“In tutto il Medio Oriente e nel Nord Africa le ricadute sui prezzi alimentari della guerra in Ucraina potrebbero portare altri milioni di persone alla povertà alimentare”. Lo scrive senza tanti giri di parole Sandro Puglisi, Amministratore Delegato della Sicilian Wheat Bank – La Banca del Grano SpA, protagonista della pagina Facebook, Gli amici del “Grano Duro di Sicilia”. Noi seguiamo da quasi un anno le analisi economiche di Puglisi che spaziano dai mercati agricoli ai mercati energetici, fino all’andamento delle Borse di tutto il mondo. Puglisi riporta nella pagina Facebook una lunga riflessione che ha scritto per ENNA press.it. Per noi è l’occasione per fare il punto della situazione sul grano e, in generale, sui mercati agricoli alla luce degli effetti che la guerra in Ucraina sta provocando nell’economia mondiale. Partendo dall’Ucraina e dalla Russia che, lo ricordiamo, sono tra i Paesi più importati al mondo nella produzione di grano, si può provare a capire quello che potrebbe succedere nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, soprattutto se la guerra dovesse continuare. Puglisi ricorda che in Ucraina la cerealicoltura che rappresenta il 73% della produzione agricola (dato International Trade Administration). Le colture principali di questo Paese sono girasole, mais, soia, grano e orzo. Puglisi fornisce anche la posizione dell’Ucraina, nel mondo, rispetto ad alcune produzioni agricole:
• 1° nella produzione mondiale di girasole (per il 2021/22 la produzione di semi di girasole in Ucraina è stimata a un record di 17,5 MMT);
• 6° nella produzione mondiale di mais (Per il 2021/22 la produzione di mais in Ucraina è stimata a un record di 42 MMT);
• 6° nella produzione mondiale di orzo;
• 7° nella produzione mondiale di colza;
• 9° nella produzione mondiale di semi di soia;
• 9° nella produzione mondiale di grano.
“Le previsioni per quest’anno, prima del conflitto, erano che l’Ucraina rappresentasse il 12% delle esportazioni mondiali di grano, il 16% di mais, il 18% di orzo e il 19% di colza”, scrive Puglisi. Bisogna capire, adesso, cosa succederà con la guerra in corso e anche con i cambiamenti climatici in corso non soltanto per il grano ma, ad esempio, anche per l’olio di girasole, dal momento che è leader nel mondo in questo settore. Ma il vero problema resta il grano, se è vero che Russia e Ucraina, insieme, scrive sempre il protagonista de La Banca del Grano SpA, “rappresentano oltre il 29% della produzione mondiale di grano esportata annualmente”. Non è un dato sul quale sorvolare, perché, di fatto, l’Ucraina sta tornando alla Russia e se l’Occidente industrializzato insisterà con le sanzioni all’Ucraina, così come l’Europa sarebbe costretta a fare a meno del gas russo, il mondo rischierebbe di fare a meno del 30% di grano mondiale. Uno scenario che potrebbe diventare un incubo se dovessero ripresentarsi anche quest’anno gli effetti nefasti dei cambiamenti climatici in agricoltura. Non solo. Puglisi mette nel conto possibili problemi alle piantagioni primaverili: “In Primavera, infatti, oltre alle semine di mais, orzo, sorgo e soia – scrive sempre il protagonista della pagina Facebook Gli amici del “Grano Duro di Sicilia” – si mette a dimora anche una certa percentuale di grano. Pertanto molti analisti si aspettano che il grano raggiunga ulteriori nuovi massimi, se non si risolve nelle immediatezze il conflitto”. Insomma, se la guerra in Ucraina non finirà subito ci dobbiamo aspettare un aumento dei prezzi del grano nel mercati internazionali. Il tutto in uno scenario internazionale dove stanno letteralmente esplodendo i prezzi dell’energia, con l’Unione europea che potrebbe restare senza il gas russo, con effetti dirompenti sulla stessa economia europea.
E allora? E allora la situazione non è affatto tranquilla. Se la guerra continuerà con il crescendo di tensioni, ebbene, l’offerta del grano nel mercato mondiale potrebbe ridursi (come abbiamo già scritto più volte, la Russia potrebbe esportare il proprio grano in Cina). Qui arriva una parte molto importante dell’analisi di Puglisi: “I tradizionali acquirenti di grano russo si stanno già rivolgendo a fornitori australiani, argentini, statunitensi e francesi. La Russia è il più grande esportatore mondiale di grano e l’Ucraina è il terzo più grande spedizioniere. In tutto il Medio Oriente ed il Nord Africa, le ricadute sui prezzi alimentari della guerra in Ucraina potrebbero portare altri milioni di persone alla povertà alimentare”. Anche perché la guerra sta creando problemi ai porti del Mar Nero e quindi, anche volendo esportare il grano russo e ucraino bisognerebbe trovare un’alternativa ai trasporti via mare: e non sarebbe facile. Per dirla in breve, lo scenario che si va delineando potrebbe provocare delle vere e proprie carestie nei Paesi dell’Africa settentrionale, alle prese con la siccità. Puglisi ricorda che questi Paesi africani esportano tanto grano dalla Russia e, in parte, anche dall’Ucraina e “rappresentano il 22% dei volumi mondiali di importazione di grano nel 2021/22, il più grande gruppo di acquirenti di grano al mondo”.
Com’è sua abitudine, l’analisi di Puglisi spazia nei mercati di tutto il mondo. L’Amministratore Delegato della Sicilian Wheat Bank – La Banca del Grano SpA ricorda la siccità che lo scorso anno ha colpito le prateria canadesi e le pianure settentrionali degli Stati Uniti d’America, provocando una sensibile riduzione della produzione di grano (in media – 50% circa n Canada e – 40% circa negli Stat Uniti d’America). “E poiché – scrive ancora Puglisi – la siccità indotta da La Niña continua a colpire Brasile e Argentina, sembra improbabile che il Sud America abbia le forniture necessarie per sostituire gli ordini dal Mar Nero nei prossimi due mesi”. La Niña, per la cronaca, è un fenomeno meteorologico che interessa varie aree del mondo e che può interferire con l’andamento delle produzioni agricole. Insomma, senza il grano russo e ucraino il prezzo dello stesso grano dovrebbero crescere: sono in crescita oggi e potrebbe continuare a crescere ad Aprile e a Maggio. “Dall’inizio di Gennaio ad oggi il prezzo del grano è salito del 48.42%. Dall’inizio delle tensioni tra Russia ed Ucraina è salito del 33.3%”, precisa sempre Puglisi. Che effetti avrà tutto quello che sua succedendo sul grano duro? Domanda che interessa la Sicilia e, in generale, tutto il Sud Italia. Il prezzo del grano duro del Mezzogiorno è cresciuto già abbastanza, ma se il prezzo del grano tenero continuerà a crescere – cosa molto probabile – continuerà a crescere anche il prezzo del grano duro. Ci sono altre due notizie importanti segnalate da Puglisi. La prima è che i prezzi alti del grano tenero, del mais e della soia i grano duro potrebbe essere sacrificato per puntare su colture più remunerative. La seconda notizia è che il grano uro prodotto in Kazakhstan non potrà essere esportato. Motivo: questo grano viene trasportato attraverso i porti russi, ma con le sanzioni tutto è bloccato.
Insomma, due brutte notizie per i produttori di pasta che, è noto, si produce con il grano duro. Tutto questo senza considerare cambiamenti climatici in corso. Commenta Giuseppe Li Rosi, protagonista di Simenza: “Il prezzo del grano è rimasto fermo per più di 30 anni; non assorbiva neanche l’adeguamento all’inflazione. Adesso si preoccupano tutti, ma mai nessuno si è posto la domanda di come riuscissero a sopravvivere gli agricoltori. Tanto ci si approvvigionava dall’estero… Il paradosso è che nemmeno gli attuali prezzi faranno felici i produttori: i costi dei mezzi di produzione (carburanti, concimi, etc) annullano questo aumento di prezzo. Verrà il giorno in cui in questo Paese si comincerà a parlare seriamente di politiche agricole?”. C’è anche un post su Facebook di Mario Pagliaro, chimico del Cnr e grande appassionato di meteorologia che, due anni fa, in solitudine, diceva che il prezzo del grano duro della Sicilia e del Sud sarebbe aumentato di prezzo: previsione risultata esatta. “L’Italia – scrive Pagliaro – importa il 64% del proprio fabbisogno di grano #tenero per la produzione di pane, merendine, cornetti, e biscotti. E il 50% di quello #duro usato per la pasta (oltre 4 mln di tonnellate con una produzione nazionale che non arriva a 4 mln di tonnellate), anche se il 50% della pasta italiana (poco meno di 2 mln di tonnellate) finisce esportata all’estero. Se la disponibilità di grano duro di importazione collasserà, l’Italia dovrà mettere fine all’export di pasta per coprire la domanda #nazionale (quasi 2 mln di tonnellate). Avevamo scritto dialogando con Giulio Ambrosetti che il #fotovoltaico sui terreni non avrebbe trovato alcuno spazio, e che in #Sicilia sarebbe stato recuperato a grano ogni mq di terreno disponibile”. In effetti, se nei mercati mondiali dovesse venire a mancare il grano russo e ucraino e se i cambiamenti climatici continueranno a provocare predite di produzioni di grano, togliere terreni all’agricoltura siciliana per realizzare pannelli fotovoltaici sarebbe una pazzia.
Foto tratta da AG C Communication