Anche la Rai ha dedicato un servizio informativo serio alla questione del grano, argomento che I Nuovi Vespri tratta da quando è in rete. In una trasmissione andata in onda il 13 Marzo (la trovate qui). Intervistato, l’industriale della pasta Carmine Divella mostra la bolletta del gas di Gennaio: 600mila euro contro i 129mila del Gennaio dell’anno scorso. Oltre 200mila euro per l’elettricità. Grano da Russia e Ucraina azzerato, e aumento del prezzo di 120 euro a tonnellata in pochi giorni (“una nave da 60mila quintali ci costa oltre mezzo milione di euro in più”). Il servizio Rai mostra le banchine del porto di Bari, dove fino a metà Febbraio arrivavano i carghi da Russia e Ucraina, completamente vuote con le gru ferme. La situazione si fa sempre più grave. Giustamente Divella fa notare come siano costretti ad aumentare il prezzo della pasta, ma come un aumento di 10-20 centesimi al chilo al Sud ormai povero, sia “una tragedia per le famiglie bisognose”. A Foggia, ‘Capitale’ italiana del grano duro, il prezzo del pane è aumentato del 25% in una settimana, superando i 4 euro al chilo. Siamo dunque tornati a sentire Mario Pagliaro. Non solo per un aggiornamento, ma per le sue previsioni che sempre più agricoltori, trasformatori del grano, ma anche cittadini consumatori sempre più preoccupati, seguono ormai in tutta Italia.
La prima domanda riguarda proprio l’energia. Pagliaro, la scorsa settimana parlava di rinascita dell’IRI e di industria pubblica. Siamo quindi rimasti sconcertati leggendo che Macron, un ex banchiere in tutto affine ai liberisti della UE, ha esplicitamente parlato di nazionalizzare l’industria dell’energia elettrica (www.lesechos.fr/industrie-services/energie-environnement/emmanuel-macron-ouvre-la-voie-a-un-edf-100-public-1394450).
“È inevitabile. L’Europa occidentale non ha risorse energetiche sufficienti al proprio fabbisogno. Se si vuole veramente fornire energia a basso costo a imprese e famiglie, ebbene, occorre che a farlo siano aziende statali. Il cui fine non è il massimo profitto per distribuire i maggiori dividendi possibili agli azionisti. Lo sapevano bene i nostri padri, che crearono le industrie pubbliche nazionali del petrolio e dell’elettricità tanto in Francia che in Italia e in Germania”.
In attesa che si torni alle aziende di Stato cosa possono fare le aziende per difendersi da questi folli aumenti dell’energia?
“Devono immediatamente solarizzare i tetti dei loro stabilimenti con il fotovoltaico. Per oltre 10 anni, predicando quasi nel deserto, abbiamo insistito con il Polo Fotovoltaico della Sicilia che imprese e famiglie lo facessero al più presto. Oggi, con i pannelli fotovoltaici che hanno raddoppiato la loro potenza da 200 a 400 Watt, un tetto come quello di un grande pastificio può superare i 3 MegaWatt di potenza. Il numero di stabilimenti che al Sud Italia hanno installato seriamente il fotovoltaico, invece, è irrisorio, rispetto al loro totale”.
Perché non lo hanno fatto?
“Perché quando il costo delle materie prime era bassissimo – pensiamo ad esempio al grano canadese oppure ai semilavorati metallici in arrivo dalla Cina – e il costo dell’energia ancora sostenibile, tutti pensavano che non ce ne sarebbe mai stato veramente bisogno. Lo stesso vale per le scuole, gli ospedali, gli impianti sportivi. O i Comuni. Ora che il costo di gas ed elettricità è alle stelle, tutti chiedono l’intervento dello Stato”.
Tornando al grano, abbiamo letto che il prezzo del pane in Egitto è già fuori controllo: +50% in una settimana (come potete leggere qui). Ma anche di requisizione del grano, di cui lei ci aveva parlato per primo oltre un anno fa. C’è da preoccuparsi?
“Certo. Il governo egiziano di fatto ha già requisito quasi tutta la produzione di grano, obbligando gli agricoltori a vendere il 60% della produzione allo Stato. In realtà, se la Russia che ha chiuso le esportazioni fino al 31 Agosto non li rifornirà di grano prima, non avranno alternativa al razionamento, oltre che alla requisizione”.
Senta, l’Egitto dista meno di 2000 km dalla Sicilia. E ancor meno l’Algeria, che è in una situazione analoga. Sappiamo che anche l’Italia è largamente dipendente dall’estero sia per il grano tenero che per quello duro. Non è che qui, mentre gli inutili burocrati della UE stanno a guardare insieme al fallimentare governo Draghi, noi ci ritroviamo con la tessera del pane già quest’Estate?
“Con la tessera del pane, no, ma con molti stabilimenti di trasformazione di grano e farina fermi per mancanza di grano, beh, questo potrebbe essere uno scenario verosimile. Non sappiamo quando finirà il conflitto: ma è possibile che le forniture russe ed ucraine in partenza dal Mar Nero mancheranno per tutto il prosieguo dell’anno. I porti ucraini sono sede di guerra, e quelli russi hanno il divieto di esportare fino a inizio Settembre. Quando e se riapriranno all’export, è facile che diano priorità ai loro alleati Egitto ed Algeria”.
Non è che per gli agricoltori siciliani potrebbe essere pronta la scoppola? Roma potrebbe decidere di requisire il grano duro siciliano e del Sud Italia per rifornire le aziende agroalimentari del Nord sempre più in difficoltà? Da quello che leggiamo, in tanti Paesi del mondo sta tornando l’autonomia alimentare che l’ottusità liberista aveva messo in secondo piano. A noi questo silenzio di Stato e Regione, con un Ministro e un assessore regionale siciliano all’Agricoltura che sono quelli che sono, non piace affatto. Insomma, cosa potrebbe succedere?
“Quello che possiamo prevedere è che i prezzi del grano – è solo questione di tempo – saranno altissimi e largamente remunerativi. La produzione siciliana sarà ottima per qualità e quantità, nonostante la semina tardiva. Le piogge al via da oggi daranno preziosa acqua alle piantine che già colorano di verde i campi. Poi, il sole siciliano, la qualità dei terreni e la bravura degli agricoltori siciliani farà il resto. Una cosa è certa: gli agricoltori siciliani devono unire le forze, consapevoli che le loro produzioni di frumento hanno acquisito un valore strategico per l’intero Paese. Devono riunirsi in un unico Consorzio come fanno i sudtirolesi con le loro mele. Se non lo faranno, i terreni di molti di loro verranno acquisiti da aziende non siciliane in tempi molto più rapidi di quanto avvenuto con i vigneti”.
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