Due notizie oggi vale la pena di commentare. La prima è l’aumento del prezzo del grano all’esportazione della Russia. La seconda notizia è che negli ultimi anni, in Italia, ci hanno fatto la ‘testa tanta’ con la pasta prodotta “con solo grano duro italiano”. Per poi scoprire che almeno il 30% del grano duro utilizzato nel nostro paese per produrre pasta è importato e, di questo grano duro d’importazione, la stragrande maggioranza è canadese. E siccome in Canada il grano si coltiva anche – e forse soprattutto – nelle aree fredde ed umide dove è impossibile che tale grano maturi naturalmente, ma viene fatto maturare a colpi di glifosato, fate voi due più due… Cominciamo con la Russia che, lo ricordiamo, è uno dei maggiori produttori di grano del mondo. Ebbene, come leggiamo su SWB, “I prezzi all’esportazione del grano russo sono aumentati per la tredicesima settimana consecutiva. Infatti, secondo la società di consulenza IKAR, il grano russo con carico di proteine del 12,5% dai porti del Mar Nero per la fornitura nella seconda metà di Ottobre è stato valutato a $ 310 a tonnellata, franco a bordo (FOB) alla fine della scorsa settimana, in aumento di $ 3 rispetto la settimana precedente. Mentre secondo il SovEcon il grano è cresciuto di 6 dollari, quotando 312 dollari a tonnellata”. Per la cronaca, il prezzo di esportazione del grano russo a 312 dollari è un valore record.
Che significa questo? Che la situazione, nel mercato internazionale del grano, si va complicando. Magari nel mercato americano la domanda di grano potrebbe ‘raffreddarsi’ un po’, magari potrebbe entrare in gioco il grano indiano. Rimane, però, il fatto che le esportazioni di grano russo nel mondo, da Luglio ad oggi, sono diminuite del 27%. Mentre la tassa che il Governo russo fissa ogni settimana sul grano da esportare continua a crescere. Tale tassa “sarà pari a $ 58,70 per tonnellata per il 13-19 Ottobre, rispetto agli attuali $ 57,80, mentre l’indice dei prezzi su cui si basa rimane inferiore al prezzo FOB effettivo. La semina invernale, nel frattempo, è notevolmente indietro rispetto allo scorso anno”. Quanto sta succedendo nel mercato mondiale del grano con la riduzione globale dell’offerta di grano ci deve fare riflettere sul fatto che non tutto quello che diamo per scontato alla fine è scontato. Quanti di noi che ogni giorno mangiano pane e pasta riflettono su quello che sta succedendo e su quello che potrebbe succedere, alla luce del fatto che le scorte di grano, nel mondo, vanno diminuendo e che non è detto che, il prossimo anno, il clima torni ad essere ottimale per il grano. Le osservazioni scientifiche – che alla fine sono quelle che contano – ci dicono invece che il clima diventa sempre più estremo di anno in anno. Abbiamo visto quello che è successo in Canada, dove sono passati da – 50 gradi in Inverno a + 50 gradi in Estate, con una riduzione del 40% e forse più della produzione di grano. Per non parlare della siccità che ha colpito i Paesi degli Stati Uniti dove s coltiva il grano, siccità che ha provocato una riduzione della produzione che sfiora il 50%. Fino alla Russia, dove la riduzione delle esportazioni di grano si commentano da sole.
Andiamo al grano duro canadese la cui presenza in Italia, negli ultimi anni, è stata quasi negata. Nel Belpaese, da qualche settimana, si parla di “sicurezza negli approvvigionamenti di grano duro”. Il perché lo abbiamo già accennato: riduzione della produzione mondiale di grano duro e riduzione delle scorte. Da dove dovrebbe arrivare il grano duro per fare la pasta? E con quali costi? E a proposito di costi, va detto che siccome il costo del grano duro è aumentato e potrebbe aumentare ancora, il costo dell’energia elettrica è aumentato del 30%, beh, ci sono tutte le condizioni per un aumento del costo – e quindi del prezzo finale – della pasta. A spaventare sono le condizioni di contesto. “A fine campagna commerciale, in Luglio – leggiamo un un articolo di AgroNotizie del 10 Settembre scorso – il Ministero per l’Agricoltura del Canada segnalava che le scorte di durum – pure in aumento del 2% – non superavano le 750mila tonnellate: briciole. E il Dipartimento Federale per l’Agricoltura degli Usa, il 13 Agosto scorso, definiva le scorte finali di campagna 2020-2021 di durum in meno di 572mila tonnellate. Dato che si parla dei due Paesi maggiori produttori – con scorte complessive di un milione e 322mila tonnellate – e dove più facilmente si trova sul mercato grano duro di qualità pastificabile, va da sé che la questione della sicurezza degli approvvigionamenti è ormai drammaticamente sul tavolo. Soprattutto considerato che una forte riduzione della produzione in Nord America in vista della campagna commerciale 2021-2022, -39% in Canada e -50% negli Usa, non promette certo un’inversione di tendenza”.
Scopriamo così – e oggi sono dati ufficiali – che il Canada lo scorso anno ha esportato 5,8 di tonnellate di grano duro e che l’Italia ha importato 1,4 milioni di tonnellate di grano duro canadese. Quando due anni fa ci chiedevamo che fine facesse tutto il grano duro che arrivava in Italia non avevamo tanto torto! O no? Eppure la televisione raccontava la solita storiella, e cioè che tutta la pasta italiana “è prodotta con grano duro italiano”. Ancora AgroNotizie del 10 Settembre scorso: “Il grano duro fino di produzione italiana copre circa il 70% della domanda nazionale di molini e pastifici. E l’Italia – per continuare a produrre pasta e ad esportarla – seguita ad avere bisogno di circa 2 milioni di tonnellate di grano duro d’importazione all’anno, attualmente coperti per circa il 70% dal solo prodotto canadese”. In tanti si chiedono – correttamente – che succederà il prossimo anno se il clima continuerà a fare i capricci. Noi ci chiediamo anche cosa succederà in Italia a partire dal Febbraio del prossimo anno. Abbiamo scoperto che il grano duro canadese, fino allo scorso anno, era ben presente in Italia. Da dove lo prenderanno, il prossimo anno, in Italia, il grano duro per fare la pasta? E che significa aumentare la produzione di grano duro in Italia se in Sicilia il grano duro, invece di essere pagato a 50 euro al quitale, continua ad essere pagato a 40 euro al quintale, per sapendo che i costi di produzione tra sementi, concimi ed energia, sono già alle stelle?
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