di Nota Diplomatica
I russi sono spesso simpatici, ma il loro Paese tende storicamente a utilizzare la mano pesante, non solo all’interno ma anche nei rapporti internazionali, come nell’attuale caso della drammatica riduzione della fornitura di gas naturale all’Europa Occidentale per obbligare la Germania ad autorizzare, praticamente seduta stante, l’apertura del gasdotto Nord Stream in barba all’esistente legislazione tedesca. Da dove arriva la preferenza culturale per le politiche “muscolose”? La Russia è un membro permanente del Consiglio di Sicurezza che governa l’Onu. Ha pertanto il potere di veto sulle iniziative che quest’organizzazione propone di intraprendere, un potere che ha utilizzato recentemente per bloccare i tentativi di creare un accordo internazionale che avrebbe messo al bando l’impiego di armi autonome “killer robot” e droni che, senza intervento umano, decidono da soli di usare la loro forza letale seguendo algoritmi pre-impostati dai loro operatori. Per i russi, “manca una convincente giustificazione per imporre nuove restrizioni o proibizioni su queste armi”. È una posizione che non ha sorpreso nessuno, anche se non è stata condivisa da altri.
La Russia, che almeno nominalmente si considera un Paese “occidentale”- malgrado la vasta estensione asiatica – ha una storica inclinazione ad “andare per le spicce”. Ciò indipendentemente dalla forma di governo: zarista, comunista o post-comunista. L’asincronia russa rispetto alla regnante cultura occidentale ha certamente molte cause, a partire da un sistema di scrittura poco compatibile che contribuisce a rallentare lo scambio di pensiero con il resto dell’Europa. La Russia è stata anche – per quanto ne parli il meno possibile -l’unico Paese “europeo” a essere rimasto a lungo sotto il dominio mongolo. Quando i mongoli di Gengis Khan si riversarono fuori dall’Asia a partire dal 1206, conquistarono in pochissimo tempo un territorio talmente vasto da contare un quarto dell’intera popolazione terrestre. In soli 73 anni il nuovo impero si allargò dalle coste asiatiche del Pacifico fino al Danubio, sciogliendosi poi in Occidente con quasi altrettanta fretta a partire dalla morte di Gengis nel 1227, ad eccezione della Russia, dove il dominio mongolo durò dal 1221 al 1481.
La tradizione storiografica russa minimizza, arrivando a definire l’occupazione come episodica, la temporanea presenza di primitivi razziatori e banditi che arrivarono, seminarono distruzione e che poi furono ricacciati. Quel “poi” però durò 260 anni, segnando profondamente l’amministrazione e le forme di governo del Paese, tant’è che molte parole del linguaggio amministrativo, fiscale e istituzionale russo sono arrivate dai conquistatori asiatici. La lunga presenza mongola in Russia lasciò anche un’altra traccia curiosa: ovvero l’unico Santo cristiano (ortodosso) discendente diretto di Gengis Khan, un altro San Pietro, un principe del Khanato dell’Orda
d’Oro, il ramo russo della dinastia Genghissid, cioè, quella fondata dal Grande Khan. Per quanto al Santo mongolo fosse riconosciuto personalmente un posto “legittimo” nell’albero genealogico originato dal fondatore, non pare che la sua fosse una condizione tanto rara… Moderni studi genetici suggeriscono che un maschio su duecento dell’attuale popolazione mondiale sia portatore della particolare struttura del cromosoma “Y” – il cromosoma maschile – che distingue la discendenza in linea diretta da Gengis Khan. Com’è possibile? La spiegazione potrebbe trovarsi in un’osservazione attribuita al Khan (seppure solo un secolo dopo la sua morte): “La più grande gioia per un uomo è di sconfiggere i suoi nemici, di cacciarli e di prendere da loro tutto ciò che posseggono, di vedere quelli che amano in lacrime, di cavalcare i loro cavalli e di tenere le loro mogli e figlie tra le braccia…”. Forse voleva solo dire: “Meglio con me che contro”, ma quasi tre secoli sotto i mongoli, sotto il “giogo tartaro”, avrebbero lasciato cicatrici durevoli su qualsiasi società…
Foto tratta da Wolverton Mountain