di Antonella Sferrazza
All’annuale show dei soliti noti che in questi giorni si esibiranno sui palchi di Palermo – in molti casi gli stessi che non hanno mai mosso un dito per sgretolare il “muro di omertà istituzionale” di cui parla Fiammetta Borsellino costruito intorno alla verità sul periodo delle stragi – quest’anno si aggiunge con vigore un altro squallido fenomeno: la strumentalizzazione politica dei nomi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Certamente non è un fenomeno del tutto nuovo, ma le ‘vette’ raggiunte in questo periodo di campagna elettorale per le elezioni comunali di Palermo non si erano mai viste e destano amarezza, perché rivelano tanta miseria umana, oltre che politica. C’è, infatti, qualche parte in gioco che tenta di “fare fuori” gli avversari dispensando patenti di mafiosità e antimafiosità. Il vuoto cosmico, a livello politico, non trova altre argomentazioni se non quella di auto-nominarsi erede legittimo del nome di Falcone e Borsellino, mentre gli altri no, per carità, gli altri sarebbero solo una vergogna per questi due eroi siciliani trucidati nel nome di chissà quale trama di real politik terroristica.
Va da sé che parliamo della gogna cui viene sottoposto quotidianamente l’ex presidente della Regione, Totò Cuffaro, insieme con Marcello Dell’Utri, entrambi schierati a sostegno della candidatura a Sindaco di Palermo, di Roberto Lagalla. I primi due, secondo i concorrenti, non avrebbero l’autorevolezza antimafiosa per sostenere una qualsivoglia candidatura. Di conseguenza, anche Lagalla sarebbe uno che non può rappresentare nulla di buono. Anzi, è il male. Che offende la memoria di Falcone e Borsellino. Insomma, misera propaganda da quattro soldi fatta sulla pelle di due siciliani d’oro, offensiva di certo della loro memoria. Parole che i siciliani perbene non dovrebbero consentire (in effetti, pare stiano ottenendo l’effetto contrario). Perché?
Una breve premessa. E’ un fatto che Cuffaro sia stato condannato per favoreggiamento alla mafia, come è un fatto che abbia scontato la sua pena. Niente gli impedisce di impegnarsi in politica come sta facendo. E’ una questione morale, dunque? Alcuni la pensano così e non lo voteranno. Altri, come ad esempio, Andrea Piazza, avvocato e fratello di una vittima di mafia (il fratello Emanuele, poliziotto, assassinato nel 1990) pensano invece che la verità processuale non sempre coincida con la verità in senso stretto. Ed eccolo li, con il suo carico pesante di esperienza e dolore, al fianco di Cuffaro. Sicuramente, di casi in cui la verità processuale non era poi del tutto vera ce ne sono tanti. Anche, per restare sul tema delle stragi, nell’ambito dell’infinita inchiesta sulla strage di via D’Amelio. Scarantino docet.
Nel nostro caso, chi ha ragione? Lo decideranno gli elettori. Lo stesso vale per Marcello Dell’Utri, la cui posizione, a giudizio di chi scrive, è molto più complicata e oscura di quella di Cuffaro, sotto il profilo storico-politico, soprattutto, per il ruolo nazionale e il preciso momento storico in cui compare la sua creatura politica (l’ex senatore di Forza Italia è comunque stato assolto, per restare sul piano del codice penale, dall’accusa di avere svolto un ruolo nella trattativa Stato-mafia).
Ma anche qui, la parola va agli elettori che scemi non sono.
Tutto sommato, trattasi di considerazioni e giudizi che, se sono accettabili all’interno di un qualsiasi salotto o al tavolo di un bar, diventano insopportabili se buttate con foga nell’agone politico da quegli avversari politici che stanno cercando, con una retorica marcia, di identificare la mafia (pur sapendo, ormai tutti, che dietro le stragi del 1992, c’era ben altro) con i rivali politici e con chi li vota. Indegni candidati, indegni sponsor e pure chi li sostiene- dicono- perché fanno un torto a Falcone e Borsellino.
Ma davvero, loro – i presunti depositari delle verità – hanno l’autorevolezza e la limpidezza d’animo per distribuire patenti antimafia? Non sono, forse, molti di loro, gli stessi che hanno fatto alleanze con quell’associazione di “prenditori” che rispondeva al nome della Confindustria Sicilia di Antonello Montante? Non sono, forse gli stessi che hanno consentito a questa banda di “prenditori” di colonizzare il Governo regionale di Rosario Crocetta- indagato anche lui- con la sistematica occupazione di assessorati ed enti economici strategici in termini di risorse? E in quale partito militava Crocetta? Non era forse un esponente del PD? Non è, forse, Antonello Montante, la falsa icona dell’antimafia, la vera essenza del professionista dell’antimafia, per dirla con Sciascia, un condannato per fatti gravissimi? Undici anni per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, amicizie con mafiosi doc, regista, secondo i giudici, di un sistema composto da politici, imprenditori (“prenditori” sarebbe meglio) e servitori dello Stato, basato su corruzione, pressioni, dossieraggi.
Eppure, c’è stato un tempo, non troppo lontano, in cui ha regnato incontrastato, a Palazzo d’Orléans e dintorni, con il sostegno di chi oggi dispensa patenti di antimafiosità ai rivali politici (per la cronaca, chi scrive, insieme con il collega e direttore di questo sito, Giulio Ambrosetti, in quegli anni ha collezionato nove querele dalla banda dei “prenditori” di Montante, tutte archiviate, tutte ignorate da chi ne celebrava le gesta. Insomma, chi non vedeva era solo chi non voleva…).
Ecco, dunque, che la cosa diventa indigesta. Se qualsiasi valutazione sulla ‘antimafiosità’ dei candidati e di chi li sostiene è lecita da parte di ogni semplice cittadino, oltre che dalle autorità preposte, così come è lecito da parte dei parenti delle vittime delle mafia (e non c’è unanimità, come ci ricordano le parole di Andrea Piazza), non lo è da parte di chi ha regnato con Crocetta e Montante. Perché questi signori che oggi si auto-proclamano antimafiosi per antonomasia erano parte di quel sistema. Anche se, e qui torniamo alla verità processuale che può divergere da quella storica, non ci sono prove materiali evidenti, erano comunque parte integrante di quel mondo. Con il sostegno, con il manuale Cencelli, con la calcolatrice. Con il silenzio. Erano complici.
Ecco, allora la cosa giusta da dire sarebbe forse che se sono legittimi eredi di qualcuno, questo qualcuno è anche Montante. Ergo, da quale pulpito arrivano le prediche? Questa ipocrita strumentalizzazione dei nomi di Falcone e Borsellino, che di certo non avrebbero apprezzato il sistema Montante e i suoi proseliti, non è, forse, offendere o, peggio, sporcare, la loro memoria?
Spiace che a scrivere queste cose debba essere chi non ha mai votato i partiti di Cuffaro, Dell’Utri e Lagalla, né, con ogni probabilità, mai lo farà perché incline, ideologicamente, ad altro. Forse all’isola che non c’è. O che non c’è più. Ma la nausea dinnanzi a tanta miserabile ipocrisia non lascia scelta. “Nessuno – scrive Nathaniel Hawthorne – può, per un periodo che non sia brevissimo, indossare una faccia da mostrare a se stesso e un’altra da mostrare a tutti gli altri, senza alla fine trovarsi nella condizione di non capire più quale possa essere la vera”.
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