di Nota Diplomatica
Al diavolo gli ideali, qui la benzina costa troppo! È questo il messaggio inequivocabile mandato da una larga fetta dell’elettorato americano ai propri leader attraverso un interessante sondaggio Morning Consult/Politico. In breve, il 62% degli elettori Dem interpellati ritiene che gli Usa dovrebbero ammorbidire le proprie politiche verso alcuni dei governi più detestati dagli americani – quelli dell’Iran, dell’Arabia Saudita e del Venezuela – a patto che ciò portasse a una riduzione del prezzo della benzina, che attualmente viaggia mediamente su (Oddio!) un euro al litro negli Stati Uniti. I Repubblicani, al 41% invece, si “vendono” un po’ meno facilmente in queste circostanze. Forse è solo perché sono più dubbiosi sul fatto che i prezzi petroliferi abbiano molto a che fare con la “simpatia” tra nazioni e condividono meno la speranza secondo cui: “Se li trattiamo meglio, forse ci fanno lo sconto…” Intanto, mezza Europa è in guerra con Vladimir Putin, ma non esita ad andare a Mosca per piatire qualche litro di greggio o pochi metri cubi di gas in più.
È possibile vedere nel sorprendente risultato del sondaggio americano un’indicazione di come entrambi i partiti di massa del Paese comincino lentamente ad abbandonare la confortante visione “da Baci Perugina” di cosa sia la democrazia—non più la fiera dell’alta moralità e del “volemose bene”, ma uno strumento fondamentalmente cinico per conoscere la vera volontà popolare, cosicché si possa governare a favore del “bene maggiore per il maggior numero di persone”. Da qualche decennio, la politica un po’ ovunque è stata dominata da una sorta di teatrino morale perenne, una gara di perbenismo tra le parti. Sentivamo di poterci permettere il lusso di andare in giro a svendere il benessere della maggioranza a favore di minuscole minoranze e di problemi geograficamente molto distanti, e perfino di chiamare “democratica” tanta generosità sbilanciata. L’idealismo è certamente una cosa magnifica, ma forse non quando ostacola necessità concrete e immediate. L’idea alla base della democrazia – un’idea “forte” – è che la gente, votando, voterà grettamente per i propri interessi e vantaggi personali. Invece, abbiamo scoperto negli ultimi decenni di prosperità che, quando la popolazione sta mediamente bene, è perfettamente capace di scegliere di trascurare il proprio
vantaggio e di spendere il voto a favore di cause e ideali certamente nobili, anche se lontani dalla vita quotidiana: per il benessere degli orsi polari o per promuovere generi sessuali finora sconosciuti. Poi arrivano i conti, sociali o fiscali, e la popolazione resta insoddisfatta delle scelte della politica… Trattare la democrazia come se fosse la perfezione – e tutte le scelte democratiche come se fossero dunque “perfette” – è una ricetta per ottenere l’insoddisfazione generale quando gli elettori smettono di tenere conto dei propri interessi e a favorire invece altri che ingoiano risorse senza generarne di nuove. Restano solo i buchi nei bilanci statali – come gli altri buchi che s’incontrano per le strada dissestate… Per il bene di tutti, potrebbe paradossalmente convenire che diventassimo meno generosi, meno globali, meno idealisti, più meschini e meno magnanimi, anche a costo di dover fare la beneficenza trovando i soldi nelle nostre tasche anziché in quelle dello stato ignavo.