L’esplosione di gas a Ravanusa potrebbe essere legata alla natura geologica di questo territorio?

12 dicembre 2021
  • In primo luogo manifestiamo la nostra solidarietà alle persone rimaste coinvolte in questo dramma. Detto questo, vogliamo provare ad avanzare qualche ipotesi legata alla natura dei luoghi dove è avvenuta l’esplosione di gas 
  • Ricordiamo che il fenomeno delle Maccalube non è esclusivo di Aragona, ma di altre aree dell’Agrigentino e del Nisseno. Parliamo sempre di gas metano
  • L’esplosione della sacca di gas che il 12 Novembre del 1951 provocò un maremoto con grandi danni nel porto peschereccio di Sciacca, sempre provincia di Agrigento
  • Il mistero della “Porta d’Inferno” nel Turkmenistan: ancora una storia di esplosione di gas metano

In primo luogo manifestiamo la nostra solidarietà alle persone rimaste coinvolte in questo dramma. Detto questo, vogliamo provare ad avanzare qualche ipotesi legata alla natura dei luoghi dove è avvenuta l’esplosione di gas 

Le notizie su quanto accaduto a Ravanusa, cittadina della provincia di Agrigento, poco meno di 11 mila abitanti, sono su tutti i giornali. Noi, a mente fredda, vogliamo provare a dare un’interpretazione dei fatti. Sappiamo – lo raccontano le cronache di queste ore – che ieri sera, intorno alle 20 e 30, una terribile esplosione ha sconvolto la vita di questa comunità. Tre morti, sei dispersi, quattro palazzine distrutte, altre tre palazzine danneggiate, un centinaio di sfollati. Un dramma. In questo articolo proveremo a illustrare qualche ipotesi sulle cause. La tesi ufficiale è che ci sia stata una fuga di gas dalla tubatura del metanodotto. L’onda d’urto è stata violentissima e ha investito un’area di circa 10 mila metri quadrati in modo circolare. Saranno le autorità competenti ad accertare cosa è realmente successo. Noi poniamo una domanda: l’esplosione avvenuta potrebbe essere legata alla natura geologica di questo territorio e al dissesto idrogeologico? Ricordiamo che la zona, oltre ad essere idrogeologicamente instabile, rientra ne cosiddetto bacino gessoso-solfifero di Caltanissetta. In questi luoghi la liberazione di metano può dare origine a esplosioni se qualcosa ne provoca l’innesco. La nostra è soltanto un’ipotesi che nasce da una serie di articoli che abbiamo pubblicato grazie a Domenico Macaluso, un medico agrigentino con una grande passione per la scienza. Con Macaluso, grande conoscitore dei fondali del Mediterraneo, abbiamo approfondito i temi legati alla possibilità di terremoti e maremoti in Sicilia, ma anche il fenomeno delle Maccalube, che si verifica sulla terraferma.

Ricordiamo che il fenomeno delle Maccalube non è esclusivo di Aragona, ma di altre aree dell’Agrigentino e del Nisseno. Parliamo sempre di gas metano

Questo articolo che – lo ribadiamo ancora una volta – è solo la descrizione di un’ipotesi nasce dalla lettura di un articolo che che Macaluso ha scritto per il periodico Geologia dell’Ambiente. In Sicilia, quando si parla di Maccalube, si fa riferimento alle Maccalube di Aragona, provincia di Agrigento, oggi sede della Riserva naturale integrale Maccalube di Aragona. Va detto che le manifestazioni che danno luogo al fenomeno delle Maccalube non sono esclusive di Aragona, ma si presentano anche in altri luoghi della nostra Isola: nell’Agrigentino sono stati osservati e studiati sul monte Sara, tra Ribera e Cattolica Eraclea e anche nell’area di Cianciana. Sono anche presenti a Caltanissetta, nel quartiere di Santa Barbara. Tali fenomeni potrebbero essere anche presenti in altri luoghi, per esempio a Ravanusa, che si trova, come già ricordato, sempre nell’Agrigentino? Non può essere escluso. Ma cosa sono, di preciso, le Maccalube? Sono dei vulcanelli di fango e gas. Leggiamo su Wikipedia: “I vulcanelli sono il frutto di un raro fenomeno geologico definito vulcanesimo sedimentario. Il fenomeno è legato alla presenza di terreni argillosi poco consistenti, intercalati da livelli di acqua salmastra, che sovrastano bolle di gas metano sottoposto ad una certa pressione. Il gas, attraverso discontinuità del terreno, affiora in superficie, trascinando con sé sedimenti argillosi ed acqua, che danno luogo ad un cono di fango, la cui sommità è del tutto simile ad un cratere vulcanico. Il fenomeno assume talora carattere esplosivo, con espulsione di materiale argilloso misto a gas ed acqua scagliato a notevole altezza. Le Maccalube sono importanti emissioni di gas naturale che si originano in seguito al diapirismo. Processo fisico che porta in superficie fluidi (gas ed acqua) e materiale sedimentario non consolidato; la migrazione del gas e del fango segue linee di risalita attraverso strutture geologiche strutturalmente più deboli”.

L’esplosione della sacca di gas che il 12 Novembre del 1951 provocò un maremoto con grandi danni nel porto peschereccio di Sciacca, sempre provincia di Agrigento

Ribadiamo: la nostra è soltanto un’ipotesi. La stiamo formulando perché nel tragico evento che ha colpito Ravanusa c’è di mezzo il gas metano. E il metano lo ritroviamo nelle aree dove si materializza il fenomeno delle Maccalube. Insomma, in certe aree della Sicilia – in terra e in mare – si possono presentare fenomeni di accumulo di gas metano. Sempre grazie a Domenico Macaluso abbiamo raccontato cosa avvenne a Sciacca – ancora provincia di Agrigento – nel lontano 1951, esattamente il 12 Novembre, “quando, dopo un forte boato, il mare si ritirò improvvisamente, lasciando scoperti i fondali del porto e determinando la rottura degli ormeggi delle imbarcazioni; l’onda anomala con la quale le acque riaffluirono, danneggiò le strutture portuali, alcune case e diversi magazzini, comportando la dispersione di parte della flottiglia peschereccia di Sciacca, con danni stimati da una Commissione parlamentare superiori ai 40 milioni di lire”. “L’evento – ha raccontato Macaluso – è da mettere in relazione con l’esplosione di una sacca di gas, in quanto il maremoto non era stato anticipato da alcun terremoto, ma soltanto dalla violenta esplosione avvertita prima del ritiro delle acque del mare. L’evento fu così disastroso da fare intervenire il Governo in aiuto alla popolazione, come si evince dalle cronache parlamentari del 1951. La descrizione di questo maremoto venne riportata anche in diversi quotidiani dell’epoca, ma in particolare, la corrispondenza dell’inviato di Palermo del 12 Novembre 1951 per La Stampa è utile a comprendere l’entità del fenomeno ed i suoi devastanti effetti: ‘Ieri, verso la mezzanotte e mezza nell’interno del porto di Sciacca, improvvisamente il mare si sollevava fino a raggiungere l’altezza di oltre tre metri e, con una gigantesca ondata sovrastante le banchine, si abbatteva con violenza sull’abitato. Le circostanze con cui il fenomeno si è manifestato fanno pensare ad un autentico maremoto. Le barche, che in numero di oltre 150 nell’angusto specchio d’acqua formavano quasi un ponte, all’urto tremendo dell’onda, rotti gli ormeggi, sono state trasportate via dal risucchio. Uno spettacolo desolante si presentava nelle prime ore dell’alba nella sconvolta marina e lungo il litorale: barche affondate, rottami alla deriva, motopescherecci dalle fiancate squarciate a cavallo delle distrutte banchine. Mancano una trentina di battelli; circa duecento metri di banchina sono stati divelti dalla furia delle acque’”.

Il mistero della “Porta d’Inferno” nel Turkmenistan: ancora una storia di esplosione di gas metano

Ultima curiosità: la storia di quella che è stata chiamata la Porta dell’Inferno, ovvero la storia del cratere gassoso Darvaza, in Turkmenistan. “Il cratere gassoso Darvaza (in turkmeno «Garagum ýalkymy») – leggiamo ancora su Wikipedia – noto anche come Porta dell’Inferno o Cancelli degli Inferi (il turkmeno «derweze» deriva dal persiano «دروازه» [darvaza] ovvero «cancello»), è un cratere di gas naturale collassato in una caverna situata a Darvaza, in Turkmenistan.[5] I geologi lo hanno intenzionalmente dato alle fiamme per impedire la diffusione di gas metano, e si presume che stia bruciando senza sosta dal 1971. Il cratere è una popolare attrazione turistica. Dal 2009, 50.000 turisti hanno visitato il sito.[6] Il cratere del gas ha una superficie totale di 5.350 m². La zona circostante è anche famosa per il campeggio nel deserto selvaggio. Adesso è noto che sotto Derweze si trova un grande giacimento naturale di gas, ma nel 1971 alcuni geologi sovietici vi ubicarono una piattaforma di perforazione nella zona in cerca di petrolio[10]. Il terreno sotto la piattaforma crollò precipitando in una caverna piena di gas naturale[7][9] ed inghiottendo tutte le attrezzature degli scienziati… L’incidente non causò vittime fra i ricercatori, sebbene non sia stato escluso che la grande quantità di gas sprigionatasi nei primi tempi possa aver determinato la morte di alcuni abitanti dei villaggi vicini. Il timore che si potesse diffondere gas velenoso condusse i geologi ad innescare l’incendio nella speranza che il fuoco consumasse tutto il gas combustibile presente all’interno della caverna nel giro di qualche giorno. Tuttavia ancora oggi le fiamme continuano a bruciare inestinte”. Storie di gas, storie strane.

Foto tratta da Il Messaggero 

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