“Covid: perché i casi nel Regno Unito sono così alti?”, si chiede METRO, il quotidiano cartaceo a più alta diffusione del Regno Unito. Noi, per provare a illustrare quello che sta succedendo in Inghilterra vogliamo partire dall’analisi di questo giornale, che offre spunti interessanti. Nella parte iniziale dell’articolo si legge che i sanitari inglesi hanno chiesto la reintroduzione delle restrizioni Covid prima dell’Inverno. Con la stagione fredda, si sa, i virus che colpiscono le alte vie aeree trovano un ambiente favorevole per infettare. E i casi in aumento – il dato più alto in Europa – destano preoccupazione. Più virus c’è – questo il ragionamento che si legge su METRO – più possibilità ci sono “che il virus ‘sfondi’ le difese dei vaccini, raggiunga le persone vulnerabili e faccia pressione sui servizi sanitari”. Dopo queste considerazioni preoccupanti il giornale fa una mezza marcia indietro: “Il numero di persone risultate positive al Covid nel Regno Unito è aumentato negli ultimi giorni a oltre 50.000 casi in un giorno (in realtà, negli ultimi due giorni, il numero di positivi è leggermente sceso ndr)”. Negli ultimi tre mesi in questo Paese ci sono stati all’incirca tanti casi quanti quelli registrati lo scorso Inverno, “il che ci consente di confrontare i due periodi di tempo. Tra Luglio e Ottobre di quest’anno, ci sono stati poco più di tre milioni di casi, con 79.000 persone che sono finite in ospedale. Tra Ottobre e Gennaio dello scorso anno, ci sono stati poco più di 2,7 milioni di casi, ma più di 185.000 persone hanno avuto bisogno di cure ospedaliere. Questo era prima che i vaccini fossero ampiamente disponibili”. In questo conteggio manca il numero delle persone decedute dopo la somministrazione dei vaccini anti-Covid e il numero delle persone che ha accusato problemi dopo i vaccini (eventi avversi non gravi ed eventi avversi gravi che non hanno comunque provocato decessi, ma hanno provocato sofferenza talvolta anche per lunghi periodi). Nulla di strano: in tutti i Paesi dove i vaccini anti-Covid vengono spinti non si danno notizie degli eventi avversi.
A questo punto il quotidiano inglese sciorina dati che dovrebbero mettere in buona luce i vaccini anti-Covid e in cattiva luce i non vaccinati. E siccome, con molta probabilità, in dati sono veri e credibili (a differenza che in Italia dove ad ammalarsi sono solo i non vaccinati…), ecco che scopriamo che questi ‘numeri’ non sono poi così favorevoli ai vaccinati: “In Inghilterra – leggiamo su METRO – le persone non vaccinate avevano almeno tre volte più probabilità di aver bisogno di cure ospedaliere rispetto alle persone vaccinate, secondo i dati più recenti di Public Health England per le tre settimane precedenti. Nel gruppo più anziano – gli over 80 – sono finite in ospedale con il Covid 141 persone ogni 100.000 non vaccinate contro le 54 ogni 100.000 vaccinate. Nei più giovani – i minori di 18 anni – quattro persone non vaccinate su 100.000 hanno avuto bisogno di cure ospedaliere durante la notte rispetto a zero nel gruppo vaccinato”. Ora, tra i vaccinati over 80 54 persone ogni 100 mila che finiscono in ospedale non è un dato basso rispetto ai 141 over 80 non vaccinate che finiscono in ospedale, sempre per un campione di 100 mila non vaccinati. In questo caso non va osservato solo il rapporto di 1 a 3, ma va sottolineato che 54 over 80 vaccinate contro il Covid ogni 100 mila vaccinati che finiscono in ospedale non è un numero da sottovalutare. Anche perché – torniamo a ribadirlo – non è affatto vero che il vaccino anti-Covid non presenta rischi, perché ci sono eventi avversi non gravi e gravi e anche decessi. Va detto che, dallo scorso Luglio, l’Inghilterra ha eliminato tutte le restrizioni anti-Covid, a cominciare dalle mascherine, che sono completamente sparite. E anche se non mancano gli ‘intelligenti’ – per esempio gli europeisti che gioiscono perché le difficoltà colpiscono un Paese che è uscito dall’Unione europea – la realtà è ben diversa. Il principio sul quale si fonda la scelta degli inglesi è lo stesso di tutti i Paesi della Ue che hanno puntato sui vaccini nella lotta al Covid; l’unica differenza è che l’Inghilterra lo sta mettendo in pratica, mentre quasi tutti gli altri Paesi mantengono alcune restrizioni (con le eccezioni della Danimarca, che ha riaperto tutto sulla base della tesi che il Covid non è altro che un’influenza che darebbe qualche complicazione in più, e della Svezia, che non ha mai messo in atto restrizioni). In Danimarca e in Svezia non c’è la nevrosi da vaccino anti-Covid, con il vaccino da somministrare comunque e in ogni dunque come ad esempio in Italia; e non ci sono governi che hanno costruito un sistema di governo e di potere attorno al vaccino anti-Covid con Green pass, come sta avvenendo sempre in Italia, dove un Governo dispotico ha imposto il Green pass per lavorare!
Non sappiamo cosa succederà in Inghilterra nelle prossime settimane, quando arriverà l’Inverno (ricordiamoci che siamo ancora in Autunno). Però qualche domanda andrebbe posta: perché il virus sta infettando tanti cittadini inglesi, mentre si comporta in modo diverso dove le restrizioni non ci sono mai state (Svezia) e dove le restrizioni sono state eliminate proprio come avvenuto in Inghilterra (Danimarca)? A questa domanda METRO dà la seguente risposta: “È vero che più infezioni circolano, maggiore è il rischio che alcune persone finiscano per ammalarsi gravemente, anche quando la maggior parte è stata vaccinata. Questo è probabilmente il motivo per cui i ricoveri ospedalieri nel Regno Unito sono più alti ora di quanto non fossero all’inizio dell’Estate, quando i casi erano più bassi. Ma quando si guardano i numeri complessivi, stiamo vedendo molti meno ricoveri ospedalieri ora rispetto a quando i casi erano così alti e la maggior parte delle persone non era vaccinata”. Il Governo inglese continua a credere nell’attuale vaccino anti-Covid, anche se ammette che la durata di questa particolare immunità (che non è un’immunità vera e propria, ma un protezione contro la malattia) dura poco: “Uno studio sui risultati dei test Covid di persone vaccinate che hanno registrato i loro sintomi in un’app ha suggerito che la protezione del vaccino contro la cattura del virus diminuisce significativamente dopo cinque o sei mesi. In Israele, che originariamente guidava il mondo in termini di popolazione vaccinata, gli scienziati che hanno analizzato i loro dati hanno affermato che un picco di casi era dovuto alla caduta della protezione dal vaccino”. METRO scrive che il Regno Unito non è più tra i primi dieci Paesi al mondo per popolazione vaccinata. “Nelle prime due settimane di Ottobre, la percentuale del pubblico britannico di età pari o superiore a 12 anni che aveva ricevuto almeno una dose del vaccino si è mossa a malapena”. Ma il Governo inglese insiste: “Il programma di vaccinazione ha notevolmente indebolito il legame tra casi, ricoveri e decessi e continuerà a essere la nostra prima linea di difesa contro il Covid-19. Incoraggiamo coloro che hanno diritto a un vaccino di richiamo a farsi avanti per assicurarsi di avere questa protezione extra vitale mentre ci avviciniamo all’Inverno”.
Che dire? Che l’Inghilterra e tutti i Paesi che vanno avanti con il vaccino anti-Covid partono dal presupposto che le mutazioni del virus SARS-COV-2 non provocheranno problemi e che l’attuale vaccino – i cui effetti in termini di riduzione del tasso di ospedalizzazione, ma non di riduzione della diffusione dell’infezione – avrà effetti positivi anche sulle stesse mutazioni o varianti. Sarà così? A noi tale impostazione sembra un po’ troppo ottimistica. Fino ad ora è stato così, se è vero che i 40-50 mila casi di infezione al giorno registrati in Inghilterra non hanno mandato in tilt gli ospedali inglesi con i ricoveri. Però – lo ribadiamo – questo sistema seguito in tutta Europa (tranne, lo ribadiamo, in Svezia e in Danimarca) parte dal presupposto che le varianti non creeranno problemi. Se ci riflettiamo, la terza dose di vaccino è programmata sul vecchio virus e sulla tesi – quasi assiomatica – che eventuali varianti verranno controllate dallo stesso vaccino. Noi non sappiamo se sarà così, ma prendiamo atto che questo particolare vaccino anti-Covid non sta eradicando il virus, ma lo sta trascinando nello spazio e nel tempo, nella convinzione che ci si potrà convivere andando avanti con le vaccinazioni, supponiamo ogni sei mesi. E’ pensabile vivere in eterno con il fiato del virus SARS-COV-2 sul collo? Questo scenario, ovviamente, piace molto alle multinazionali farmaceutiche che guadagnerebbero denaro a palate. Ma dubitiamo che il mondo troverà ottimale questa soluzione. Nella stessa Inghilterra – che è stato uno dei Paesi con un alto tasso di popolazione vaccinata – i cittadini non sembrano molto motivati dal vaccino ogni sei mesi.
Di più. Questa impostazione – lo ribadiamo – ignora ottimisticamente gli effetti nel tempo di questo particolare vaccino anti-Covid che non protegge dall’infezione e lascia circolare il virus. Questo tema lo abbiamo affrontato con un articolo di Marco Lo Dico, veterinario, specialista in Malattie Infettive, Profilassi e Polizia Veterinaria: “Normalmente un patogeno che circola in natura, convivendo con il suo ospite, attenua la sua virulenza adattandosi all’ospite. Per le varianti che si selezionano sotto pressione vaccinale, con vaccini che non proteggano dall’infezione, può essere il contrario… Ci sono numerosi lavori in medicina veterinaria che lo dimostrano! La pressione selettiva di vaccini che proteggono dalla malattia, ma non dall’infezione può causare un adattamento inverso. Nell’adattamento naturale i più fragili e i virus più patogeni divengono un limite alla diffusione del virus. Il soggetto morto esaurisce in sé la diffusione del virus, come il ceppo più virulento uccide l’ospite, ma anche se stesso riducendo la sua possibilità di circolare nella popolazione. Nei vaccini che non proteggono dall’infezione, invece, i soggetti vaccinati sono protetti dalla malattia o comunque fanno forme ‘frustre’ e meno gravi, ma consentono la circolazione del virus e, continuando a circolare senza esaurirsi nell’ospite, possono favorire la selezione di varianti più virulente. Non è un dogma, ma una probabilità. Probabilità che è evidente ed evidenziata in forme epidemiche in veterinaria e confermata da studi in medicina veterinaria, che in ambito virologico sono, per ovvi motivi, più complete di quanto possa avvenire in medicina umana” (qui per esteso l’articolo del dottore Marco Lo Dico). Non crediamo che ci sia altro da aggiungere.
Foto tratta da Ambimeb Group