La notizia la leggiamo nel report di Sandro Puglisi sui mercati internazionali. L’Unione europea, che fino ad oggi ha trattato l’agricoltura con sufficienza, non occupandosi e preoccupandosi della sovranità alimentare, comincia a riflettere su un possibile aumento delle superfici da coltivare a grano e, in generale, comincia a riflettere sul mondo dell’agricoltura. ‘Schiacciata’ sulla logica aberrante del liberismo economico, la Ue, fino ad oggi ha usato l’agricoltura come mezzo di scambio. Esempio macroscopico di questa filosofia economica è il CETA, il trattato internazionale tra Canada e la stessa Ue (che, per la cronaca, non è mai stato ratificato dai Parlamenti di tutti i Paesi dell’Unione), che ha sacrificato l’agricoltura sull’altare dell’industria e dei servizi per favorire le multinazionali dell’industria o dei servizi. Per non parlare della nuova PAC (Politica Agricola Comunitaria) approvata di recente che sacrifica l’agricoltura agli interessi della chimica e, segnatamente, dei produttori di pesticidi ed erbicidi. E che dire della ‘invasione’ del grano canadese al glifosato e alle micotossine facilitato dalla stessa Ue? Ma adesso lo scenario è mutato. C’è la guerra in Ucraina che sta provocando una contrazione dell’offerta mondiale di cereali e foraggi. E prim’ancora della guerra in Ucraina c’è stato il balzo in avanti de prezzo dei fertilizzanti causato dalla riduzione dell’export degli stessi fertilizzanti da parte di Cina e Russia. Per non palare dei cambiamenti climatici che, lo scorso anno, hanno ridotto drasticamente la produzione di grano in Canada (- 50%), negli Stati Uniti (-40%) e anche in Russia. Per ora è solo una dichiarazione di intenti alla quale dovrebbero seguire fatti concreti. A cominciare dall’eliminazione del Set-Aside, ovvero pagare gli agricoltori per non coltivare i seminativi. L’importante è che on ci vengano a dire che dobbiamo usare gli OGM, ovvero Organismo Geneticamente Modificati, perché sarebbe l’ennesimo errore.
Intanto anche nel resto del mondo non mancano le iniziative per fronteggiare una stagione geopolitica difficile. Una delle più grandi aziende di fertilizzanti del mondo, la marocchina OCP, punta ad aumentare la produzione di oltre il 10%. E’ una risposta agli effetti della guerra in Ucraina che sta anche provocando una riduzione dell’offerta di fertilizzanti nel mercato mondiale, con conseguente aumento dei prezzi degli stessi fertilizzanti. Il riferimento è ai fertilizzanti azotati, ma anche ai fertilizzanti al fosforo. Così anche il Nord Africa si va attrezzando per fronteggiare l’attuale momento difficile. La OCP – società controllata dallo Stato del Marocco – conta di passare da una produzione di 10,8 milioni di tonnellate all’anno (dato 2021) a quasi 12 milioni di tonnellate nel 2022, per aumentare la produzione ulteriormente nel 2023 di altri 3 milioni di tonnellate. I messaggio è chiarissimo: in un clima di incertezza il Marocco lavora per raggiungere l’autonomia alimentare. E anche per vendere i fertilizzanti ad altri Paesi. Nel report di Sandro Puglisi si legge che il Marocco potrebbe commercializzare i propri prodotti in India, Americhe e altri Paesi africani. L’CP punta a costruire uno stabilimento per la produzione di fertilizzanti azotati in Nigeria nel 2025.
Puglisi ci dà notizie anche dell’Egitto. Dove si sta mettendo nel conto l’ipotesi che nei prossimi mesi ci potrebbero essere problemi di approvvigionamento di grano. Così il Governo egiziano ha deciso “di aggiungere 65 sterline egiziane (4,15 dollari) per ardeb (150 chilogrammi) al prezzo di approvvigionamento del grano locale come incentivo per gli agricoltori a vendere più raccolto locale al Governo prima del raccolto”. I governanti egiziani pagheranno 865-885 sterline egiziane per ardeb a seconda dei livelli di purezza del grano. A quanto pare anche in Egitto il prezzo del pane comincia a schizzare all’insù. Da qui la richiesta del presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, di controllare il prezzo. Non solo. Poiché il prezzo globale del grano è in aumento, “il governo egiziano ha ordinato agli agricoltori di fornire una proporzione minima di grano per partecipare al programma di sussidi per il pane del Paese. Pertanto, gli agricoltori non potranno vendere il resto dei loro raccolti al di fuori del sistema ufficiale senza una licenza. Il Governo egiziano sta cercando di mantenere la stabilità dei prezzi e garantire riserve di generi alimentari di base”. Sempre dall’Africa arriva un’altra notizia: la Banca africana di sviluppo, la più grande istituzione bancaria di questo Continente, scrive sempre Puglisi citando una dichiarazione del presidente della stessa banca, Akinwumi Adesina, si propone di “ospitare un forum di investimento volto a raccogliere 1 miliardo di dollari per aiutare 40 milioni di agricoltori africani a utilizzare tecnologie resistenti al clima e aumentare la loro produzione di varietà di grano e altre colture resistenti”.
Dall’Africa al Sudamerica. Anche in Brasile, uno dei maggiori importatori di grano al mondo, si comincia a ragionare su come ridurre la dipendenza dai Paesi esteri per l’approvvigionamento. Si pensa, ovviamente, ad aumentare le superfici da investire a grano. I tecnici di questo Paese affermano che c’è spazio per raddoppiare l’attuale superficie seminata di 2,74 milioni di ettari nei prossimi anni per soddisfare il fabbisogno di consumo interno di circa 12,7 milioni di tonnellate all’anno. Il Brasile attualmente importa oltre il 50% del suo consumo interno di grano, principalmente dall’Argentina. C’è anche il problema dei foraggi che cominciano a scarseggiare. Puglisi scrive che i produttori francesi di mangimi per bestiame hanno chiesto al Governo di garantire la disponibilità di un certo volume di grano per il loro settore a fronte della crescente domanda di esportazione legata alla guerra in Ucraina. L’obiettivo è quello di garantire che ogni mese siano disponibili da 800.000 a 1 milione di tonnellate di cereali per coprire il fabbisogno degli allevamenti di questo paese durante la crisi.
Foto tratta da SportelloAgricoltura.it
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