Quel 1860 arrivò pertanto come una maledizione. Furono cancellate dal Regno le istituzioni politiche e sociali, sventrato completamente il tessuto industriale e mercantile per favorire la crescita di un nord in miseria ed affamato, e senza alcuna attività economica avanzata. Depredato l’oro e l’argento del Banco di Napoli e del Banco di Stato di Sicilia – le casse contenevano circa 400 milioni di lire, una cifra impressionante per quell’epoca – smontati i macchinari di officine e industrie manifatturiere, meccaniche, cantieristiche, minerarie, siderurgiche, militari e ferroviarie e trasportati nei territori di Terni, La Spezia, Genova, Torino, Milano, Brescia e Bergamo. Tutto razziato per pagare i debiti del Piemonte e per finanziare patrimoni privati. Sparirono in un colpo ministeri, ambasciate, la Zecca; 30mila posti di lavoro cancellati da un giorno all’altro. Furono annullati tutti gli accordi di scambio tra il regno borbonico e l’estero, costretto il sud ad importare dal nord, ma non viceversa, tanto che la lana abruzzese fu rimpiazzata con quella neozelandese. Fu introdotta la tassa sul macinato e persino per mangiare un agnello del proprio allevamento bisognava pagare un dazio. 22 nuove tasse introdotte contro le precedenti 5 imposte dai Borbone. Dulcis in fundo, il Meridione, ormai in ginocchio, dovette accollarsi anche le spese di guerra.
“Una conquista del Nord sulla pelle delle genti del Sud”, dichiarò Antonio Gramsci. Nel 1920, su Ordine Nuovo, scrisse: “Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e a fuoco l’Italia meridionale, squartando, fucilando e seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare con il marchio di briganti”. 5.212 condanne a morte, 500.000 persone arrestate, 62 paesi rasi al suolo, fucilazioni di massa, contadini morti di fame perché veniva impedito loro di recarsi nei campi a procurarsi del cibo, violenze disumane e stupri efferati dei quali vi risparmio i crudeli ed orripilanti dettagli. 40mila deportati, delinquenti insieme ad innocenti, uomini di chiesa, contadini, intellettuali, ex soldati dell’esercito borbonico, civili accusati di brigantaggio, prigionieri politici, ex garibaldini disertori, lasciati morire deliberatamente di fame, sevizie, maltrattamenti inenarrabili, segregati in campi di concentramento ante litteram dove la temperatura era quasi sempre sotto lo zero. A Fenestrelle, 1.350.000 mq di struttura a 2000 metri di altezza sulle Alpi Cozie, vennero smontati i vetri e gli infissi per rieducare con il freddo polare i prigionieri. L’Armonia, un giornale piemontese dell’epoca, definiva così i prigionieri di Fenestrelle: “La maggior parte dei poveri reclusi sono ignudi, cenciosi, pieni di pidocchi e senza pagliericci. Quel poco di pane nerissimo che si dà per cibo, per una piccola scusa si leva e, se qualcuno parla, è legato per mani e per piedi per più giorni. Vari infelici sono stati attaccati dai piedi e sospesi in aria col capo sotto ed uno si fece morire in questa barbara maniera soffocato dal sangue e molti altri non si trovano più né vivi, né morti. E’ una barbarie signori”.
Alina Di Mattia IL MITO DI GARIBALDI E IL RISORGIMENTO CHE NON ABBIAMO STUDIATO
Articolo pubblicato da IL FARO 24 tratto sa Regno delle Due Sicilie.eu
Foto atta da IL FARO 24