Sul Titanic

Alberto Pierobon e i suoi tre anni in Sicilia tra acqua rifiuti energia e i grandi interessi palesi e nascosti

Condividi
  • La Sicilia vista da un manager veneto che ha osservato il carattere dei siciliani anche dal punto di vista psicologico e antropologico
  • ACQUA E DIGHE? “IL PROBLEMA NON SONO LE RISORSE, MA LA VELOCITA’ CON CUI SI INTERVIENE”
  • “LA PALESTRA ANTROPOLOGICA SULLA QUALE SI FORMANO I SICILIANI E’ RICCA”

di Mario Pagliaro

Dopo tre anni di lavoro Alberto Pierobon è stato messo da parte dal Governo di Nello Musumeci per i soliti giochi di potere

“La Sicilia? Un continente a parte: ricco e potente, ma che rimane distinto dagli altri. Questa è la sua forza e al contempo la sua debolezza”. E poi, acqua, rifiuti, energia, giovani e comunità. Sono numerose ed importanti le considerazioni dell’ex assessore regionale, Alberto Pierobon, in merito ad alcuni dei settori chiave per lo sviluppo presente e futuro della Sicilia. Veneto, classe 1961, manager pubblico di riconosciute capacità nella gestione del ciclo dei rifiuti, quando si insedia come assessore regionale ai Rifiuti, Acque ed Energia, in Sicilia la raccolta differenziata non arriva al 20%, nonostante la legge da anni preveda una percentuale minima del 65%. Quando lascia, esattamente tre anni dopo, la percentuale di raccolta differenziata nella Regione più grande d’Italia è oltre il 50%, con il crollo della ‘munnizza’ conferita in discarica. Oggi è tornato alla sua vasta attività professionale, che include un’intensa attività come autore di decine di pubblicazioni poi utilizzate da manager pubblici di tutta Italia. Abbiamo sentito Alberto Pierobon per avere indicazioni su cosa resta da fare, e come, in tre settori chiave per lo sviluppo presente e futuro della Sicilia.

Cosa resta da fare in Sicilia in tema di gestione dei rifiuti, e come farlo? Lei aveva scritto un ampio disegno di legge. Quali sono i suoi aspetti centrali e perché questa nuova riforma sarebbe così importante?

“Il disegno di legge di riforma, nella versione da me proposta (e negli ulteriori emendamenti approntati) interveniva in modo innovativo sulla governance, come pure sulla gestione per mettere ordine, imprimere rapidità, rendere trasparente e responsabilizzare tutto il sistema. Come più volte ho segnalato (anche per iscritto), l’attuale disciplina e altri provvedimenti lasciano delle falle aperte, creando (tra altro) alibi sia agli enti di governo d’ambito (SRR), sia ai gestori, come pure ai Comuni. Non mancando chi sguazza o alza la polvere: il disegno di legge consente di dare una svolta, ma non basta. Infatti, un altro tassello è stato il Piano rifiuti urbani, mal compreso per la sua originalità, evitando di copiare altri Piani. Un Piano che però è stato ben capito dagli addetti del settore, ma che va accompagnato da una continua attività amministrativa (di controllo, di pungolo, di responsabilizzazione) nonché di comunicazione a più livelli: tecnico-professionale per illustrare e giustificare i vari problemi, metodi e soluzioni; divulgativa negli incontri avviati con stakeholders e giovani; infine, strategico-politico, per condividere con Bruxelles e consapevolizzare Roma del percorso. Ricordo che il Piano valido da Febbraio/Marzo 2021, pur se scritto nel 2018, ha anticipato il pacchetto direttive europee, poi recepite in Italia a fine 2020. Molte Regioni quest’anno sono state chiamate ad aggiornare o integrare i loro Piani, non la Sicilia, impedendo, tra altro, di perdere importanti risorse finanziarie europee. Durante il suo mandato la Sicilia ha registrato piogge abbondanti”.

ACQUA E DIGHE? “IL PROBLEMA NON SONO LE RISORSE, MA LA VELOCITA’ CON CUI SI INTERVIENE”

Ma lei ha trovato le dighe e gli invasi siciliani pressoché tutti bisognosi di urgenti interventi di manutenzione, per cui aveva identificato le risorse economiche. Di cosa è più soddisfatto, nella sua gestione delle risorse idriche siciliane, e cosa resta da fare?

“Per le dighe, come per altri interventi sul sistema idrico integrato, purtroppo il problema non è costituito dall’avere le risorse bensì dalla necessità di una pianificazione e dalla velocità con cui si interviene. Serve una visione politico-strategica che veda il tutto piuttosto che le parti assommate in un tutto. Le procedure e gli intoppi sono una matassa dove la colpa è, come spesso accade, di tutti e di nessuno. Per questo si devono indicare esplicitamente priorità e urgenze, affidare le risorse a persone fuori da appartenenze, svolgere gare più rapide ed efficienti, ma ancora non basta. Posso dire di avere creato dirette sinergie con Roma e con altri organismi che potevano fare squadra con l’assessorato siciliano, sembrava avessero cominciato a fidarsi delle iniziative siciliane”.

Durante il suo mandato, è iniziata la redazione del nuovo Piano energetico siciliano, intitolato ‘Verso l’autonomia energetica della Sicilia’. Di quali progressi è più soddisfatto, nei suoi tre anni in Sicilia, e cosa resta da fare perché il Piano sia approvato e non resti un ‘libro dei sogni’?

“Non sono soddisfatto: il Piano sembra essere, come per altre cose, rallentato se non fermo. E’ come un convoglio che dopo aver toccato più tappe e raccolto più passeggeri deve ancora arrivare a destinazione. Peraltro, molti sono i soggetti interessati a intervenire in materia di energia in Sicilia, bisogna però filtrare le iniziative, evitando da subito coloro che pensano di colonizzare o commercializzare, infestando il settore. Anche per questo sono state adottate linee e convenzioni/accordi che vanno seguiti e applicati, non solo sottoscritte e lasciate andare per il loro corso. Parimenti il rapporto instaurato con gli organi nazionali nonché con i maggiori players (Enel, Eni, Terna, CDP, GSE, etc.) sono stati proficui e cooperativi. Dialogavamo, in modo imparziale e nell’interesse pubblico-siciliano, per orientare non solo i colossi del settore, ma anche gli interventi che hanno una immediata ricaduta per la comunità, ad esempio le energie rinnovabili per tutti gli edifici pubblici, per i condomini, l’integrazione con il sistema idrico e dei rifiuti, l’utilizzazione dei terreni non più fecondi, ecc. La condizione però è che vadano sveltite le procedure, evitando che si debba pregare in ginocchio la burocrazia per un permesso, per una risposta, per qualcosa che è un semplice e sacrosanto diritto”.

“LA PALESTRA ANTROPOLOGICA SULLA QUALE SI FORMANO I SICILIANI E’ RICCA”

Lei è anche un apprezzato formatore manageriale. Quali sono le più importanti necessità formative e organizzative della dirigenza regionale siciliana?

“E’ una domanda difficile. La Sicilia non è una regione semplice, per agire occorre conoscere il linguaggio siciliano che è molto simbolico, dove anche il silenzio o il semplice sguardo o la postura assumono un loro significato. Credo sia utile una maggiore esperienza sul campo. Nella mia vita professionale ho imparato molto nel passare dal pubblico al privato e viceversa, nel fare più cose (non solo amministrative), nelle grandi come nelle piccole organizzazioni, ma sempre con un approccio multidisciplinare, in una apertura auspicabilmente internazionale. Non basta conoscere le norme o le procedure o i manuali ingegneristici o saper ‘smanettare’ in excel. Guardando altre realtà, confrontandosi, immergendosi nelle varie casistiche si impara davvero molto. Trovo, ad esempio, che i siciliani che ricoprono ruoli fuori dall’Isola, in Italia come all’estero, siano tra i migliori, proprio perché la palestra antropologica siciliana sulla quale si sono formati è ricca. Fuori hanno trovato forse maggior slancio e occasioni”.

Uno dei tratti distintivi del suo mandato è stato il coinvolgimento di associazioni, parrocchie, giovani e scuole nelle varie iniziative via via dispiegate, specie nel campo dei rifiuti. Perché è importante farlo per un amministratore pubblico?

“Anzitutto per non perdere il contatto con la realtà ed i problemi del territorio, nel ‘sentire’ che proviene direttamente dal contatto con forze fresche, dal basso. Il rapporto umano instilla motivazione, desiderio di cambiamento, per il bene di coloro che attendono un segnale di speranza. In questo ho trovato giovani eccezionali e persone stimolanti che operano nei vari campi (sanitario, religioso, universitario, associativo, ecc.) cariche di una umanità che ancora oggi serbo in me e coltivo”.

Quali sono i punti di forza, e quali quelli di debolezza, della classe dirigente siciliana che ha conosciuto direttamente nei tre anni del suo mandato?

“Mi sembra di aver già additato prima gli elementi che possiamo semplicemente sintetizzare qui in: a) quelli forti: la capacità di trovare soluzioni ai problemi più complessi, la tenacia, la pazienza, ecc.; b) quelli deboli: la sostanziale autoreferenzialità nelle iniziative; il riparo dietro le norme e nelle diaboliche procedure e scusanti per le novità e cambiamenti”.

Lei è stato anche commissario governativo durante una crisi dei rifiuti in Campania. In cosa si differenzia la Sicilia, dal punto di vista di un manager pubblico, rispetto all’altra grande Regione del Sud?

“La Campania mi pare meno complicata, seppur abbia proprie difficoltà e specificità. L’impressione è che vi sia più creatività e vicinanza agli uffici romani, anche in taluni cambiamenti, talvolta anche nell’arginarli. La burocrazia ha una diversa formazione e approccio, forse anche la polizia giudiziaria che trovo in Sicilia è eccellente. Mi pare che la Sicilia sia veramente un continente a parte: ricco e potente, ma che rimane distinto dagli altri: questa è, credo, la sua forza e al contempo la sua debolezza”.

Pubblicato da