Chiudiamo la settimana provando a fare il punto della situazione sul grano, argomento che seguiamo da quando siamo in rete. Notiamo che oggi, in tanti, si occupano del grano, ma lo fanno, spesso, facendo confusione. La prima notizia che salta agli occhi è che l’Unione europea sta aiutando l’Egitto sul fronte del grano. Non che sia sbagliato: anzi. Non si capisce, però, perché la stessa attenzione la Ue non la riservi ai produttori di grano europei alle prese con grandi problemi dovuti all’aumento dei costi di produzione con i prezzi alle stelle di fertilizzanti ed energia. Sono le contraddizioni di un’Unione europea che forse farebbe bene a restituire ad ogni Paese Ue le competenze in materia di agricoltura. La seconda notizia che va precisata è che non è la guerra in Ucraina ad aver provocato la crisi del grano e, in generale, l’inflazione alimentare. La crisi del grano è iniziata nell’Estate dello scorso anno, quando gli effetti dei cambiamenti climatici – che sono ancora in corso – hanno provocato una drastica riduzione dell’offerta di grano nel mondo. I Paesi produttori di grano più colpiti dalla siccità sono stati Canada e Stati Uniti d’America. Da qui l’aumento del prezzo del grano. I cambiamenti climatici (non soltanto la siccità, ma anche violente piogge che spesso degenerano in inondazioni) hanno colpito altre colture oltre al grano. In più un Paese di un miliardo e 400 milioni di abitanti – la Cina – ha aumentato gli acquisti di grano e di altre colture. Quindi gli aumenti dei prezzi del grano e, in generale, dei cereali sono funzione diretta di un doppio effetto: la riduzione dell’offerta a causa dei cambiamenti climatici e l’aumento della domanda provocata dalla Cina (ma non soltanto dalla Cina, perché quando si profila la crisi tutti cercano di tutelare le riserve alimentari o aumentando gli acquisti, o riducendo le esportazioni). La guerra in Ucraina ha accentualo la crisi. Questo perché, prima del conflitto, l’Ucraina era il terzo esportatore di grano al mondo e il primo esportatore di olio di girasole nel mondo. Ma se non fossero intervenuti i cambiamenti climatici la riduzione della produzione di grano e di girasole che si registra in Ucraina sarebbe già stata compensata da produzioni di altre parti del mondo. Il problema è che i cambiamenti climatici continuano a imperversare e non è facile capire, in questo momento, cosa succederà al grano e ad altre colture da qui a fine anno tra siccità, inondazioni e anche incendi per lo più dolosi. L’inflazione alimentare che oggi colpisce il mondo non è stata provocata dalla guerra in Ucraina, ma dai cambiamenti climatici. Non a caso la FAO – l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e per l’agricoltura – ha iniziato a segnalare l’aumento dei prezzi dei generi alimentari alla fine dell’Estate dello scorso anno, non dopo l’esplosone della guerra in Ucraina!
Un’altra notizia che va chiarita è che la Russia di Putin non ha mai detto che consentirà all’Ucraina di esportare i propri prodotti via mare, dal grano all’olio di girasole al mais. Putin ha sempre detto che la Russia è disponibile a far transitare le navi ucraine dal Mar Nero, a patto che vengano meno le sanzioni che oggi colpiscono la Russia. Da quello che leggiamo sui giornali internazionali non ci sembra che la guerra in Ucraina sia alla fine. Da quello che leggiamo gli americani stanno inviando in Ucraina armi sempre più sofisticate. Alle quali la Russia risponderà con armi altrettanto sofisticate. Da quello che leggiamo sono in arrivo altre sanzioni della Ue alla Russia. La guerra in Ucraina continuerà e potrebbe anche estendersi ad alcuni Paesi europei. Se non altro perché è dai Paesi dell’Est Europa che transitano le armi verso l’Ucraina per uccidere soldati russi. Non crediamo che la Russia continuerà a tollerarlo. Così come non crediamo che la Russia continuerà a subire il ruolo militare anti-russo delle basi militari americane in Europa, a cominciare da quelle dislocate in Sicilia. E’ solo questione di tempo. Un altro punto che va chiarito è che i russi – che sono alleati dei cinesi – non hanno motivo di non far arrivare grano in Africa. Questo perché oggi in Africa è la Cina ad avere grandi interessi. Come scriviamo spesso, sono gli Stati Uniti d’America che, oggi, hanno interesse a seminare il caos nel commercio internazionale, perché così facendo impediscono alla Cina e ai Paesi alleati della Cina – la Russia, l’India, una parte del Sudamerica e alcuni Paesi africani – di sostituire il dollaro negli scambi internazionali. Fino ad oggi la strategia americana è vincente. Il caos sta tornando in Medio Oriente. Il caos colpisce l’Afghanistan che gli americani non hanno abbandonato per caso o per dabbenaggine geopolitica. E il caos è alle porte dell’Unione europea, che gli americani considerano infida. Contrariamente a quanto scrivono certi osservatori più inclini alla battuta che all’informazione, il presidente americano Biden è tutt’altro che “rimbambito” e porta avanti una strategia di tutela dell’area del dollaro che, fino a questo momento, è vincente su tutta la linea. Gli USA non sono interessati a ‘vincere’ la guerra in Ucraina, ma a mantenerla – magari ampliandola – per tenere i mercati nel caos. E in questo sono aiutati – e lo scriviamo anche a costo di apparire ‘complottisti’ – dai cambiamenti climatici in atto.
E l’Unione europea? Un disastro totale. In questo momento i mezzi di comunicazione europei dipingono la Ue impegnata nella guerra a fianco dell’Ucraina contro la Russia. In realtà, l’Unione europea, tra la fine dello scorso anno e l’inizio di quest’anno, ha fatto da ‘sponda’ a Cina e Russia in chiave non esattamente filo-americana, se è vero che un enorme quantitativo di gas russo destinato ai cinesi dovrebbe essere pagato in euro. Cosa, questa, che, se messa in atto, contribuirebbe a indebolire l’area del dollaro. Questi sono i fatti, poi le chiacchiere della signora Ursula von der Leyen su fatti di alta rilevanza geopolitica stanno a zero, proprio come la sua inutile e dannosa presidenza della Commissione europea, fallimentare in tutto, dalla gestione della pandemia all’insegna degli interessi delle multinazionali farmaceutiche alla gestione ultra-fallimentare dell’agricoltura. La vera domanda è: agli Stati Uniti, impegnati in una difficilissima strategia geopolitica a sostegno dell’area del dollaro, conviene tenere in piedi l’euro e, in generale, l’Unione europea? Il fatto che il Regno Unito – Paese tradizionalmente alleato degli Stati Uniti – sia fuori già da qualche anno dalla Ue dice tutto, naturalmente per chi vuole capire e non si fa irretire dalla propaganda che l’Unione europea cerca di far passare come informazione…
Andiamo all’andamento del mercato internazionale del grano nella settimana che si è conclusa. L’elemento generale, che riguarda tutti i Paesi del mondo, è il clima. E’ il clima mutevole e imprevedibile che tiene con il fiato sospeso il Pianeta. Negli Stati Uniti d’America la settimana che si è conclusa è stata altalenante, con una lieve tendenza al ribasso per grano e mais. In lieve rialzo, invece, la soia. Quanto al clima negli Stati Uniti, le cose non vanno benissimo: anzi. Noi seguiamo con grande attenzione i report di Sandro Puglisi, analista dei mercati internazionali. “I recenti colloqui volti a trovare il modo di revocare il blocco dei porti di grano in Ucraina – scrive Puglisi – hanno migliorato il sentimento sulle esportazioni dalla regione del Mar Nero. In particolare, Putin ha affermato che la Russia era pronta a facilitare l’esportazione di grano ucraino senza ostacoli in coordinamento con la Turchia. Tuttavia, la condizione preliminare (per sbloccare le esportazioni di cereali dall’Ucraina) è che le sanzioni alla Russia vengano revocate”. Il presidente della Russia, Putin, ha affermato che le difficoltà nel fornire grano ai mercati mondiali sono il risultato, scrive Puglisi, di “politiche economiche e finanziarie errate dei paesi occidentali. La Russia è pronta ad aiutare a trovare opzioni per l’esportazione senza ostacoli di grano, inclusa l’esportazione di grano ucraino dai porti del Mar Nero”. e che “un aumento della fornitura di fertilizzanti e prodotti agricoli russi aiuterà anche a ridurre le tensioni sul mercato globale mercato alimentare, che ovviamente richiederà la rimozione delle relative sanzioni”.
Mentre l’Unione europea che fino a tre mesi fa era in affari con Cina e Russia e oggi fa la guerra alla Russia, il presidente della Turchia, Tayyip Erdogan, è diventato il mediatore tra Mosca e Kiev, di fatto sostituendosi anche all’ONU che, anche in questa occasione, sta dimostrando la propria fragilità. In che cosa possa consistere tale mediazione visto che la guerra tra Russia e Ucraina continua non si capisce. Ma la notizia “fa titolo” sui giornali e tanto basta. Nel frattempo – sono dati forniti da Puglisi – è probabile che il raccolto di grano ucraino nel 2022 scenda a 19,2 milioni di tonnellate da un record di 33 milioni di tonnellate nel 2021. Male anche la produzione di mais , che quest’anno potrebbe anche scendere a 26,1 milioni di tonnellate da 37,6 milioni di tonnellate nel 2021, mentre la produzione di orzo potrebbe scendere a 6,6 milioni di tonnellate da 10,1 milioni di tonnellate.
Poche le notizie sull’andamento della produzione in Canada. Si sa che in alcune Province di questo Paese ci sono problemi di siccità. Puglisi ci dà notizia che nella Provincia dell’Alberta “il grano primaverile è stato seminato per il 93%, ma i deficit di umidità nel sud sono preoccupanti”. Problemi di siccità anche nella Provincia di Manitoba, dove si produce il grano tenero ‘di forza’ più diffuso al mondo – il grano tenero Manitoba – che potrebbe subire una riduzione della produzione. Nonostante la pessima annata del 2021, il Canada ha continuato ad esportare sia grano tenero, sia grano duro. Ovviamente in quantitativi inferiori rispetto agli anni passati.
Brutte notizie dal Brasile. Si preannuncia una stagione difficile per il raccolto di mais safrinha che, come ricorda Puglisi, “tradizionalmente rappresenta circa il 70% della produzione totale di mais del Paese e circa il 75% delle esportazioni totali di mais. Sebbene il raccolto sia stato piantato con una buona umidità, la produzione negli stati di Mato Grosso, Goiás e Minas Gerais, che rappresentano circa il 60% della seconda produzione di mais del Brasile, è stata minacciata dalla siccità”. E dove non è arrivata la siccità è arrivato il gelo come sta accadendo negli Stati meridionali del Mato Grosso do Sul e del Parana, che rappresentano circa il 30% della produzione di mais safrinha in Brasile. Il Brasile è uno dei Paesi del Sudamerica che si è allineato con la Cina e la Russia: questo spiega la disinformazione in Occidente ai danni del presidente Bolsonaro. A creare problemi in Brasile e in Argentina è i Fondo Monetario Internazionale, altra istituzione che dovrebbe essere rivista, se non si vuole dare tutto il Sudamerica ai cinesi. “Dopo gli Stati Uniti – leggiamo nel report di Puglisi – il Brasile è il secondo esportatore di mais al mondo. La maggior parte delle sue spedizioni va in Iran, Spagna, Giappone, Vietnam ed Egitto. Ma con l’annuncio della scorsa settimana sono arrivate voci secondo cui la Cina aveva già acquistato 250.000-400.000 t di mais brasiliano per la spedizione di Settembre, in attesa della ratifica degli accordi richiesti in entrambe le giurisdizioni. La settimana si è conclusa con più voci, questa volta 500.000 t di acquisti di mais cinese, con gli analisti che hanno suggerito il Brasile come probabile origine in quanto era di circa 20 dollari USA/t in meno rispetto agli Stati Uniti. Tuttavia, i premi per l’esportazione di mais dal Brasile sono aumentati in seguito alla notizia dei protocolli di esportazione aggiornati in Cina e la base di mais nuovo raccolto dal Golfo del Messico potrebbe essere più conveniente per gli slot di spedizione a settembre e oltre”. Dall’Argentina il Buenos Aires Grains Exchange “stima che le piantagioni di grano 2022/23 del Paese arriveranno a circa 6,5 milioni di ettari. È leggermente inferiore alla stima precedente del gruppo di 6,6 milioni di ettari, basata sulla bassa umidità del suolo e sulle scarse piogge nelle previsioni a breve termine. Prima di Mercoledì, gli agricoltori avevano seminato il 13,9% della superficie stimata”. Se la siccità continuerà ci potrebbero essere riduzioni sensibili della produzione.
Male i mercati di grano, mais e colza in Europa. Puglisi segnala vendite “da parte dei fondi hanno alimentato il calo. I prezzi del grano e del mais sono crollati principalmente a causa delle discussioni sulla creazione di un corridoio sicuro nel Mar Nero e nel Mar d’Azov per le navi ucraine cariche di generi alimentari, sebbene non sia stato raggiunto un accordo ufficiale. In effetti, mentre i negoziati tra la Russia e le Nazioni Unite potrebbero richiedere ancora un po’ di tempo, è anche nell’interesse della Russia poter esportare un raccolto di grano che promette di essere record in questa fase”. Va un po’ meglio con le piogge in Francia, ma è presto per capire se l’acqua caduta dal cielo basterà a sovvertire le previsioni negative per l’annata granicola francese.
Situazione complicata nel Nord Africa e, in particolare, In Egitto, paese con oltre 100 milioni di abitanti che produce molto meno grano di quanto ne consumi. “L’Egitto – scrive Puglisi – ha vietato il commercio di grano da parte di terzi fino alla fine di Agosto”. Insomma, gli agricoltori egiziani non possono esportare il grano, ma lo debbono vendere al Governo egiziano. “Il Governo egiziano – scrive Puglisi – mira ad acquistare l’intero raccolto dagli agricoltori locali, poiché quest’anno punta a 6 milioni di tonnellate di grano domestico”. A questo punto Puglisi ci dà una notizia importante: “L’Egitto potrà accedere a oltre 600 milioni di dollari dalla Banca Mondiale e dall’Unione Europea per migliorare il suo sistema di silos di grano e sostenere gli acquisti di grano del Governo mentre lotta con le ricadute delle interruzioni dell’Ucraina. Nell’ambito di un programma di sicurezza alimentare in attesa dell’approvazione da parte del consiglio di amministrazione della Banca mondiale, l’Egitto riceverà 380 milioni di dollari per aiutare il suo acquirente statale di cereali a importare fino a 700.000 tonnellate di grano per il suo programma di sussidi per il pane. Ulteriori 117,5 milioni di dollari verrebbero stanziati per aumentare la capacità dei silos, finanziare lo sviluppo di varietà di grano ad alto rendimento e migliorare la resilienza climatica. Separatamente, la Commissione europea ha mobilitato 75 milioni di euro (80,24 milioni di dollari) per l’espansione della capacità di stoccaggio del grano dell’Egitto e 25 milioni di euro (26,75 milioni di dollari) per le piccole e medie imprese nel settore agricolo”. Queste iniziative servirebbero anche ad alcuni Paesi dell’Unione europea dove si producono i cereali e non è facile capire perché la Ue intervenga in favore dell’Egitto e non del proprio grano! Scrive ancora Puglisi: “La scorsa settimana, il Ministero dell’approvvigionamento egiziano ha affermato che l’International Islamic Trade Finance Corporation (ITFC) con sede in Arabia Saudita ha raddoppiato il suo limite di credito all’Egitto a $ 6 miliardi per aiutarlo a importare grano. Dal Nord Africa, il ministro dell’Agricoltura algerino stima che il raccolto di grano quest’anno per il suo Paese sia di 3,2 milioni di tonnellate, contro i 2 milioni dell’anno scorso. Tuttavia, il Paese avrebbe già importato 3 milioni di tonnellate. Dal Levante, le autorità fitosanitarie e doganali turche avrebbero rifiutato 55.000 tonnellate di grano duro di origine indiana che è stato venduto a un acquirente privato in Turchia. La nave è attualmente al porto di Iskenderun, ma si ritiene che lascerà il porto poco prima dell’ormeggio. La CNN riporta che nuove immagini satellitari mostrano che un mercantile russo pieno di grano è arrivato nel porto siriano di Latakia, il suo secondo viaggio in quattro settimane. Le nuove immagini mostrano la nave portarinfuse MV Matros Pozynich a Latakia il 27 maggio. È una delle tre navi che hanno caricato grano nel porto di Sebastopoli in Crimea. È stato visto l’ultima volta a Sebastopoli il 19 maggio e successivamente è stato rintracciato mentre transitava nello stretto del Bosforo ea sud lungo la costa turca. Si stima che la nave possa trasportare circa 30.000 tonnellate di grano”.
Non ci sono novità dall’India. Come scriviamo da qualche settimana, questo Paese ha dovuto ridurre le esportazioni di grano a causa della siccità. In più c’è un vecchio problema: il timore, da parte di alcuni Paesi, che con il grano indiano arrivino parassiti che potrebbero danneggiare le coltivazioni. Non è una novità, ma fatti che fanno parte della storia dell’agricoltura mondiale. “Su questa scia – scrive Puglisi – la direzione generale del commercio estero dell’India ha emesso nuove regole rigorose per garantire il rispetto delle restrizioni all’esportazione di grano introdotte di recente”. Bene, fino ad ora, la produzione di grano in Australia, dove, clima permettendo, si dovrebbe andare verso una produzione da record. Insomma, almeno fino ad ora in Australia non ci sono stati problemi di siccità e nemmeno alluvioni. scrive Puglisi: “Gli agricoltori australiani, che sono emersi come il secondo esportatore di grano al mondo nel 2021/22, hanno quasi terminato la semina di grano di quest’anno su circa 14,45 milioni di ettari (35,7 milioni di acri), un massimo storico, incoraggiati da prezzi roventi e ideali condizioni di crescita, secondo le stime dell’intermediazione IKON Commodities. Gli agricoltori australiani, infatti, quest’anno hanno goduto dei prezzi del grano elevati di sempre, con una produzione record che ha dato un ulteriore vantaggio. Solo per esempio, questa settimana l’Australian Premium White (APW) è stato quotato a $ 440 a tonnellata, Free on Board, Western Australia, leggermente al di sotto del prezzo record di $ 460 a tonnellata di poche settimane fa. L’anno scorso il grano è stato prodotto su circa 14 milioni di ettari. Anche se è ancora troppo presto per stimare la dimensione completa del raccolto 2022-23, che sarà raccolto a fine anno, analisti e commercianti hanno iniziato a prevedere una produzione totale di circa 30-35 milioni di tonnellate, non lontano dal record 2021-22 raccolto di oltre 36 milioni di tonnellate. Gli acquirenti asiatici dipendono fortemente dal grano australiano, con la Cina che quest’anno emerge come il maggiore acquirente. L’Indonesia, il secondo acquirente di grano al mondo, il Giappone e la Corea del Sud sono altri importatori chiave nella regione. Gli importatori stanno cercando accordi conclusivi prima del solito per il raccolto che sarà pronto per il raccolto a novembre”.
La Cina è alle prese con una crescita dei pezzi dei generi alimentari, forse un po’ più sostenuta di quella registrata in altri Paesi del mondo. “E’ probabile – scrive Puglisi – che i consumatori cinesi debbano pagare di più per generi alimentari di base come pasta e pane quest’anno, poiché i prezzi record del grano vengono trasferiti ai produttori di generi alimentari”. Insomma, non è solo l’America di Biden ad avere problemi con l’inflazione. “Il grano raccolto in Cina nelle ultime settimane – leggiamo sempre nel report di Puglisi – viene venduto a circa 3.200 yuan ($ 477) per tonnellata, circa il 30% in più rispetto a un anno fa e il livello più alto mai registrato, nonostante la domanda stabile. L’aumento dei costi agricoli e le scorte limitate hanno spinto al rialzo i prezzi, supportati anche dalle preoccupazioni che le forti piogge dell’anno scorso potrebbero portare a un raccolto più piccolo. I prezzi della farina raffinata sono già aumentati di oltre il 10% in dall’inizio dell’anno, toccando livelli record, secondo i dati di Mysteel, una società di consulenza con sede in Cina, e potrebbero aumentare ulteriormente se i costi del grano continueranno a salire”. Il Governo cinese non è rimasto indifferente alla crisi. “Pechino ha emesso tre round di sussidi agli agricoltori – scrive Puglisi – ma i soldi devono ancora arrivare ai coltivatori che sono riluttanti a vendere il loro grano a buon mercato”.
L’Indonesia, che nelle scorse settimane aveva bloccato l’export di olio di palma, ha ripreso a esportarlo. L’Indonesia aveva imposto un divieto di esportazione di tre settimane perché erano in corso speculazioni sull’olio da cucina, prodotto con olio di palma. Quello che non ha fatto il Governo italiano di Mario Draghi con le speculazioni in corso sull’olio di semi.
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