Elezioni comunali di Palermo: a proposito delle polemiche di queste ore sollevate dal solito centrosinistra senza idee su Totò Cufaro e Marcello Dell’Utri segnaliamo un’intervista di Live Sicilia al professore Giovanni Fiandaca, giurista, docente di diritto penale all’università di Palermo e garante dei detenuti. La polemica, è noto, viene sollevata contro il candidato sindaco del centrodestra, Roberto Lagalla, ‘reo’ di essere sostenuto dalla Nuova Democrazia cristiana fondata da Totò Cuffaro e dall’esponente di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, entrambi condannati per fatti legati alla mafia ma ormai liberi cittadini dopo aver sconta la pena. “Una premessa è scontata – è l’incipit del professore -. La questione è complessa e delicata e non può essere banalizzata, né è opportuno dar luogo a equivoci. Cerco, perciò, di essere più chiaro possibile. Come giurista sensibile ai principi costituzionali, raccomanderei di distinguere l’aspetto giuridico-costituzionale che, non solo ai miei occhi, in una democrazia come la nostra, è della massima importanza, dalla valutazione politica. Quanto alla dimensione costituzionale, anche i cittadini comuni dovrebbero una volta per tutte maturare la consapevolezza che una condanna penale, anche per un reato di mafia, non comporta affatto un giudizio di perpetua indegnità morale o di perpetua inaffidabilità sociale o politica della persona condannata”.
“Una persona che ha già scontato la pena inflittale per usare espressioni tradizionali ha saldato il debito con la società – dice il professore Fiandaca – ha riparato il male commesso, è pertanto ritornato a essere un cittadino in pieno possesso dei suoi diritti che nessuno si può permettere di censurare pubblicamente a causa dei reati commessi in passato. Persone come Salvatore Cuffaro o lo stesso Marcello Dell’Utri hanno tutta la libertà, se lo ritengono, di continuare a impegnarsi politicamente. E sarebbe ingiusto e incostituzionale pretendere di criticarli per il semplice fatto che, da ex condannati per reati di contiguità mafiosa, intendono continuare a esercitare un ruolo politico attivo, eventualmente condizionando le dinamiche politico-elettorali. Altra cosa è il diritto a ricandidarsi che, in questo caso, presuppone un giudizio di riabilitazione ancora a di là da venire, almeno secondo il diritto tuttora vigente, sempre che la Corte europea non dica niente di nuovo sul punto… Piuttosto, riconosciuta la piena libertà e legittimità dell’uno o dell’altro di volere continuare a impegnarsi in politica, la critica dovrebbe rivolgersi al merito politico, al senso e al contenuto dei consigli, dei suggerimenti o delle proposte concrete che personaggi ex condannati potrebbero portare nel dibattito politico. E se il professore Lagalla accetta quel sostegno, non vuol dire che stia accettando di difendere interessi oscuri. Questo è un modo giustizialista e populista di intendere”.
“Sarei tra coloro i quali ritengono che sia maturato il tempo, per i politici, di passare una buona volta dall’antimafia delle parole, dei gesti, e delle esibizioni pubbliche a una antimafia fatta di cose concrete, di scelte amministrative e forme di effettiva vigilanza che tolgano spazio ai condizionamenti mafiosi, nonché di interventi in chiave di prevenzione e sostegno sociale, volti a porre i cittadini più bisognosi e vulnerabili in condizioni di resistere alla ricorrente tentazione di seguire scorciatoie criminali. Questo concreto impegno antimafia, da realizzare e sviluppare, all’interno di un credibile e complessivo programma di futura gestione politico-amministrativa della città, dovrebbe essere assunto da entrambi i principali candidati sindaci. Non solo a parole, ripeto, ma spiegando appunto cosa specificamente intendono fare per mantenervi fede. E poi, in definitiva, non credo che Cuffaro e Dell’Utri abbiano oggi in mano le sorti del centrodestra e conosco e stimo Roberto Lagalla. In ogni caso mi sento di escludere che egli si faccia consapevolmente rappresentante di interessi poco nobili”.