Di Mara Cinquepalmi
BOLOGNA (ITALPRESS) – “L’asfalto fuso per il calore in via d’Amelio non si può dimenticare, l’autostrada sventrata non la possiamo dimenticare”. Nella carriera di Ignazio De Francisci, ancora per qualche giorno procuratore generale della Corte d’Appello a Bologna prima di andare in pensione, le stragi che uccisero prima Giovanni Falcone e poi Paolo Borsellino furono uno spartiacque: “mi hanno cambiato la vita. C’è un prima e un dopo 1992”.
“Assistere a due stragi – racconta all’agenzia ITALPRESS -, sentire il boato il 19 luglio, mettere i piedi nel cratere sull’autostrada sono esperienze che ti segnano, nessuno di noi che eravamo lì in quegli anni ha mai dimenticato. Sono cose che a parole non si possono descrivere. Credo – osserva a quasi quarant’anni di distanza – che da allora la mia vita non sia stata più la stessa. Quando si parla di strage di Capaci torniamo sempre a quel pomeriggio e a tutto quello che ne è seguito”.
Ci fu anche un passaggio politico delicato, ricorda De Francisci: “Quando leggo oggi di colpo di Stato mascherato e altre castronerie del genere, io che c’ero ricordo perfettamente quale era il livello di corruzione nella vita pubblica, quindi la strage, l’elezione di Scalfaro al Quirinale furono segnali di un cambiamento”.
Per il procuratore, però, “l’anno ancora più angosciante fu l’anno delle bombe a Firenze, Milano e Roma, che non dobbiamo dimenticare. Ogni volta che vado a Firenze passo da via dei Georgofili ed è un momento di riflessione e sempre di profondo turbamento”. Qui la voce si incrina, segno di una commozione di chi quegli anni li ha vissuti in prima linea.
De Francisci ha fatto parte della stagione del pool antimafia di Palermo. Laureatosi nel 1974, dopo un’esperienza “in una pretura mandamentale a Cattolica Eraclea, in provincia di Agrigento” e poi all’ufficio di sorveglianza di Palermo per quasi cinque anni (“Ero lì quando il cardinale Pappalardo non riuscì a celebrare la messa per una sorta di protesta silenziosa dei detenuti”), nel gennaio 1985 viene assegnato all’ufficio istruzione del tribunale di Palermo, “dove c’era già Antonino Caponnetto e con lui Falcone e Borsellino”. Poi “a novembre 1985 l’ingresso nel pool antimafia e da allora non ho mai smesso”.
Qui lavora fianco a fianco con i due giudici, “due grandi colleghi, che erano anche grandi uomini. La simpatia e serietà di Borsellino non è che negli anni successivi l’ho ritrovata a mani basse. Le visioni che aveva Giovanni Falcone, la sua voglia che aveva di organizzare il futuro dell’impegno antimafia, questa sua voglia di costruire oggi chi ce l’ha?”.
“Quello che ho imparato da loro ho cercato di metterlo in pratica e di spenderlo negli anni”, aggiunge. L’impegno antimafia l’ha portato spesso a incontrare gli alunni delle scuole, come di recente a San Lazzaro di Savena, in provincia di Bologna, per parlare di legalità. “Bisogna fare discorsi semplici, parlare poco, creare interesse”, suggerisce. “A me è sempre piaciuto e io parlo sempre di libri” come quello di Giovanni Falcone e Marcelle Padovani, ‘Cose di cosa nostrà, che considera “un piccolo classico” perchè ancora oggi “mantiene tutta la sua carica educativa, formativa”.
De Francisci è stato anche procuratore della Repubblica ad Agrigento, dove arriva nel 1999: “Terra bellissima, città affascinante, ma difficilissima per andarci a fare il pm. Fu impegnativa e divertente come tutti i posti dove si lavora tanto”. Qui si occupa anche degli sbarchi dei migranti. “Sono andato più volte a Lampedusa, nel centro di accoglienza. Quando si vedono con gli occhi questi fenomeni, non è solo un passaggio di carte. Ricordo che il porto di Lampedusa era pieno di barche affondate che nessuno sapeva come toglierle. Riuscimmo con l’aiuto della Guardia di Finanza a liberare quel porto”, racconta.
Nel 2008 torna a Palermo come procuratore aggiunto e torna a occuparsi di mafia: “il procuratore era Francesco Messineo, persona brava e competente”, poi dopo quattro anni va alla Procura generale “come avvocato generale”.
Infine, a marzo 2016, l’arrivo a Bologna. Una delle sue battaglie sono i processi d’appello per i reati contro le donne tanto che suggerisce di “dare priorità e fissarli a breve perchè continuiamo a celebrare processi per reati sessuali commessi nel 2015”.
“Sei anni per un appello non è poco. Tutto ciò in previsione dell’entrata a regime della riforma Cartabia, che non mi piace, sull’improcedibilità”. Per il magistrato, infatti, è una “ghigliottina che scatta e nessuno ci può fare niente”. “Mi interessa – dice – che una madre picchiata o peggio abusata possa ottenere un minimo di giustizia. E’ inutile fare le manifestazioni contro la violenza sulle donne se poi noi giustizia non riusciamo a far celebrare i processi rapidamente”. “Purtroppo – osserva – aumenta il senso di impunità che questi soggetti hanno. Sono convinto che se non ci sono punizioni serie e concrete, non c’è alcuna forma di deterrenza”.
De Francisci torna a parlare anche del caso Bibbiano, dopo che nel suo discorso in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, lo scorso gennaio, aveva usato toni duri contro un presunto “sistema”. “Sono convinto, ma posso sbagliare, – spiega oggi – che ci sono stati alcuni casi in cui alcune di queste procedure sono state gestite in maniera superficiale. Attaccare tutto il sistema della tutela minorile mi sembra esagerato e ingiusto forse perchè conosco bene i colleghi della Procura dei minorenni”. “Se in qualche caso – sottolinea – sono stati commessi degli errori, secondo me sono stati tratti in inganno anche loro da qualche elemento di questi servizi sociali che non ha rispettato al 100% le regole. Poi vedremo il dibattimento che cosa stabilirà”.
A pochi giorni dalla pensione, però, De Francisci lancia l’ennesimo allarme sulla carenza di organico: “Dal 31 dicembre questo ufficio – spiega – avrà soltanto cinque sostituti procuratori generali contro un organico di undici. Mancheranno il procuratore generale e l’avvocato generale. E’ fondato ritenere che per cinque-sei mesi non verrà nessuno nè di sostituti nè di dirigenti”. “Un collega della Procura per i minori e uno della Procura di Rimini, che si sono offerti, verranno a fare un paio di udienze a settimana, gli altri colleghi ne faranno tre o quattro e andranno avanti alla meno peggio”.
“Ci sono processi di grosse dimensioni – osserva preoccupato – come quello di ‘ndrangheta “Grimilde” che comincerà a marzo e che seguirà la collega Musti”. Quanto al futuro per ora “non ho progetti, non ho nessuna idea di quello che farò”, ma “qualcosa farò”.
(ITALPRESS).