Nella difficile partita in Ucraina che vede schierati, su fronti opposti, la Russia di Putin e la Nato l’agricoltura – e in particolare il grano – che ruolo potrebbero giocare? In prima battura ci sono gli aspetti militari. Mosca deve assolutamente evitare un allargamento della Nato verso Est e, soprattutto, deve scongiurare l’eventuale presenza di testate nucleari americane in Polonia. Chi si occupa di politica internazionale ci ricorda che la presenza di queste armi oggi non è impossibile dopo la fine del trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty). E’ il trattato che, fino al 2019, ha vietato il dispiegamento di missili nucleari con un raggio da 500 a 5500 chilometri. Putin non può vedere di buon occhio i missili Nato con basi e radar in Est Europa. Ricordiamo che, oggi, lo scenario è mutato rispetto agi anni della Guerra fredda. Il problema, oggi, è legato alla pressione delle multinazionali liberiste che vogliono a tutti i costi entrare in Russia per ridurla come hanno ridotto buona parte dell’Europa – per esempio l’Italia, ma non solo l’Italia – al soldo dei ‘mercati’. Oggi la Russia e anche la Cina rappresentano un argine contro i regimi demenziali del liberismo economico. E’ per questo che Putin non gradisce a Kiev un governo filo occidentale. La strategia russa – sostenuta dalla Cina – è bloccare l’avanzata della Nato verso Est. Ed evitare che a Kiev arrivino i liberisti. La Russia di Putin lavora per avere a Kiev un Governo che dia ampia autonomia alle Regioni russofone di questo Paese. In questo scenario si inseriscono le questioni della sovranità alimentare – grano in testa – e cambiamenti climatici? Sembrerebbe proprio di sì, perché le tensioni tra Mosca e Kiev avrebbero inevitabili riflessi nel mercato internazionale del grano.
“I mercati agricoli statunitensi – scriveva qualche giorno fa Sandro Puglisi – sono stati contrastanti ma per lo più in rialzo. I contratti di frumento invernale sono stati ancora una volta i grandi vincitori della sessione, balzando entrambi di oltre il 2% in più, a causa delle preoccupazioni sulla qualità del raccolto degli Stati Uniti e dell’ansia sul fatto che la Russia invaderà l’Ucraina…”. La preoccupazione c’è. Impossibile guardare a quanto succede tra Russia e Ucraina senza pensare agli effetti sul mercato internazionale del grano, perché Russia e Ucraina sono grandi produttori ed esportatori di grano. “Mosca ha venduto all’estero oltre 47 milioni di tonnellate di cereali, anche se il record era stato registrato nel 2017-2018 con transazioni per oltre 50 milioni di euro – scrive AGRIFOOD TODAY -. Il grano la fa da padrone (78,5% del totale), ma la Russia esporta anche orzo, segale, mais e riso. Di recente, per contrastare l’aumento dell’inflazione interna, le autorità di Mosca hanno deciso di contingentare l’export di grano fino al prossimo mese di giugno”. Il giornale riporta anche la dichiarazione di Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura: “Le crescenti e preoccupanti tensioni tra Federazione Russa e Ucraina possono destabilizzare il mercato internazionale dei cereali ma l’Unione europea sarebbe al riparo grazie all’abbondanza della produzione interna”. Giansanti è ottimista. Dà per scontato che non si ripeta quanto avvenuto lo scorso anno, con i cambiamenti climatici che hanno ridotto di circa il 50% la produzione di grano negli Stati Uniti e in Canada. Noi ormai alle stime crediamo fino a un certo punto. Dire oggi che l’Unione europea dovrebbe produrre, nel 2022, circa 300 milioni di tonnellate di grano sarà anche rasserenante, perché tale quantitativo consentirebbe di avere l’indipendenza alimentare e la possibilità di esportare lo stesso grano.
Noi osserviamo quanto accaduto lo scorso anno e quanto sta accedendo quest’anno. La Russia, ad esempio – che è il più grande produttore di grano del mondo – ha deciso, già da alcuni mesi, di ridurre le esportazioni. Da una parte per frenare i prezzi interni dei derivati del grano, che stavano crescendo; dall’altra parte per aumentare le scorte. La Cina si sta accaparrando il 69% del mais, il 60% del riso e il 51% di grano prodotti nel mondo. La Cina, per la cronaca, consuma più di 140 milioni di tonnellate di grano all’anno e le importazioni di grano, lo scorso anno, hanno raggiunto il record di 9,77 milioni di tonnellate. Se due Paesi così importanti adottano scelte di questo tipo, beh, qualche motivo ci sarà. Non sappiamo se sanno qualcosa sui possibili cambiamenti climatici in atto nel mondo, ma è chiaro che non li stanno ignorando. E’ anche in questo scenario – che non è fatto soltanto di missili nucleari – che si inserisce la questione Ucraina. questo paese, grande produttore di grano, lo scorso anno non ha registrato un calo nella produzione di grano. Ma lo scorso anno la quota di prodotti agricoli esportati nel mondo dall’Ucraina sono passati dal 45% del 2020 al 41%. “Tuttavia – scrive Puglisi riprendendo una dichiarazione del vicedirettore del Centro scientifico nazionale Institute of Agrarian Economics, accademico dell’Accademia nazionale delle scienze agrarie (NAAS), Nikolai Pugachev – i prodotti agricoli sono rimasti il fulcro delle esportazioni ucraine. Nel 2021, l’Ucraina ha stabilito diversi record nelle esportazioni agricole: 20.071 milioni di tonnellate di grano, 459 mila tonnellate di pollame, 38 milioni di tonnellate di pasta. In particolare, l’Ucraina ha aumentato le spedizioni verso l’UE e verso i Paesi asiatici e africani”. Se i cambiamenti climatici, quest’anno, dovessero tirare altri brutti scherzi, l’Ucraina, con le sue grandi produzioni, sarebbe o no più strategica di quanto lo è oggi?