Arrivano gli oliveti coltivati ‘a spalliera’ come le viti. I pericoli per paesaggio, assetti idrogeologici e qualità dell’olio d’oliva/ MATTINALE 519

25 dicembre 2021
  • Prepariamoci a un cambiamento epocale nel mondo dell’olio d’oliva
  • I possibili effetti nefasti nel paesaggio agrario e negli assetti idrogeologici
  • Per ora solo oliveti a spalliera con varietà di olivo spagnole e portoghesi. Ma si lavora anche sulle varietà italiane 
  • Avremo due tipi di olio d’oliva: l’olio extra vergine prodotto da alberi tradizionali e l’olio d’oliva (extra vergine?) prodotto con gli oliveti ‘a spalliera’

Prepariamoci a un cambiamento epocale nel mondo dell’olio d’oliva

Nei giorni di Natale abbiamo deciso di regalare ai nostri lettori una riflessione sugli alberi di olivo che, tra pochi anni, saranno sempre meno alberi, e sull’olio extra vergine d’oliva da 3-4 euro a bottiglia che non si capisce come possa costare così poco. Un  MATTINALE  all’insegna della nostra tradizione: una tradizione, quella dell’albero di olivo, che tra un decennio ci saremo lasciati alle spalle. Sì, la ‘filosofia del denaro’ sta entrando nel mondo delle olive per fare sì affari con le olive, facendo però a meno degli alberi di olivo e del paesaggio che gli alberi di olivo da sempre rappresentano nel Mediterraneo. Dove arriva la voglia di fare denaro tutto cambia, non sempre in meglio. Quello che stiamo cercando di dire è che, in Italia, a partire dalla Toscana e dalla Sicilia, si va piano piano affermando un nuovo modo di coltivare gli olivi: non più alberi di olivo, ma olivi coltivati ‘a spalliera’, proprio come l’uva. Il passaggio dalla coltivazione dell’uva da alberello a spalliera, unitamente alla tecnologia, ha segnato un cambiamento epocale nella coltivazione dell’uva da vino. Chi scrive, tanti anni da – si era nei primi degli anni ’80 – ha assistito alla sperimentazione, dalle parti di Marsala, di una delle prime vendemmiatrici meccaniche in azione. Per noi che siamo originari di Sciacca, dove tanti ragazzi, nei primi anni ’70 del secolo passato, a Settembre, andavano a vendemmiare con una paga di 5-6 mila lire al giorno per nove dieci ore di lavoro dalle sei di mattina alla cinque del pomeriggio con due brevi pause per mettere nello stomaco qualcosa, giusto per reggersi in piedi, vedere all’opera la vendemmiatrice che passava dai filari delle viti e raccoglieva l’uva meccanicamente fu un bel colpo. Nei primi anni ’80, peraltro, era già iniziata in Sicilia la ‘calata’ della manodopera dal Nord Africa, per lo più dalla Tunisia. L’ultimo anno di vendemmia, per noi – questo lo ricordiamo benissimo – si chiuse con una retribuzione di 36 mila lire al giorno. L’anno successivo il titolare dell’azienda agricola dove abbiamo lavorato per quasi un decennio allargò le braccia: “Picciotti, a buatri v’avissi a paari 36-38 mila liri a ghiurnata. I tunisini, per 20-25 mila liri levanu a racina fino all’ottu ‘i sira. M’ata a capiri. Unn’aiu nenti ri riri cu buautri, ma i tunisini sunnu travagghaturi e ‘nni custano meno“. A distanza di circa 40 anni ricordiamo ancora perfettamente il discorso degli agricoltori di Sciacca. Insomma, una grande lezione di economia.

I possibili effetti nefasti nel paesaggio agrario e negli assetti idrogeologici

Sarà così anche per l’olivicoltura? Noi parliamo spesso con Franco Calderone. Ci siamo conosciuti tra il Dicembre del 2011 e il Gennaio del 2012, insomma una decina di anni fa, quando lui era uno dei leader dei Forconi siciliani. E stato, in Sicilia, uno dei protagonisti del Movimento 24 Agosto per l’Equità Territoriale. Esperienza – almeno questo è il nostro giudizio – che oggi è una grande delusione. Franco Calderone non è solo un imprenditore che produce vino, è anche titolare di un oleificio a Marineo, provincia di Palermo. Ed è lui che ci racconta come sta cambiando il mondo dell’olivicoltura. “L’olivicoltura è destinata a cambiare profondamente – ci dice -. E potrebbe essere un cambiamento con effetti nefasti sul paesaggio agrario e, perché no?, anche sugli assetti idrogeologici di tante aree del nostro Paese. In Toscana e in Sicilia ci sono già imprenditori che stanno impiantando oliveti a spalliera. Il risparmio, per l’impresa, è notevole. In un impianto di oliveto a spalliera le olive vengono raccolte meccanicamente, come avviene ormai in tante aziende per l’uva. Gli impianti intensivi di olivi consentono di raccogliere meccanicamente circa 100 quintali di olive in due ore. E cominciano a produrre dopo due-tre anni. Con la tradizionale raccolta delle olive non c’è paragone. L’abbattimento dei costi è impressionante. Ricordiamoci che, in questo momento, la voce dei costi che incide di più nel bilancio di un’azienda olivicola è proprio il costo del lavoro”.

Per ora solo oliveti a spalliera con varietà di olivo spagnole e portoghesi. Ma si lavora anche sulle varietà italiane 

Chiediamo a Calderone notizie più dettagliate. Per esempio: quali varietà di olivo siciliane si prestano per la coltivazione a spalliera? “In questo momento gli impianti di oliveti a spalliera vengono effettuati con varietà di olivo spagnole e portoghesi. Ma è solo questione di tempo. La tecnologia italiana in agricoltura è già all’opera. Tra qualche anno avremo anche le tradizionali varietà d’olivo siciliane, pugliesi, calabresi, campane e soprattutto toscane coltivate a spalliera”. Così, un dubbio: non è che il caos che negli ultimi anni ha colpito certe aree olivicole della Puglia – la prima Regione italiana nella produzione di olive – potrebbe essere prodromico a cambiamenti radicali, anche nelle tecniche di coltivazione? Insomma, a noi lo scenario olivicolo futuro spaventa un po’.  Che olio d’oliva extra vergine verrà fuori dalle colture intensive di olivo? Sarà sicuramente un grande business olivicolo dei prossimi anni. Per produrre che cosa? Fino ad ora siamo abituati a vedere l’olio d’oliva extra vergine a 5, a 4 a 3 euro a bottiglia: e questa è un’assurdità, perché un litro di olio d’oliva extra vergine siciliano, calabrese e pugliese non può costare meno di 8 euro al litro, perché il costo di produzione di un litro olio extra vergine di oliva non può scendere sotto i 6 euro al litro. “Il fatto è – ci dice Calderone – che arriva olio d’oliva da fuori, per lo più dal Nord Africa a prezzi molto contenuti. Due euro al litro e anche meno. Importare l’olio d’oliva da questi Paesi e venderlo in Italia non è reato. Gli imprenditori fanno il loro mestiere”. D’accordo, osserviamo, ma non si capisce che fine faccia, ad esempio, tutto l’olio tunisino che arriva in Italia. Mentre quello che si vende in Italia è tutto olio extra vergine di oliva italiano… “Questo è un altro discorso – ci dice Calderone -. E spetta ad altri fare chiarezza. E qualche volta la chiarezza viene fatta. Quello che posso dire è che quest’anno, in Sicilia, c’erano grandi aspettative per l’olio d’oliva extra vergine. Poi è arrivato il maltempo tra Ottobre e Novembre che ha creato problemi enormi. Gli agricoltori hanno fatto i salti mortali per raccogliere le olive tra una giornata di pioggia e l’altra. In molti casi le olive sono rimaste sugli alberi. E poi c’è il mercato…”.

Avremo due tipi di olio d’oliva: l’olio extra vergine prodotto da alberi tradizionali e l’olio d’oliva (extra vergine?) prodotto con gli oliveti ‘a spalliera’

Già, il mercato. “Negli ultimi anni è cambiato tutto – ci dice ancora Calderone -. Fino a qualche anno fa era normale, per tante famiglie, acquistare l’olio d’oliva extra vergine a bocca di frantoio. Si acquistava l’olio extra vergine di oliva per tutto l’anno. Oggi non è più così. Tante famiglie non spendono più 300-400 euro in una sola soluzione per acquistare l’olio d’oliva extra vergine. E’ cambiata l’abitudine, c’è un impoverimento generale della società siciliana, non so quale sia la vera motivazione. Ma so che la realtà, rispetto a qualche anno fa, è mutata. C’è, poi, un secondo elemento: quest’anno l’olio extra vergine di oliva in Sicilia segna un prezzo veramente basso: 4,5 euro-5 euro al litro. Ma al supermercato le famiglie trovano l’olio extra d’oliva a 3 euro a bottiglia. L’ho detto e lo ripeto: importare olio extra d’oliva a due euro al litro e rivenderlo a 3 euro al litro non è reato”. E allora che succederà? Dobbiamo cominciare ad abituarsi alle distese di filari di oliveti, come i filari di vigne? E che costi sociali avremo con la coltivazione intensiva di olive? Le coltivazioni intensive, è inutile girarci attorno, sotto il profilo ecologico, hanno sempre creato problemi. Portano soldi ma anche inquinamento. In pochi ne parlano, ma chi ‘mastica’ un po’ di agricoltura sa quanti trattamenti chimici vengono effettuati nei vigneti. Ne sanno qualcosa nel Nord Italia con il celebre prosecco. Avremo trattamenti chimici anche per gli oliveti coltivati a spalliera? E che fine faranno gli alberi di olivo? Che fine farà il paesaggio agrario siciliano? Avremo due tipi di olio d’oliva: olio extra vergine di oliva da olive coltivate con i tradizionali alberi e olio d’oliva (extra vergine?) da oliveti coltivati a spalliera. Lo scenario non ci appassiona, ma è il futuro. “Le strade da percorre sono due – conclude Calderone -. In primo luogo, la qualità dell’olio extra vergine d’oliva prodotto con le olive raccolte dagli alberi, che avrà un mercato che sarà diverso dall’olio d’oliva prodotto negli oliveti a spalliera. In secondo luogo c’è la difesa del territorio. E qui la svolta la deve imprimere l’Unione europea. Gli agricoltori non possono essere abbandonati al mercato globalizzato. Gli agricoltori debbono diventare i custodi del territorio. Tutelati dall’Unione europea. Tutelare gli agricoltori significa tutelare chi si occupa degli alberi, la cui presenza impedisce o limita il dissesto del territorio. C’è un passaggio culturale che la Ue deve a tutti i costi recepire. E dovrebbero essere i parlamentari europei a farsi carico di queste istanze”.

Foto tratta da Edagricole 

 

 

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