Viviamo in un mondo di matti. Nel pieno di cambiamenti climatici imprevedibili che potrebbero ridurre drasticamente le produzioni agricole mondiali – e quindi gli alimenti per l’uomo con lo spettro di carestie che potrebbero interessare anche l’Europa, priva di sovranità alimentare – ci mettiamo a fare guerre che stanno ulteriormente riducendo le produzioni agricole. Una follia. Oggi il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, sarà a Bruxelles per il vertice della Nato. Dicono che ci saranno nuove sanzioni contro la Russia. In realtà ieri il leader della Russia, Putin, ha anticipatogli eventi annunciando, dopo un mese di guerra in Ucraina, che d’ora in poi chi vorrà acquistare gli idrocarburi russi dovrà pagarli in rubli. E’ chiaro che il messaggio è rivolto all’Unione europea che, un giorno sì e l’altro pure, d’accordo con gli americani, commina sanzioni alla Russia. La domanda è: bisognerà pagare in rubli anche i prodotti agricoli russi, a cominciare dal grano? Fino a prima delle armi atomiche – che se usate distruggerebbero il mondo – le guerre erano la conseguenza dei dissidi economici tra le nazioni. Oggi ci sono nel mondo tante guerre locali nelle quali non si usano armi atomiche. Solo che oggi l’Ucraina – dove è in corso una guerra che non è esattamente locale – è, di fatto, uno scenario di guerra mondiale dove al posto delle armi atomiche si utilizzano le sanzioni economiche. Difficile dire come finirà. Leggendo Sputnik Italia – dove si capisce molto bene qual è la strategia russa – si evince con chiarezza che la Russia non ha accettato una guerra-guerreggiata nei quartieri, nelle piazze e nelle vie delle città ucraine solo per proteggere la popolazione. L’obiettivo dei russi – e questo Zelensky l’ha capito benissimo, per questo cerca aiuto parlando nei Parlamenti di tutti i Paesi che gli vengono a tiro – sembrerebbe quello di cacciare dall’Ucraina lo stesso Zalensky, i suoi sodali e la popolazione che non si riconosce nella cultura russa. Non sappiamo quanto i russi impiegheranno per realizzare tale obiettivo. Se la strategia è questa – e i segnali dicono che potrebbe essere questa – ciò comporterà un esodo biblico di profughi verso l’Europa che è già iniziato. E questo spiega il nervosismo dei polacchi, che hanno capito perfettamente quello che sta succedendo (sono preoccupati perché il fiume di profughi passerà in buona parte dalla Polonia). All’inizio si parlava di 3 milioni di profughi, poi di 6 milioni, ora di 10 milioni di profughi. Non hanno ancora preso tutti la via per l’Europa. Ma è solo questione di tempo. E potrebbero aumentare: 12 milioni, 15 milioni, 18 milioni di profughi, tutti verso l’Europa…
E’ in questo scenario di guerra – tra sanzioni e contro-sanzioni – che si inseriscono il vertice Nato di oggi in Europa e le mosse di Putin che, ovviamente, sono concordate con la Cina. E mentre gli idrocarburi russi, d’ora in poi, si pagheranno in rubli, è notizia che, nei mercati dell’energia, ieri i prezzi del petrolio sono aumentati. Lo leggiamo nel report di Sandro Puglisi. “Il calo riportato nelle scorte di greggio statunitensi – scrive Puglisi – ha aumentato i timori per le scarse forniture globali. Gli ultimi dati del gruppo industriale American Petroleum Institute, infatti, hanno mostrato che le scorte di greggio negli Stati Uniti sono scese di 4,3 milioni di barili nella settimana terminata il 18 Marzo, in contrasto con le previsioni degli analisti di un aumento di 100.000 barili. Pertanto, i future sul greggio Brent sono saliti di $ 1,77, o dell’1,53%, a $ 117,25 al barile alle 04:43 GMT, dopo essere caduti di 14 centesimi nella sessione precedente. I future sul greggio US West Texas Intermediate (WTI) sono aumentati di $ 1,51, o dell’1,38%, a $ 110,78 al barile, dopo aver perso 36 centesimi martedì. I prezzi sono scesi ieri poiché l’Unione Europea sembra improbabile che accetti un divieto sul petrolio russo. Tuttavia, il mercato resta in bilico sulla prospettiva di ulteriori sanzioni alla Russia”.
La guerra in Ucraina comincia a sortire effetti negativi nei Paesi africani e del Medio Oriente che, tradizionalmente, acquistavano il grano ucraino. Per la cronaca, l’Ucraina, prima della guerra, era il terzo esportatore di grano nel mondo. I Paesi che oggi potrebbero avere problemi per mancanza del grano ucraino o sono vicini alla Russia e alla Cina, o sono Paesi che non hanno preso posizione sulla guerra. A questi Paesi la Russia e la Cina dovranno dare risposte concrete. Questo spiega perché la Russia in questi anni si è impegnata per non perdere l’agibilità nel Mar Nero. Come scrive Puglisi, la Russia dovrà trovare il modo per fare arrivare il grano in questi Paesi. Nel frattempo arrivano brutte notizie sulla produzione agricola ucraina. Lo scorso anno l’Ucraina non è stata colpita dagli effetti nefasti dei cambiamenti climatici. Ma quest’anno, dove non è arrivato il clima è arrivata la guerra. Puglisi, citando il ministro dell’Agricoltura ucraino, scrive che, in questa Primavera, le superfici coltivate sono stimate in 7 milioni di ettari, una riduzione di circa la metà di quanto avrebbe dovuto essere seminato. Ciò vale anche per le colture invernali come il grano. Il ministro ucraino prevede addirittura che sui 6,5 milioni di ettari seminati in Autunno potrebbero essere raccolti solo 4 milioni di ettari. Ci sono anche problemi per il mais, per la soia, per la canola e, soprattutto, per il girasole, con un 48% in meno rispetto allo scorso anno (sempre per la cronaca, l’Ucraina è il primo produttore al mondo di olio di girasole). Anche in Ucraina ci sono problemi con i fertilizzanti. In un momento storico nel quale i cambiamenti climatici potrebbero ridurre la produzione mondiale di grano, di mais, di soia e via continuando queste non sono belle notizie: anzi.
A proposito di fertilizzanti, una notizia particolare arriva dal Nord Africa. Riferisce Puglisi, citando la compagna petrolifera algerina Sonatrach, che Algeria e Cina hanno firmato un accordo parasociale per investire 7 miliardi di dollari per produrre 5,4 milioni di tonnellate di fertilizzante all’anno nella regione algerina di Tebessa. L’Algeria prevede che il progetto fosfato creerà 12.000 posti di lavoro durante la fase di costruzione. Dall’Africa al Medio Oriente. Anche in quest’area del mondo cresce la preoccupazione per la mancanza di grano. Il Libano conta di importare grano dall’India, in sostituzione del grano ucraino (in India, lo scorso anno, il grano è andato benissimo). L’impennata dei prezzi dei cereali e dei mangimi si avverte in tante aree del mondo. Puglisi riporta la situazione nel sultanato dell’Oman, dove l’annata del grano mostra “una tendenza positiva poiché in diversi wilayat è evidente un aumento del raccolto di grano di alta qualità. Il Ministero dell’agricoltura, della pesca e delle risorse idriche ha incoraggiato gli agricoltori a coltivare il grano e preservarlo il più possibile. La resa del grano nelle fattorie di Al Najd raggiunge circa 1.500 tonnellate, con un aumento di oltre 1.000 tonnellate nell’ultima stagione”.
L’Europa, infine. Dove, scrive Puglisi, “i mercati sono rimasti in crescita per tutti i prodotti messi insieme. Euronext, tuttavia, ha vissuto un’altra sessione molto instabile. I prezzi dei cereali hanno aperto con modesti guadagni prima di chiudere la sessione con una progressione più misurata. I prezzi della colza, dal canto loro, hanno testato la soglia psicologica di 1.000 €/t nell’ultima scadenza del raccolto 2021, ovvero maggio 2022. Nel frattempo, secondo gli ultimi dati della Commissione europea, le importazioni di mais dell’UE durante la campagna di commercializzazione 2021/22 hanno raggiunto 11,87 milioni di tonnellate fino al 20 marzo, una cifra leggermente inferiore al ritmo dell’anno scorso. Per la soia, l’Unione Europea ha importato 9,86 milioni di tonnellate fino al 20 marzo, una riduzione anno su anno del 7,8% finora. Anche le importazioni di farina di soia dell’UE sono leggermente inferiori al ritmo dello scorso anno, con 11,73 milioni di tonnellate. Le importazioni di colza si sono attestate a 3,81 milioni di tonnellate, ben al di sotto dello scorso anno a 5,01 milioni”. Questi i dati. Poi ci sono i problemi politici. O meglio, di Politica Agricola Comune. Nel giro di un mese – grosso modo da quando è scoppiata la guerra in Ucraina – i governanti europei si sono accorti di avere sbagliato tutto o quasi in materia agricola. Hanno ignorato la sovranità alimentare e, adesso, si ritrovano a fare i conti con un mondo nel quale tutti i Paesi, vuoi per le guerre in corso (non c’è solo la guerra in Ucraina), vuoi per i cambiamenti climatici cominciano a ridurre le esportazioni. Ora la Ue cerca di correre ai ripari. Ma lo fa in un clima di grande confusione. Mentre è ancora in corso il Set-Aside (pagare gli agricoltori per tenere incolti i seminativi: una follia che va avanti da decenni!), la stessa Unione europea spinge gli agricoltori a coltivare i fondi che la stessa Ue ha ‘congelato’. Addirittura, per aumentare le produzioni la stessa Ue rilancia il consumo di pesticidi ed erbicidi. La Ue non ha mai brillato per intelligenza nelle politiche agricole. Ma il caos di questi giorni è indescrivibile. Perché? Nessuno lo dice a chiare lettere (anche per scaramanzia), ma non si sa quello che potrebbe succedere quest’anno con i cambiamenti climatici. Se siccità e alluvioni dovessero riproporsi come lo scorso anno ci sarebbero problemi molto seri anche in Europa.
Già, i cambiamenti climatici. I segnali che si intravedono sono un po’ sinistri: come la siccità invernale – inaspettata – che ha colpito alcune aree dell’Europa, a cominciare dal Nord Italia dove il Po è in secca da oltre due mesi. Con effetti non facilmente calcolabili. L’Italia dovrebbe preservare la propria produzione agricola, ma una parte della produzione agricola del Sud, della Sicilia e della Sardegna, nelle scorse settimane, è andata perduta per via delle proteste degli autotrasportatori per il caro-carburante. Se il Governo di Draghi avesse adottato subito le misure per fronteggiare questo problema l’Italia non avrebbe perso ortofrutta e gli agricoltori non avrebbero subito danni. Invece il Governo Draghi ha impiegato circa un mese di tempo per trovare, poi, soluzioni che non sembrano risolutive. Nel frattempo dopo che Putin ha annunciato che chiederà il pagamento in rubli per gli idrocarburi del suo Paese – e qui torniamo all’inizio di questo articolo – il prezzo del gas è schizzato all’insù. Di quanto? Ieri sera, in Italia, si parlava di un aumento del 16%. Sputnik Italia, invece, dava l’incremento del prezzo intorno al 25%. Così gli italiani – che fino ad oggi hanno pagato gli stratosferici aumenti del prezzo del gas per una volgare speculazione che nessuno ha bloccato – adesso cominceranno a pagare il gas ad un prezzo ancora maggiore, questa volta per decisione della Russia che comincia a controbattere alle sanzioni europee. Vediamo che succederà oggi tra mercati e vertice Nato a Bruxelles.
Foto tratta da ISPI