di Nota Diplomatica
L’Italia, probabilmente per via del funzionamento della lingua italiana, si è finora largamente salvata dagli eccessi peggiori della “gender revolution” che sta divorando il discorso pubblico anglosassone. I timidi e sparuti tentativi di imporre l’impiego di asterischi a fine parola per imitare le nuove usanze della grammatica inglese non hanno avuto un grande seguito, probabilmente perché il ruolo del genere nella lingua nazionale è troppo fondamentale per essere abbandonato o trasformato ad ogni nuovo refolo sociale. La tendenza è nata negli Stati Uniti con il valido e perfino nobile intento di ridurre la ragnatela di pregiudizi riguardo alle molte ‘diversità’ umane. La sua rapida burocratizzazione ha però creato dei mostri linguistici, riducendo invece la comprensione e la tolleranza, ostacolando la comunicazione anziché liberarla. È forse presto per dire che il fenomeno stia tramontando negli Usa, ma la battaglia più intensa si è da tempo spostata in Inghilterra, dove Whitehall – la pubblica amministrazione centrale britannica – ormai riconosce e impone l’uso di oltre cento possibili generi sessuali, non solo nella modulistica ma anche nelle interazioni quotidiane sia interne, sia con il pubblico. Sono nati – e ne nascono di nuovi continuamente – dibattiti ‘amministrativi’ che non hanno nulla da invidiare al quesito medioevale su quanti angeli potessero danzare sulla punta di uno spillo.
È però la Scozia – una regione che gode di un alto grado di autonomia politica e amministrativa all’interno del Regno Unito – a essere arrivata all’apice del dibattito sul gender, mettendo pubblicamente allo studio una proposta di riconoscere come genere sessuale gli eunuchi e di definire i ‘nuovi’ pronomi da utilizzare parlando di, e con, l’esigua popolazione di ‘castrati’ scozzesi che, a pensarci bene, presumibilmente avrebbero fatto tutto il possibile proprio per non avere un genere… Una parte non del tutto minore delle ‘difficoltà amministrative’ da superare nel caso degli eunuchi è linguistica: come adattare a questa pur limitata popolazione la nuova grammatica ‘identitaria’ che comprende anche l’utilizzo politically correct del pronome ‘they’-‘loro’, ma al singolare. Il nuovo they dovrebbe servire a coprire la molteplicità di possibili identità sessuali presenti in ogni individuo, un concetto che si applica malamente a chi, semplicemente, nega a priori di averne una. Il vero problema, però, è che tutta la questione risulta essere assolutamente ridicola agli occhi di una vasta maggioranza di pubblico, preoccupata invece di questioni terribilmente concrete: come affrontare ad esempio il forte aumento del costo della vita che ha recentemente visto il prezzo di un ‘pieno’ di benzina schizzare a oltre cento sterline – 116 euro al cambio attuale – per non parlare di cosa succede quando si va al supermercato… In queste circostanze, la gender revolution- per quanto sia tuttora di gran voga tra chi può permettersi il lusso di occuparsene – parrebbe cominciare a star perdendo dei colpi tra la massa degli elettori. Quanto potrà durare ancora?
Foto tratta da ABAUT ART ON LINE