Non versare al Comune la Tassa di soggiorno dopo averla riscossa non è peculato. Lo hanno stabilito in un sentenza i giudici del Tribunale di Siracusa, sezione penale, (presidente Carla Frau, giudici Giuliana Catalano e Liborio Mazziotta). Da qui l’assoluzione dell’amministratore di una struttura alberghiera di Siracusa. L’imprenditore è finito sotto processo perché, avendo incassato i soldi dai clienti – poco più di 117 mila euro – non li aveva versati al Comune. Il Pubblico ministero aveva chiesto la condanna a 2 anni, ma la difesa, rappresentata dall’avvocato Eugenio Risuglia, ha chiesto l’assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. L’elemento centrale di questa vicenda è un pronunciamento della sesta sezione penale della Corte di Cassazione che, nel 2020, ha stabilito che, a seguito dell’entrata in vigore cosiddetto Decreto rilancio, “non è configurabile il delitto di peculato nella condotta del gestore della struttura ricettiva che ometta di versare al Comune le somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno”. E’ stato sì accertato il mancato del versamento dell’imposta di soggiorno per 4 anni (dal 2014 al 2018), ma i giudici hanno sottolineato che l’albergatore non riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio. C’è anche di mezzo il Consiglio comunale, o meglio il regolamento approvato dal Consiglio comunale, stando al quale i turisti devono corrispondere la tassa di soggiorno al gestore; quest’ultimo deve essere riconosciuto dal Comune in quanto soggetto di diritto pubblico. Insomma, i soldi della tassa di soggiorno incassati dall’albergatore non sono soldi pubblici, ma patrimonio personale. E l’omesso versamento? C’è stato, ma è un mancato adempimento e non reato di peculato. E’ questo il motivo per il quale l’imprenditore è assolto perché il fatto non sussiste. E i 117 mila euro incassati? Già versati dopo l’accertamento.