C’è poco da fare: in Sicilia gli agricoltori non riescono a vendere il grano duro ad un prezzo superiore a 40 euro al quintale. E fa rabbia sapere che la Tunisia, in questi giorni, ha acquistato grano duro a 57-58 euro al quintale! Conta poco o nulla che il prezzo del grano duro Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare) sul mercato di Palermo segni per il 7 Ottobre poco più di 50 euro al quintale; o che il mercato di Catania – sempre prezzo Ismea – ‘viaggi’ intorno a 50-51 euro al quintale. Per la cronaca, i 50-51 euro registrati da Ismea è il prezzo che i commercianti chiedono ai mulini e ai pastifici. Ciò significa che ricavano circa 10 euro. Niente male, no? Perché succede questo? Perché la stragrande maggioranza degli agricoltori siciliani che produce grano duro sconta, mettiamola così, una fregatura storica. Da decenni vige una sorta di ‘Contratto di filiera atipico’ tra agricoltori e commercianti: questi ultimi, ad inizio annata, anticipano agli agricoltori i fondi per l’acquisto delle sementi, per l’acquisto dei concimi e per la semina; gli agricoltori si impegnano a conferire il grano prodotto agli stessi commercianti. Il prezzo lo fa il ‘mercato’, che in Sicilia e nel Sud è stato quasi sempre piuttosto avaro. Fino a qualche anno fa il prezzo era bloccato a 18-20 euro al quintale. Circa tre anni fa il chimico del CNR e appassionato di climatologia, Mario Pagliaro, ha previsto l’aumento del prezzo del grano. E i fatti gli stanno dando ragione, se è vero che i cambiamenti climatici previsti da Pagliaro hanno ridotto la produzione mondiale di grano, con conseguente innalzamento dei prezzi.
Anche in Sicilia i prezzi sono aumentati. Ma, come abbiamo accennato, non vanno al di là di 40 euro al quintale. Che è ancora un prezzo basso, come spiega da tempo Agostino Cascio, agricoltori, produttore di grano duro della provincia di Caltanissetta. Cascio spiega che vedendo il grano duro siciliano a a 40, anche a 45 euro al quintale non si rientra dai costi. Se poi aggiungiamo che è già esplosa un’inflazione che l’Unione europea tiene nascosta – inflazione che probabilmente è già a due cifre e non al 3% come cercano di far credete le autorità europee – la situazione, per i produttori di grano duro della Sicilia rischia di complicarsi. Quanto scriviamo può sembrare paradossale rispetto a un mercato internazionale del grano con i prezzi in crescita (e con prospettive, a breve termine, di ulteriore crescita dei prezzi). Ma c’è già chi ha fatto quattro conti e, tra aumento dell’energia, aumento del prezzo dei carburanti, aumento del prezzo delle sementi, aumento del prezzo dei concimi e via continuando, il prezzo di 40 euro al quintale del grano duro siciliano, il prossimo anno, non coprirà nemmeno i costi. E se poi i prezzi del grano si abbasseranno, la granicoltura siciliana rischia di chiudere, perché i prezzi dei fattori della produzione che oggi sono aumentati molto difficilmente scenderanno!
In questo scenario non possiamo non commentare una notizia che leggiamo su SWB, nella pagina Facebook de Gli amici del “Gran duro di Sicilia: “L’agenzia statale per i cereali della Tunisia ha acquistato circa 100.000 tonnellate di grano duro da reperire da origini facoltative. È stato acquistato in quattro partite di circa 25.000 tonnellate. Si dice che una partita sia stata acquistata dalla società commerciale Casillo a una cifra stimata di $ 680,67 a tonnellata c&f, un’altra da Casillo a $ 685,89 a tonnellata c&f, una da Amber a $ 677,29 a tonnellata c&f. L’ultimo da Viterra a 683,09 dollari a tonnellata c&f. La spedizione è avvenuta tra il 1 novembre e il 20 dicembre, a seconda delle origini fornite”. Considerato il rapporto odierno tra dollaro ed euro, possiamo affermare che la Tunisia ha acquistato gran duro a 57-58 euro al quintale. Da qui una domanda: gli agricoltori siciliani perché non si organizzano – possibilmente unendosi – per vendere loro il grano duro alla Tunisia? La politica siciliana che fa? Ridere…
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