di Enzo Guarnera
Ben nove università italiane sono sotto inchiesta penale della Magistratura per 85 concorsi pubblici truccati. In tutto sono indagati o rinviati a giudizio quasi 200 persone, tra rettori, docenti, ricercatori, impiegati amministrativi. Qualcuno è già stato condannato con riti alternativi, per gli altri si attendono le sentenze. Ma già adesso possiamo affermare che l’odore del marcio si avverte, ed è molto intenso. Ecco alcuni brani di intercettazioni agli atti dei fascicoli processuali:
– “Siamo tutti parenti. L’ università nasce su una base ristretta, una specie di élite culturale della città” (Francesco Basile, ex rettore di Catania).
– “A Roma preferiscono fare i patti con i siciliani perché sono affidabili, c’è la cosa della mafia” (Gaspare Gulotta, primario a Palermo).
– “Diritto costituzionale o pubblico? È soggettivo: dipende se vuoi il bignè o il cannolo” (Pasquale Costanzo, professore a Genova).
– “Una soluzione ce l’avrei, un po’ di mobbing obbligando a lavorare. E che si dimentichino i concorsi” (Marco Carini, primario a Firenze).
Leggendo tutte le intercettazioni emerge un ampio sistema di favori ed illegalità. Saranno i giudici a stabilire se e quali reati siano stati commessi. Ma, sul piano dell’etica pubblica e privata, il giudizio è di assoluta riprovazione. L’università italiana è gravemente malata, quasi in stato comatoso. Appare come una “istituzione totale”, gestita con metodi feudali, impermeabile ai valori di trasparenza e democrazia. Che pessimo esempio viene offerto ai giovani in procinto di entrare a pieno titolo nel contesto sociale e lavorativo! “Povera Patria!”, cantava Franco Battiato.
Foto tratta da La Sicilia