Figlia di Giuseppe Pennacchio, un macellaio, e di Vincenza Bucci, sin da piccola dovette lavorare come sguattera presso alcuni notabili del suo paese, per poter incrementare i miseri guadagni della sua famiglia. Si sposò in giovane età con un impiegato di cancelleria del tribunale di Foggia ma l’unione non fu delle più felici. Il marito è descritto come una persona gelosa che non esitava a maltrattarla. Un giorno, stanca dei continui soprusi, Filomena uccise suo marito conficcandogli in gola un lungo spillo d’argento. Per evitare la galera fuggì poi nel bosco di Lucera, dove incontrò Giuseppe Caruso, divenendone l’amante. Ebbe in seguito una fugace relazione con Carmine Crocco, capo di tutte le bande del Vulture-Melfese (pare che i rapporti tra Caruso e Crocco si incrinarono proprio a causa della brigantessa) e infine col suo subalterno Giuseppe Schiavone, con il quale il legame fu più duraturo. La Pennacchio si distinse subito per le sue capacità: donna dal temperamento deciso, priva di scrupoli, prese parte a numerose scorribande e imboscate, quasi sempre accanto al suo compagno Schiavone. Era molto ammirata e rispettata dai suoi commilitoni, per il suo fascino e la sua freddezza.
All’età di circa 21 anni mise a segno il suo primo colpo, in un podere di contrada Migliano, vicino al comune di Trevico, contro una donna chiamata Lucia Cataldo, la quale non aveva consegnato a Schiavone denaro e oggetti d’oro che il brigante le aveva ordinato di cedere. Come atto intimidatorio, la Pennacchio, davanti ai suoi occhi, sgozzò il bue di proprietà della donna e se ne andò. Il 4 luglio 1863, in località Sferracavallo, sulla consolare che da Napoli conduce a Campobasso, si rese partecipe dell’uccisione di 10 soldati italiani della 1ª Compagnia del 45º fanteria; assieme a lei vi erano Schiavone, Michele Caruso, Teodoro Ricciardelli e altri 60 uomini circa. La relazione tra la Pennacchio e Schiavone non fu accettata da Rosa Giuliani, che da Schiavone era stata tradita per Filomena: gelosa, la Giuliani rivelò al delegato di Candela il nascondiglio dove si trovavano Schiavone e alcuni suoi uomini, che furono catturati dalle truppe sabaude e portati a Melfi. Filomena, in quel momento incinta, non era presente alla cattura del suo uomo: anche lei si trovava a Melfi, ma nascosta in casa della levatrice Angela Battista Prato.
Prima di essere giustiziato, Schiavone chiese di poter vedere Filomena per l’ultima volta. La Pennacchio decise di incontrarlo, lui si inginocchiò e la baciò calorosamente per l’ultima volta, chiedendole perdono. Schiavone sarà fucilato dai militari italiani la mattina del 28 novembre 1864. Ormai sola, gravida e distrutta per la perdita del compagno, la brigantessa si arrese e collaborò con le autorità, contribuendo all’arresto di Agostino Sacchitiello e la sua banda, le brigantesse (nonché sue amiche) Giuseppina Vitale e Maria Giovanna Tito (quest’ultima allora la compagna di Crocco). Condotta davanti al tribunale di guerra di Avellino, Filomena fu condannata a 20 anni di lavori forzati, che vennero poi ridotti a 9 ed infine a 7. Filomena dopo aver scontato la sua condanna, uscì di prigione e sposò nel 1883 un facoltoso uomo di Torino, Antonio Valperga, più giovane di lei. Senza figli, prestò aiuto agli orfani, ai carcerati, ai poveri. Per queste opere meritevoli il parroco della parrocchia di Nostra Signora delle Grazie, nota come chiesa della Crocetta di Torino, fece sì che a Filomena Papa Benedetto XV impartisse la benedizione papale.[2] Morì il 17 febbraio 1915.
Foto tratta da Russia Privet