Continuano ad arrivare notizie di tonno pescato abusivamente sequestrato dalle forze dell’ordine. L’ultima scoperta in queste ore a Catania, dove è scattato il sequestro – da parte dei finanzieri della Sezione Operativa – di sette esemplari di Tonno Rosso del Mediterraneo per un peso pari a 1 tonnellata e mezzo. riprendiamo questa notizia per ricordare che il tonno, quando non è ben conservato, può diventare pericoloso per la salute umana. Siamo i primi a sostenere che le quote di pesca assegnate alla Sicilia sono poche e che sul tonno – soprattutto sul Tonno Rosso del Mediterraneo, che è considerata la specie più pregiata del mondo – si consumano grandi speculazioni, perché i giapponesi pagano il Tosso Rosso a prezzi stratosferici. Ma il problema non si risolve con la pesca abusiva, perché, spesso, per sfuggire ai controlli, il tonno viene conservato male, soprattutto in un periodo come l’attuale con temperature superiori a 30 gradi centigradi! cosa può succedere ingerendo tonno conservato male lo ha illustrato in un articolo Maddalena Albanese, illustrando la patologia in cui si può incappare mangiando tonno conservato male: la sindrome sgombroide. “La sindrome sgombroide – scrive Maddalena Albanese – è una patologia acuta, di solito autolimitantesi, massimo nell’arco di 48 ore, caratterizzata da manifestazioni di tipo simil allergico, legati all’attività di un’amina biogena: l’istamina. L’istamina endogena, liberata dai mastociti è il principale mediatore delle reazioni allergiche, che altro non sono che reazioni massive ed eccessive contro agenti esterni, reazioni che si manifestano con vasodilatazione (iperemia al volto o a tutto il corpo), prurito, difficoltà respiratoria, alterazioni della pressione con ipotensione, fino allo shock anafilattico. L’istamina esogena, quella della quale stiamo parlando, deriva dalla decarbossilazione di un’aminoacido, l’istidina, ad opera dell’enzima istidina decarbossilasi”.
Non si scherza con la sindrome sgombroide: “I pesci che potrebbero creare problemi se conservati male fanno parte dei cosiddetti ‘pesci azzurri’: Tonno Rosso del Mediterraneo, Tonno pinna gialla, tonnetto striato o ‘bonito, sarda, acciuga, lampuga, aringhe. Specie ittiche soggette a lunghi e costanti spostamenti, che contengono l’istidina nei muscoli in forma libera e facilmente catabolizzabile. In questi pesci, l’istidina in forma libera ha lo scopo di contrastare gli effetti dell’acido lattico che si accumula nei muscoli dei pesci migratori. Inoltre i pesci a carne rossa (es. il Tonno) contengono quantità di istidina nettamente superiori rispetto ai pesci a carni bianche (15 gr/kg rispetto ad 1 gr/kg9. In ultimo, la concentrazione di istidina nei muscoli dei pesci aumenta progressivamente dall’Inverno all’Estate. Ecco perché la sindrome sgombroide è legata più strettamente al consumo primaverile di tonno. Va detto che anche alcuni crostacei sono stati occasionalmente coinvolti in episodi di sindrome sgombroide. La sindrome sgombroide si può già manifestare quando l’istamina è presente nelle parti edibili dei pesci in una quantità superiore a 200 parti per milione (vale a dire 20 mg /100 gr di pesce). Per le premesse suddette è facile capire che si forma nei pesci in cui vengono mantenute le interiora, o che vengono puliti in maniera poco accurata, o che vengono conservati a temperature alle quali è facile che si accrescano le popolazioni batteriche che colonizzavano le interiora dei pesci: temperature superiori a 1/2 gradi centigradi, quindi temperature superiori a quelle proprie dei frigoriferi. È sufficiente che questa protezione data dal freddo – dalla pesca del pesce al suo consumo e che prende nome di “catena del freddo” – venga interrotta anche solo per poche ore, che subito gli enterobatteri, produttori di istidina decarbossilasi, proliferino e comincino a trasformare l’istidina in istamina. La normativa vigente prevede che i prodotti del pescato vengano conservati a temperature vicine a quelle di fusione del ghiaccio. L’istamina, una volta prodotta, non si degrada più, neppure con le alte temperature della cottura o con le basse temperature del congelamento/surgelamento, né tanto meno con l’affumicatura o la marinatura. Quindi, se è già presente nel pesce che viene comprato per essere portato in tavola, verrà assunta dai commensali con tutte le conseguenze che questo comporta”.
“Le manifestazioni della sindrome sgombroide – scrive sempre Maddalena Albanese – sono numerose e di diversa entità e si cominciano a manifestare nell’arco di un’ora dall’assunzione del pesce. Vanno dal lieve malore, con un po’ di cefalea e nausea transitoria, al rossore al volto associato a prurito (come una vera e propria reazione allergica), fino a disturbi respiratori, ad alterazioni del ritmo cardiaco (dalle semplici palpitazioni alla letale fibrillazione ventricolare), ad alterazioni pressorie, a disturbi cardiaci di tipo ischemico per arrivare anche allo shock cardiogeno con edema polmonare. Le forme gravi, comunque, sono abbastanza rare, anche se richiedono ospedalizzazione, perfino in terapia intensiva, quando presenti. Le forme lievi, che sono le più comuni, di solito regrediscono in 24 ore, autonomamente o dopo terapia con brevi accessi di Pronto Soccorso. L’ampio spettro sintomatologico può essere legato alla diversa quantità di istamina ingerita o anche ad una diversa reattività al l’istamina dei soggetti interessati (ad esempio le donne sembrano essere più sensibili degli uomini, o i soggetti con storia di reazioni allergiche sono più suscettibili all’istamina esogena, ingerita con il cibo). Avere la certezza che il pesce che si sta consumando non contenga dosi tossiche di istamina non è possibile; infatti le qualità organolettiche delle carni non vengono alterate da questa ammina biogena. Abbiamo già detto che la cottura o il congelamento “a posteriori” di carni di pesce contaminate non purifica i cibi, che, quindi, rimangono contaminati. Lo stesso pesce in scatola, una volta aperto, si può contaminare di batteri dall’esterno e cominciare a produrre istamina, quindi va rigorosamente conservato in frigorifero e consumato, se possibile, entro 24 ore”.
E allora? Come fare per essere ragionevolmente certi di consumare un cibo che ci nutra invece di avvelenarci?