportazioni di fosfati, nella seconda metà di quest’anno. Le quote, fissate ben al di sotto dei livelli di esportazione di un anno fa, amplierebbero l’intervento della Cina sul mercato per tenere sotto controllo i prezzi interni e proteggere la sicurezza alimentare mentre i prezzi globali dei fertilizzanti si avvicinano ai massimi storici. La Cina è il più grande esportatore mondiale di fosfati, con una spedizione di 10 milioni di tonnellate l’anno scorso, pari a circa il 30% del commercio mondiale totale. I suoi principali acquirenti sono stati India, Pakistan e Bangladesh, secondo i dati doganali cinesi. La Cina sembra aver emesso quote di esportazione per poco più di 3 milioni di tonnellate di fosfati ai produttori per la seconda metà di quest’anno. Ciò segnerebbe un calo del 45% rispetto alle spedizioni cinesi di 5,5 milioni di tonnellate nello stesso periodo di un anno fa. Sebbene la Cina abbia imposto dazi all’esportazione sui fertilizzanti in passato, le ultime misure segnano il suo primo utilizzo di certificati di ispezione e quote di esportazione, affermano gli analisti. L’impennata dei prezzi nell’ultimo anno ha sollevato preoccupazioni per Pechino, che deve garantire la sicurezza alimentare. Tuttavia, i prezzi interni cinesi rimangono a uno sconto significativo rispetto ai prezzi globali e sono attualmente circa $ 300 al di sotto dei $ 1.000 per tonnellata quotati in Brasile, incentivando le esportazioni. Le esportazioni di DAP (fosfato biammonico ndr) e fosfato monoammonico nei primi cinque mesi di quest’anno sono state pari a 2,3 milioni di tonnellate, in calo del 20% rispetto a un anno fa”.
Puglisi ci dà una panoramica sui prezzi dei prodotti agricoli in Europa dei cereali della settimana che si è conclusa. “La Borsa Euronext con sede a Parigi ha visto i prezzi del grano di settembre chiudere la settimana a 325,50 euro per tonnellata. Si tratta di un calo di 31,5 €/t rispetto alla scorsa settimana. La colza per la scadenza di agosto, è scesa di 18,25 €/t per la settimana, per chiudere a 675,25 €/t. Il prezzo del mais di agosto, al contrario, è aumentato di €7,25/t per la settimana, chiudendo a 323,25 euro per tonnellata. Il contratto sui mangimi per il grano nel Regno Unito, chiuso a 257,95 £/t, in calo di 27,05 £/t settimana su settimana. Nel frattempo, al 14 luglio 2022, i prezzi FOB in dollari USA del grano francese con 11,5% di proteine e consegna agosto/settembre erano a 353 $/ton, in calo di $ 4 rispetto alla settimana precedente. Il frumento tedesco Deposito Hamburg è stato di $ 356,04/t, in calo di $ 10,69/t rispetto alla settimana precedente. Il grano baltico, consegna prima a Vilnius, è stato di 323,76 $/t, in calo di 26,67 $/t rispetto alla settimana precedente. Il grano duro francese, base La Pallice, si è attestato a 458,91 $/ton, in calo di 14,79 $ rispetto alla settimana precedente. Il grano duro spagnolo Siviglia (Depo Silo), è stato valutato questa settimana a $ 539,6 per tonnellata, in calo di $ 10,5 wow. Il grano duro italiano Bologna (consegnato al primo cliente) è stato valutato questa settimana a $ 534,56 per tonnellata, in calo di $ 20,64/t settimana su settimana”. Non manca qualche aumento che, però, non riguarda il grano: “Il mais consegnato al porto di Bordeaux è stato di 320,73 dollari per tonnellata, in aumento di 23,27 dollari per tonnellata rispetto alla scorsa settimana. Corn FOB Rhin Spot – La base di luglio 2021 è aumentata di $ 22,30 a $ 315,69/t. L’orzo da foraggio FOB Rouen è stato di 301,57 $/t, in aumento di $ 1,51 per tonnellata. Orzo da malto FOB Creil Spot – La base di luglio 2021 era di $ 398,4 per tonnellata, in aumento di $ 1,1/t rispetto alla settimana precedente”.
Prezzi in calo anche in Russia: “Dal bacino del Mar Nero – scrive sempre Puglisi – la scorsa settimana, i prezzi delle esportazioni di grano russo sono diminuiti. I prezzi per il nuovo raccolto di grano con un contenuto proteico del 12,5% e per la fornitura dai porti del Mar Nero sono scesi di $ 17 a $ 358 per tonnellata franco a bordo (FOB) alla fine della scorsa settimana, ha affermato l’IKAR. Sovecon, ha affermato che i prezzi del grano per la fornitura di luglio e agosto erano di $ 365- $ 370 a tonnellata rispetto a $ 375- $ 385 una settimana fa”. Diverso lo scenario nel mercato interno russo: “I prezzi del grano sul mercato interno, invece, sono aumentati grazie alla maggiore domanda da parte degli esportatori. In effetti, il grano domestico di 3a classe, parte europea della Russia, esclusa la consegna è stato di 13.575 rbl/t ($ 222,5) +150 rbl secondo Sovecon”. Il Ministero dell’Agricoltura russo ha annunciato l’aumento dei dazi all’esportazione per grano, orzo e mais. Da ciò si potrebbe dedurre che i russi – primi produttori al mondo di grano – non temono una caduta del prezzo del grano. O, in ogni caso, preferiscono salvaguardare il mercato interno e vendere quando le condizioni saranno migliori. Puglisi ci dà una notizia che deve fare riflettere: “La Russia continua ad esportare grano in Paesi non NATO. Quasi 735 K di grano sono stati spediti dai suoi porti d’altura nella settimana terminata il 13 Luglio. Le destinazioni sono “Iran, Libia, Egitto, Arabia Saudita, Algeria”. Si parla di grano russo anche in Turchia e in Italia (che invece sono Paesi NATO).
Puglisi ci dà una notizia molto particolare in arrivo dal Sudamerica e, in particolare, dal Brasile: “Il più grande produttore brasiliano di biocarburanti, BSBios, costruirà la prima grande struttura del Paese che utilizza il grano per produrre etanolo, il che aumenterà, non diminuirà, le scorte di cibo, ha affermato il suo amministratore delegato, nel mezzo di una discussione globale sulla priorità del cibo rispetto alla produzione di carburante. Mentre le piante di etanolo a base di grano sono comuni in Europa e Canada, la maggior parte della produzione brasiliana proviene dalla canna da zucchero e, più recentemente, dal mais. Il progetto di BSBios sottolinea la sua fiducia nel fatto che gli agricoltori amplieranno la superficie e la produzione di grano, riducendo la dipendenza dalle importazioni e creando un mercato interno ancora più grande per il cereale. Si prevede che il Brasile produrrà un raccolto record di 9 milioni di tonnellate quest’anno, con i coltivatori che semineranno la più grande area in 32 anni. L’impianto di BSBios dovrebbe entrare in funzione nella seconda metà del 2024 a Rio Grande do Sul, lo Stato più meridionale del Brasile e il più grande produttore di grano del Paese. Produrrà 111 milioni di litri (29,3 milioni di galloni) di etanolo nella prima fase del progetto. Secondo l’agenzia di ricerca agricola Embrapa, la resa del grano del Brasile è balzata di cinque volte a circa 3.000 chili per ettaro dagli anni ’70. Inoltre, il Brasile ha recentemente iniziato a testare una varietà di grano geneticamente modificato (OGM) resistente alla siccità in collaborazione con l’Argentina”. Noi ci auguravamo che il Brasile non cominciasse a utilizzare il grano OGM: ci siamo sbagliati. Non possiamo non notare una contraddizione del nostro tempo: ci sono Paesi dove c’è fame di grano e in altri paesi con il grano si producono biocarburanti!
Una notizia interessante arriva da Mario Pagliaro, chimico del Cnr, esperto in climatologia e in agricoltura: “Ricco dei proventi della vendita di gas, l’Egitto compra all’asta mezzo #milione di tonnellate di grano tenero al prezzo più alto mai pagato: 480 dollari (490 euro) a tonnellata: 41% in più rispetto all’asta precedente. A vendere, #Russia, #Romania e #Bulgaria. Le aste per la vendita del grano #duro – ormai una rarità – nemmeno si fanno: in queste condizioni, supererebbero i 1000 dollari. Per avere un’idea, mezzo milione di #tonnellate è una quantità di poco inferiore all’intera produzione di grano (tutto #turgidum o #duro) della Sicilia nel 2022. Per nutrire i 70 milioni di concittadini sui 103 totali cui il governo dà il pane sostanzialmente gratis, l’Egitto sta per comprare altre 865.000 tonnellate. I prezzi sono così #alti, nonostante le aste al ribasso, che emissari del corpo diplomatico egiziano hanno ricevuto l’ordine di trattare #direttamente con le grandi aziende cerealicole in #Russia e #Romania”. Dal che si deduce che nel Nord Africa alla ricerca di grano – in questo caso in Egitto – il prezzo dello stesso grano non è in calo. Lo stesso discorso vale per la Tunisia, dove la gente fa la fila per acquistare il pane. Sempre Pagliaro riporta un articolo di un giornale tunisino: “Per alcuni giorni, e all’indomani di Eid Al Adha, i tunisini hanno incontrato molte difficoltà nell’ottenere il pane. Le file davanti alle panetterie sono legioni. Allo stesso modo, sempre più cittadini tornano a casa senza aver potuto comprare il pane. I negozi di alimentari e altre attività di vendita al dettaglio di pane stanno rapidamente esaurendo questa necessità di base. E non possono ottenere rifornimenti dalle panetterie… Ma il fatto è lì, alla Tunisia manca il pane, e non è solo per via dell’Eid. Perché non bisogna dimenticare che all’origine della crisi, pochi mesi fa, era impossibile importare grano tenero e duro, certamente a causa della guerra in Ucraina, ma anche perché la Tunisia è diventata incapace di onorare i costi delle sue importazioni. Questo ha spinto i fornitori a essere più cauti del solito”.