di Nota Diplomatica
C’è in corso una sorta di guerra ideologica contro il consumo di carne. Dal punto di vista ‘culturale’ è difficile dire esattamente da dove provenga, almeno in Occidente. Forse nasce col cristianesimo ascetico e la lezione secondo cui la vita debba essere ‘ripagata’ attraverso la mortificazione del corpo e una dieta rigidamente prescritta, oppure – emotivamente – con la progressiva ‘disneyficazione’ dell’educazione giovanile che propone a getto continuo simpatici animaletti parlanti. Non si macellano gli amichetti, sono da coccolare… Comunque sia, era inevitabile che il discorso vegetarianismo/veganismo si sposasse con quello ecologico – un altro tema che comprende grandi elementi della ricerca della ‘purezza’ primitiva, pre-industriale. Il passaggio negli ultimi anni dal pacato vegetarianismo al più radicale veganismo è stato così profondo che The Economist ha proclamato il 2019, l’anno del suo picco, “The Year of the Vegan”. È un fenomeno ormai in fase calante, ma ha aperto la porta a un fiorire di proposte recenti per ‘salvare il pianeta’, attraverso l’abolizione della dieta carnivora.
In un recente studio americano, ricercatori delle Università di Berkeley e di Stanford calcolano che “la rapida abolizione della ‘agricoltura animale’ potrebbe potenzialmente stabilizzare i livelli di gas serra per trent’anni e contrastare il 68% delle emissioni di CO2 di questo secolo”. È un’idea abbracciata anche dall’Onu, secondo cui: “Una riduzione nel consumo della carne aiuterebbe a combattere la fame nel mondo e il cambiamento climatico”, perché “Il passaggio a una dieta vegetariana potrebbe liberare vaste terre agricole e ridurre la produzione di biossido di carbonio”. Il problema in tutto ciò è quello di trovare la maniera di procedere. All’infuori di alcune popolazioni sud-asiatiche – soprattutto la componente indù – che rifiutano la carne rossa per motivi religiosi, il resto del mondo perlopiù non disdegna la bistecca. I governi – per carità, sempre per combattere la crisi climatica – sono attratti dall’idea di introdurre una “meat tax”, ovvero tassare pesantemente la carne per renderla meno appetibile. Il tema è attualmente allo studio del Governo britannico.
iamo in una curiosa fase in cui l’imperativo democratico di soddisfare i bisogni e i desiderata della maggioranza sempre più si orienta invece ad accontentare le piccole – ma “chiassose” – minoranze che vorrebbero ripristinare il Paradiso perduto. Nel caso, si stima che la popolazione ‘vegana’ della Terra non arrivi all’1 per cento, e che tra questi, solo una scarsa minoranza conduca uno ‘stile di vita’ integralmente vegano. Eppure, le campagne contro le botteghe dei macellai o per vietare di dare la carne ai cani nei canili municipali hanno comunque un impatto sull’opinione pubblica e sulla politica. L’implicito progetto dell’Onu di trasformare i ranch in risaie – e, di conseguenza si suppone, i cowboy in mondine, o forse in ‘operatori ecologici’ di qualche tipo – ha il suo fascino. Ma, non si doveva tornare al
‘naturale’? È difficile – forse impossibile – trovare prodotti più ‘artificiali’ della carne sintetica vegana che dovrebbe prendere il posto di quella reale, anche se i produttori hanno pure trovato la maniera di far sì che ‘sanguini’ in modo realistico… Cosa penseremo di tutto questo tra venti o trent’anni?
foto tratta da Pazienti.it