L’Italia non è solo il primo Paese al mondo per la produzione di pasta, è anche il Paese con il più alto consumo di pasta pro capite. Se facciamo la media tra il Nord Italia e quella che, di fatto, dal 1860 è la ‘Colonia’ italiana – cioè Sud e Sicilia – il consumo di pasta si attestato interno a 25kg di pasta all’anno per ogni cittadino. Nel Sud e in Sicilia, invece – dove si coltiva il vero grano duro, il consumo si attesta intorno a 35 Kg di pasta per ogni cittadino all’anno (quando scriviamo che il vero grano duro si coltiva nel Sud e in Sicilia vogliamo solo sottolineare che il grano duro prodotto nel Nord Italia è una cosa molto diversa dal grano duro del Sud e della Sicilia ed è bene lasciarlo mangiare ai ‘polentoni’). Detto questo, ieri sera abbiamo raccontato che in Canada, in questo momento, le navi cariche di grano duro canadese non possono partire, perché alla riduzione della produzione a causa della siccità ci sono anche problemi di trasporto del grano dal luogo di produzione ai porti perché l’alluvione di questi giorni ha bloccato le linee ferroviaria (il riferimento è anche al grano tenero canadese che ‘allieta’ sempre il Nord Italia, con riferimento soprattutto all’industria dolciaria: leggere varietà di grano tenero canadese Manitoba diventato in Italia il ‘grano di forza’ per antonomasia!).
Quello che non è riuscito a fare l’uomo lo sta facendo la natura con i cambiamenti climatici. Il grano non andrebbe coltivato oltre certe latitudini, perché non c’è il sole per farlo maturare. Così, per farlo maturare, si ricorre all’espediente del glifosato utilizzato impropriamente prima della raccolta per far maturare il grano artificialmente, con buona pace della salute di milioni di persone. Non solo. Il grano coltivato nelle zone umide crea le condizioni per lo sviluppo di funghi che, a propria volta, producono micotossine. Di più: il grano, se proprio deve essere trasportato da una parte all’altra del mondo, va trasportato in ambienti a temperatura controllata, non nelle stive delle navi a come capita. La temperatura controllata impedisce la proliferazione di microrganismi e garantisce la salubrità del grano. Osservare nei porti del Sud Italia e della Sicilia (e supponiamo che sia così anche per il grano tenero canadese o, in generale, estero) che arriva nei porti del Nord Italia grandi carichi di grano che arrivano con le navi ‘a come capita’, con gli operatori che calpestano lo stesso grano non è il massimo.
Bene. Fatte queste precisazioni, alla luce dei cambiamenti climatici in corso che stanno cambiando, tra le altre cose, anche il corso della storia di certi prodotti agricoli che viaggiano da un Continente all’altro; rilevato che tali cambiamenti climatici non sembrano essere il frutto del capriccio di un anno andato storto, ma un processo in corso (proprio ieri abbiamo dato notizia che La Niña si è sviluppata nell’Oceano Pacifico per il secondo anno consecutivo, con possibili effetti negativi anche nell’area del Mediterraneo) ci chiediamo e chiediamo coma si sta organizzando il mondo della produzione industriale italiana della pasta. Il discorso riguarda tutti: le grande industrie della pasta del Nord Italia e anche le industrie della pasta che operano nel Sud. Crediamo che sia arrivato il momento di fare un po’ di chiarezza sui derivati del grano, a cominciare dalla pasta. Non – con riferimento alla pasta – con la presa dei fondelli targata Unione europea “pasta prodotta con grano Ue – pasta prodotta con grano non-Ue, dizione che è solo una presa per i fondelli. Crediamo che si arrivato il momento che le industria della pasta italiane, approfittando della crisi del grano duro, comincino a comunicare ai consumatori con quale grano duro producono la pasta: se è grano duro italiano o se è grano duro estero. Qualche industria, in verità, ha cominciato a farlo: c’è chi, nelle pubblicità, fa sapere che produce pasta con grano duro degli Stati Uniti d’America, il Desert Durum, argomento che noi trattiamo dal 2016.
Sappiamo, ad esempio, che nonostante i disastri produttivi canadesi (in Canada i cambiamenti climatici, quest’anno, si sono ‘mangiati’ il 50% circa della produzione di grano di questo Paese), una parte di grano canadese, fino a prima dell’alluvione dei giorni scorsi, è comunque arrivata in Italia (se non è arrivato tanto grano uro canadese è perché gli agricoltori canadesi hanno deciso di stoccare una parte del prodotto perché sono convinti che nei primi mesi del prossimo anno il loro grano spunterà prezzi maggiori); e sappiamo che, all’orizzonte, si profila il grano australiano e il il grano indiano. Tutto legittimo, per carità. L’importante, lo ribadiamo, è informare i cittadini-consumatori. Mario Pagliaro, chimico del Cnr, appassionato di climatologia e agricoltura, dice che le grandi industrie della pasta si trasferiranno in Sicilia per coltivare direttamente il grano duro e per produrre pasta. Vedremo cosa succederà. Intanto c’è una questione aperta: l’informazione sui luoghi di produzione del grano duro con il quale si produce la pasta. Una questione che va affrontata ora. Poi ci sarebbe anche una questione siciliana che, oltre dieci anni fa, Cosimo Gioia cercò di affrontare e risolvere: la creazione di un marchio per la pasta prodotta con il grano duro siciliano. Progetto bloccato allora dagli ascari che nella politica siciliana sono sempre in servizio permanente ed effettivo. Di questo si dovrà parlare con il prossimo Governo regionale, dopo che, a Dio piacendo, ci libereremo dell’attuale Governo che, in agricoltura, a parte i contributi a pioggia e le ‘mance’, non ha fatto praticamente nulla.