di Massimo Costa
Nel 1941 la Sicilia fu oggetto di un massiccio provvedimento di deportazione di funzionari e dirigenti, anche di medio livello, per un esagerato sospetto di covi separatistici nella burocrazia isolana. Il regime non perdeva occasione per mortificare la Sicilia. La II guerra mondiale fece il resto. Nonostante la propaganda di regime, il disagio aumentava di giorno in giorno. La Sicilia diventò l’avamposto mediterraneo delle potenze dell’Asse e la retrovia per le campagne d’Africa condotte in Libia. Nel 1943 il rovescio finale: tutto il Nordafrica è occupato dagli Alleati e la Sicilia è in prima linea, soggetta ad una martellante campagna di bombardamenti alleati. Già nel 1942 si erano costituiti i CIS (Comitati Indipendentisti Siciliani clandestini) e l’indipendentismo era quindi l’unica forza politica
realmente organizzata prima dello Sbarco degli Alleati. Gli Alleati, probabilmente facendosi aiutare da fuoriusciti di Cosa Nostra che avevano mal sopportato le repressioni fasciste, sbarcano in Sicilia, nel Val di Noto, il 10 luglio del 1943. Gli USA attaccano l’ovest, a partire da Gela, dove trovano una debole resistenza delle truppe italiane. Gli Inglesi attaccano l’est, a partire da Siracusa, dove trovano invece un’accanita resistenza tedesca. Agli inizi di agosto si ritrovano entrambi ad entrare a Messina, gli Americani che avevano fatto tutto il giro della Sicilia dalla parte tirrenica, e gli Inglesi che erano risaliti più lentamente dalla costa ionica. La Sicilia, occupata, fu affidata al Governo dell’AMGOT del Gen. Charles Poletti. La storia generale successiva è nota: l’Italia firma a Cassibile l’armistizio l’8 settembre, gli Alleati risalgono lentamente la Penisola, la Guerra finisce con la disfatta delle potenze dell’Asse.
Nelle prime settimane in Sicilia si è quasi certi che sia finita la dominazione italiana. In maniera semiclandestina la politica riprende ad organizzarsi. All’inizio la forza più ampia è quella degli indipendentisti, riuniti nel MIS (Movimento per l’Indipendenza della Sicilia), che credono di avere ilfavore degli Alleati e che arrivarono a contare centinaia di migliaia di militanti. Ma anche i politici tradizionali, liberali, democristiani, socialisti e comunisti, si riorganizzano, propendendo di più per una soluzione autonomista alla Questione Siciliana. Ma l’Unione Sovietica si oppone, l’USA si accoda e la Gran Bretagna fa un passo indietro Probabilmente, in ambienti britannici, l’idea di una Sicilia indipendente fu presa seriamente in considerazione. La visita in Sicilia, nel dicembre 1943, del ministro sovietico Vishinski, gelò però questa prospettiva. La Russia, infatti, di fronte alla richiesta di una Sicilia indipendente in area anglosassone chiese come contropartita una parte delle colonie italiane d’Africa, ad esempio la Cirenaica. A quel punto gli USA pensarono che era meglio costruire un’Italia intera sotto la loro influenza, anziché una piccola Sicilia sotto la sola influenza britannica. La visita del comunista Giuseppe Montalbano alla delegazione russa di Vishinski, così come quella del democristiano Bernardo Mattarella al console USA (finalizzata a “spaventarlo” da una pretesa eccessiva del Regno Unito su uno stato indipendente siciliano) smossero le due più grandi potenze contro la causa della Repubblica Siciliana. La Gran Bretagna fu costretta ad accodarsi. Da quel momento in poi perciò, nonostante qualche
simpatia dell’AMGOT, gli Alleati abbandonarono poco a poco la causa siciliana. Nel febbraio del 1944 riconsegnarono così la Sicilia all’Italia, allora loro alleata, con la promessa di concederle almeno una amplissima autonomia.
L’Amministrazione alleata accolse infatti la presentazione di un progetto (redatto dal Vacirca) che era una sorta di indipendenza appena velata da una blanda confederazione con l’Italia e la consegnarono all’Italia per i successivi sviluppi. L’Italia, nel riprendere possesso della Sicilia, rispolverò l’antico istituto dell’Alto Commissariato Civile (già sperimentato nel 1896/97), con un’amministrazione quasi del tutto separata da quella del resto del Paese. A fianco del Commissario fu creata una Giunta di nove membri. L’Alto Commissario veniva preposto a “tutte le amministrazioni civili dello Stato, degli Enti locali e degli Enti ed istituti di diritto pubblico ed in genere a tutti gli Enti sottoposti a tutela o vigilanza dello Stato”, coordinava “l’azione dei prefetti”. In pratica la Sicilia tornava ad avere un’amministrazione
statale in tutto e per tutto separata da quella italiana, con le sole seguenti esclusioni: “amministrazione della giustizia”, “amministrazioni della guerra, della marina e dell’aeronautica”, “all’applicazione delle leggi fiscali e degli ordinamenti contabili dello Stato”. Lo Stato quindi, nominato l’Alto Commissario, teneva per sé solo la giustizia, i corpi armati, le intendenze di finanza e le dogane, le direzioni provinciali del tesoro. Lo status definitivo della Sicilia era per il resto ancora incerto.
Peraltro, nonostante la defezione degli Alleati, ormai il Separatismo aveva messo salde radici e non era facile da rimuovere. Vi furono disordini, come la Rivolta del “Non si parte” (in cui i Siciliani si rifiutavano di prendere le armi nuovamente con la divisa italiana a fianco degli Alleati) o la “Repubblica di Comiso”, o il moto separatista di Catania, e repressioni selvagge tra cui la cd. Strage del pane di
Palermo di Via Macqueda.
Il primo Alto Commissario, il socialista Francesco Musotto, indicato sostanzialmente dagli Alleati, considerato simpatizzante delle idee indipendentiste, fu sostituito a luglio con il più centralista Aldisio, che avrebbe garantito un più pronto ritorno all’ordine. Detta sostituzione fu certamente concordata con gli Alleati che prendevano a disinteressarsi sempre più della Questione Siciliana anche se bisogna attendere la seconda metà del 1944 per una dichiarazione esplicita di Roosevelt sull’indissolubilità dell’Unità d’Italia. A fine anno fu costituita una Consulta, larva di ricostituito Parlamento di Sicilia, nominata dal Governo, ma che costituiva una sorta di “Stati generali” della Sicilia, in cui erano rappresentate tutte le parti sociali e tutti i partiti dell’eptarchia (DC, PSIUP, PCI, PLI, PRI, Pd’Az,
PDL). Tutti all’infuori dei separatisti. Quando fu “trovato” un componente indipendentista, questo fu escluso dal rinato Parlamento siciliano. Il MIS fu l’unico partito organizzato, che contava più militanti di tutti gli altri messi insieme, ad essere escluso dal nuovo ordine. Nondimeno tra le fila della Consulta vi erano moltissimi ex separatisti o ferventi autonomisti che propendevano per dare soluzioni radicali alla Questione Siciliana, anzi – a dirla tutta – erano in netta maggioranza.
La ricostituzione del “parlamentino”, seppure ottriato, di Sicilia fu anche occasione per lo Stato di riprendersi qualche altra funzione oltre a quelle che si era riservate a marzo: ora fu la volta dell’istruzione superiore (le Università e Accademie), del credito e della tutela del risparmio. Al Commissario, su voto consultivo della Consulta, era data la possibilità di emanare norme quasi legislative: disposizioni concernenti l’agricoltura, le foreste, l’industria, il commercio, il lavoro, le comunicazioni e gli approvvigionamenti. Il Parlamento di Sicilia e la sua autonomia legislativa sembrava risorgere dalle ceneri. Agli uffici periferici dello Stato sotto il coordinamento dell’Alto Commissario era dato un portafoglio autonomo nel bilancio 1945/46, trasformando l’amministrazione siciliana di fatto in un “ministero aggiuntivo” rispetto a quelli centrali, dotato dei propri capitoli di spesa.
C’era in quei giorni un grande fervore per la ricostruzione e un grande ottimismo. Presso l’Alto commissariato fu costituito un Comitato regionale per la bonifica e la colonizzazione siciliana per il settore agricolo, e una Sezione di credito industriale presso il Banco di Sicilia, dotata di proprio comitato tecnico-amministrativo, con reddito esentasse, per la ricostruzione industriale. A tal fine i due miliardi di lire stanziati dal Governo Bonomi per tale fine furono assegnati per un quarto alla Sicilia. La Sicilia che stava minacciando il Separatismo acquistava un peso specifico enorme nell’Italia post-bellica. Doveva essere corteggiata perché non fuggisse. Furono disposte agevolazioni fiscali per gli investimenti industriali, esenzione da dazi per l’importazione di macchinari, possibilità di istituire depositi franchi e
agevolazioni per i trasporti ferroviari e marittimi. Questo era il prezzo da pagare per far dimenticare l’indipendenza ai Siciliani. Nessuno poteva allora immaginare che lo Stato, soffocato il Sicilianismo, si sarebbe naturalmente rimangiata ogni concessione o promessa.
Da questo momento la storia siciliana si decideva su due piani. Su un piano politico la Consulta espresse una Commissione ristretta, costituita dai rappresentanti dei Partiti, dall’Alto Commissario, e da tre professori universitari di diritto amministrativo, per stabilire quale dovesse essere lo Statuto di Autonomia della Sicilia. Su un altro piano il Separatismo veniva combattuto sul piano militare e
politico.
Con le blandizie, o con pressioni di ogni tipo, il Governo italiano ritornato in Sicilia si assicurava sempre di più il terreno. A un certo punto arrivò a far distruggere le sedi del MIS con azioni di terrorismo istigate dal Governo. La risposta degli indipendentisti fu il ricorso alla lotta armata, per mezzo della Costituzione dell’EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia), guidata da un professore universitario di idee marxiste, Antonio Canepa. Nel MIS confluivano infatti le posizioni più variegate: si andava dai monarchici siciliani e dagli agrari a destra, ai democratici liberali, come il leader Andrea Finocchiaro Aprile, all’ala cattolica, a quella socialista, o di sinistra, come quella rappresentata da Antonio Varvaro, fino agli indipendentisti comunisti, sconfessati però dal PCI e dal Comintern guidato
dall’URSS. Tra questi il Canepa, già ideatore di un tentativo di assassinio di Mussolini, si era poi fatto riabilitare facendosi passare per matto. Era così diventato un docente di Dottrina fascista all’Università di Catania, dissimulando il proprio pensiero nella dottrina ufficiale del regime. Animo inquieto, già partigiano al nord, poi in contatto con i servizi britannici, approda infine alla guerriglia separatista, di cui diventa l’ideologo. Suo il celeberrimo “La Sicilia ai Siciliani”, opuscolo che per i decenni a venire avrebbe rappresentato il punto di riferimento dell’indipendentismo più movimentista. Secondo il Canepa la questione sociale, che in Sicilia era soprattutto questione agraria, non era risolvibile se prima non si fosse realizzata l’emancipazione nazionale. A quel punto gli agrari, ad indipendenza conquistata, avrebbero dovuto dare le loro terre, se non avessero voluto dare “le loro teste”.
La lotta armata determinò la messa fuori legge del MIS e l’arresto di molti suoi militanti, nonché la deportazione a Ponza di quelli che
Mentre il 1945 scorreva in modo così drammatico, nella Consulta si preparava il futuro della Sicilia. L’Alto Commissario e Enrico La Loggia puntavano ad un autonomismo ridotto, o riparazionista, che risolvesse le questioni storiche della Sicilia in modo sostanzialmente assistenziale. Le sinistre riscoprirono la loro antica vena autonomista in chiave sociale, presentando un loro progetto originale, dovuto al filosofo Mario Mineo. Ma la maggioranza della Consulta era per un autonomismo radicale e confederale, ai limiti della piena indipendenza. Il progetto Guarino-Amella, appena più moderato rispetto a quello originario di Vacirca, godeva dei maggiori consensi. Alla fine il Prof. Salemi, partendo da questo progetto, lo smussò appena su alcuni punti, per avere l’accordo dell’Alto Commissario, e su quel testo ottenne la fiducia, prima della Commissione ristretta e poi della Consulta. Ma, nonostante le limature del Salemi, i contenuti del documento restavano assai forti. La comunità politica italiana era recalcitrante rispetto a una domanda di Autonomia della Sicilia così radicale, sebbene anche in Italia si stesse pensando di cogliere questa occasione per superare il centralismo napoleonico e ricostruire il
nuovo stato su basi decentrate e regionali.
La situazione precipitò nel dicembre 1945, quando si ebbe una vera e propria battaglia tra l’esercito italiano e l’EVIS in quel di Caltagirone. Il Governo, a quel punto, era deciso a chiudere la Questione Siciliana in qualsiasi modo. Si avviarono trattative riservate con i Separatisti in prigione: se il progetto Salemi – Guarino Amella fosse stato licenziato, gli indipendentisti si sarebbero limitati a chiederne il rispetto rinviando sine die la richiesta dell’indipendenza e sciogliendo la lotta armata; in cambio venivano scarcerati tutti i prigionieri politici e il MIS avrebbe potuto riprendere la propria attività politica, seppure danneggiata dalla repressione statale.
Il gennaio 1946 vide così la pacificazione della Sicilia, ma anche la difficoltà dei Separatisti, ormai emarginati nella società e dispersi, a riorganizzare la propria attività politica a così pochi mesi dalle elezioni dell’Assemblea Costituente, dopo che il movimento era stato ormai del tutto disarticolato nel territorio. Nel frattempo la Commissione Statuto chiudeva i propri lavori. In breve il Progetto di Statuto fu approvato dalla Consulta Siciliana. Lo Statuto Siciliano quindi risultò elaborato in Sicilia, quasi da un’Assemblea Costituente, e non concesso dall’Italia. Il Consiglio dei Ministri, che allora aveva ancora funzioni legislative, si limitò a ratificarlo senza alcuna modifica, portandolo alla firma di Re Umberto II, in piena campagna referendaria tra monarchia e repubblica.
La Consulta stava per cedere il posto ad una Assemblea elettiva, dagli amplissimi poteri legislativi e finanziari. L’Alto Commissario avrebbe dovuto cedere i propri poteri a un Presidente regionale espressione del rinato Parlamento. Lo Stato avrebbe mantenuto nell’Isola solo una magistratura totalmente decentrata, un Commissario per il controllo della Regione, nonché le forze armate. Tutto il
resto, imposte e polizia inclusi, dovevano passare ad una Regione quasi-stato. Tra i politici dei partiti italiani molti sinceri autonomisti credevano di avere risolto per sempre la Questione Siciliana. Il 15 maggio 1946 la Sicilia così vedeva solennemente riconosciuta la propria Autonomia. Il sogno di Autogoverno di generazioni era diventato finalmente realtà. Tra Sicilia e Italia sembrava esserci ormai
la pace, e lo stesso indipendentismo perdeva, almeno in apparenza, ogni ragion d’essere ed entrava nell’ombra.
Foto di prima pagina tratta da Ora Siciliana
Cronologia politica della Sicilia sotto il Regno d’Italia:
maggio – dicembre1860 Stato di Sicilia (dittatura garibaldina)
maggio-luglio Governo di Francesco Crispi (sotto la dittatura diretta di Giuseppe Garibaldi)
(sostituito poi per pochi giorni da Giuseppe Sirtori)
Prodittatori:
luglio-settembre Agostino Depretis
settembre-dicembre Antonio Mordini
dicembre 1860 – marzo 1861 “Province Siciliane annesse al Regno di Sardegna”
Luogotenente generale, m.se Massimo Cordero di Montezemolo
1861-1946 Regno d’Italia
Luogotenenti:
marzo-aprile 1861 m.se Massimo Cordero di Montezemolo
aprile-settembre 1861 generale Alessandro della Rovere
settembre 1861- gennaio 1862 generale Ignazio De Genova di Pettinengo
Commissari straordinari:
gennaio-agosto 1862 generale Efisio Cugia di S.Orsola
agosto-dicembre 1862 generale Enrico Cialdini
1866 Comitato provvisorio rivoluzionario (Rivolta del Sette e Mezzo): Presidente Francesco
Bonafede, p.pe di Linguaglossa
1896-1897 Alto Commissario Civile per la Sicilia: c.te Giovanni Codronchi Argeli
1925-1943 Regime fascista
1943-1944 Occupazione alleata: Governo AMGOT di Charles Poletti
Alti Commissari Civili per la Sicilia:
1944 Francesco Musotto (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria)
1944-1946 Salvatore Aldisio (Democrazia Cristiana)
1946 Igino Coffari (indipendente)
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