A rendere il mondo sempre più complicato non ci sono solo la pandemia di nuovo in piena spinta nell’Occidente industrializzato (e meno che ci sono i vaccini anti-Covid…) e i cambiamenti climatici. Ci sono anche grandi problemi nei trasporti delle merci via mare. Mancano i container mentre le navi arrivano nei porti di destinazione in ritardo. Insomma, il caos regna sovrano anche in questo settore. Che succede? Una spiegazione l’ha data Riccardo Martini, dell’agenzia marittima Dcs Tramaco, nel corso di un webinar Cso sui rincari delle materie prime ripreso da ITALIAFRUIT: “Dall’inizio del 2021 si è verificata una fortissima ripresa mondiale, con la conseguenza di una crescita esponenziale di container sulle principali rotte dall’Asia agli Usa e dall’Asia all’Europa. Il traffico è sbilanciato per il ritardo della ripresa della produzione industriale di alcune nazioni degli Usa e dell’Europa e si riscontra un accumulo enorme di container vuoti in Nord America ed Europa che non torna in Far East. Il blocco del canale di Suez prima e il successivo lockdown nel principale porto cinese di Yantian, che prevedeva 16 giorni di attesa per l’entrata, hanno peggiorato la situazione. Oggi ci sono ritardi nei principali porti mondiali del mondo che alterano la regolarità dei servizi marittimi”.
Il problema nasce dai ritardi nella produzione industriale negli Stati Uniti d’America e in Europa, che sono le due aree del mondo dove il ritorno della pandemia sta colpendo in modo molto duro. I ritardi investono anche il trasporto di ortofrutta, con grandi ritardi nel commercio globale di questi prodotti. Succede, così, che ortaggi e frutta che, con la globalizzazione dell’economia fanno il giro del mondo, prima rimangono nei magazzini per giorni e giorni e poi, una volta sulle navi, arrivano nei porti di destinazione con ritardi che vanno da a 10 giorni non per problemi di viaggio, ma perché i porti sono intasati e debbono aspettare, appunto, da 5 a 10 giorni per scaricare la merce. C’è anche un problema legato agli effetti che la pandemia ha prodotto nell’economia. Mancano lavoratori portuali e autisti dei camion. Mancano i container, manca il personale, così i volumi di traffico dei container sono in diminuzione in tutto il mondo. “A totalizzare le più rilevanti riduzioni dei volumi di traffico container dai porti nazionali – leggiamo sempre su ITALIAFRUIT – sono stati Regno Unito con 8,7 milioni di teu (-15%), Filippine con 7,5 milioni di teu (-14,9%), Francia con 5,1 milioni di teu (-13,0%), Sud Africa con 4,0 milioni di teu (-12,3%), Canada con 6,2 milioni di teu (-10,2%), Messico con 6,4 milioni di teu (-9,2%) e Germania con 18,0 milioni di teu (-8%). L’Italia, con 9,8 milioni di teu movimentati, ha fatto registrare un calo del 3,2%”. In Canada, a complicare tutto ci si è messo anche il clima, con un’inondazione che ha bloccato i trasporti ferroviari. In aumento anche le tariffe, che sono più che raddoppiate.
Ovviamente, i ‘sacerdoti’ del liberismo economico imperante saranno più che dispiaciuti da quello che sta succedendo. Il sistema ultra-liberista – che poi è quello sposato dall’Unione europea dell’euro – prevede, anzi si regge sullo scambio continuo di merci, per privilegiare chi produce a costi più bassi. Se questo è già rischioso nell’industria (in genere, quando si cerca di risparmiare sui costi industriali e, in generale, sui costi si sacrifica la sicurezza: e lo vediamo in Italia con l’alto numero di incidenti e di morti sul lavoro), diventa demenziale, se non esiziale in agricoltura, perché per ridurre i costi si abbassa la sicurezza alimentare e si mettere in pericolo l’ambiente. E’ la regola aurea dell’agricoltura: quando i prezzi dei prodotti agricoli sono troppo bassi, il prezzo lo pagano l’ambiente e la salute umana. E allora? Ebbene, non abbiamo difficoltà a scriverlo: la riduzione del trasporto globale di ortofrutta è un fatto positivo, soprattutto per i Paesi come l’Italia la cui agricoltura viene massacrata dall’arrivo di grano al glifosato e alle micotossine e di ortofrutta piana di pesticidi. Certo, ci sono aree del Nord Italia che esportano prodotti agricoli freschi e trasformati. E così è anche al Sud e in Sicilia (anche se meno rispetto al Nord). In ogni caso, è l’occasione per tornare all’autoconsumo.
Foto tratta da Shipping Italy