Arrigo Pasquini ha lasciato questa Terra. Non posso che ricordarlo scrivendo in prima persona. Ci siamo conosciuti, anzi, ho avuto l’onore di conoscerlo pochi giorni dopo l’elezione a presidente della Regione siciliana del democristiano Angelo Bonfiglio. Si era, se non ricordo male, nel 1974. Arrigo era un amico di mio padre. Arrivò quel pomeriggio nella nostra casa di Palermo, in via Marche, e, come accadeva spesso, discutevano di politica. Entrai nello studio per avvertire mio padre che al telefono c’era una persona che voleva parlare con lui. “E tu come ti chiami?”, mi chiese l’uomo che io avevo sempre chiamato il dottore Pasquini. Cominciammo così a parlare del più e del meno. Quando a Palermo si dava alle stampe Telestar – il quotidiano dove aveva lavorato Arrigo – ero troppo piccolo. La discussione si interruppe quando tornò mio padre: “Ora vatinni che io e Arrigo dobbiamo parlare”.
Quattro o cinque anni dopo avevo iniziato a collaborare con Universitas, un mensile universitario animato da Padre Francesco Paolo Rizzo. Di quell’esperienza serbo bellissimi ricordi. Con Fonso Genchi – anche lui tra le firme di questo periodico – ci sentiamo ancora. Piersanti Mattarella era presidente della Regione. Lo volevo conoscere. Mio padre rimandava sempre: “‘U prisirente unn’avi tempu i perdiri”. Ricordo che nel Novembre del 1979 – anno particolare, per la Sicilia – andai a trovare Arrigo alla presidenza della Regione. Allora lo chiamavo ancora dottore Pasquini. “Intanto – mi disse – visto che vuoi fare il giornalista diamoci del tu: io mi chiamo Arrigo”. Me lo disse con il suo accento veneto che non avrebbe mai perso. “Vuoi conoscere il presidente Mattarella? Dammi qualche giorno di tempo”. La settimana successiva fu mio padre a dirmi: “C’è Arrigo al telefono, non so perché ma ti sta cercando”. Due giorni dopo ero alla presidenza della Regione nella stanza di Arrigo. Era Dicembre. Arrigo mi disse: “Per ora il presidente è molto impegnato. Sta per scendere. Ti presento io. Ti dirà che in questo momento non può intrattenersi con te. Salutalo con garbo. Sa di chi sei figlio”. Così, per un minuto, forse meno, ho avuto la fortuna di scambiare qualche parola con il presidente Mattarella. “So che lei si occupa di agricoltura – mi disse il presidente -. Bene. Per ora è un momento complicato. Dopo le vacanze di Natale ci faremo una bella chiacchierata”. Non fu così perché il presidente Mattarella venne trucidato la mattina del 6 Gennaio del 1980.
Con Arrigo non ci siamo mai persi. Nei primi anni ’80 collaboravo con vari giornali. Mi occupavo di economia. Debbo ad Arrigo alcune ‘dritte’ su fatti economici di un certo peso. Nel 1985 collaboravo con il giornale L’Ora di Palermo. Ogni tanto mi chiamavano per coprire qualche ‘buco’ nella cronaca regionale. L’onorevole Rino Nicolosi era stato eletto presidente della Regione siciliana – si era sempre nel 1985 – e io iniziavo a scrivere di politica. Arrigo era una persona molto corretta. I suoi consigli sono sempre stati preziosi. Fu lui a presentarmi un altro collega del quale sarei diventato amico: Rino Sirchia, scomparso prematuramente. Quando chiuse il giornale L’Ora – era la Primavera del 1992 – Arrigo mi disse: “Inventati qualche cosa. Se posso ti aiuto”. Con alcuni amici ‘inventammo’ il quotidiano Il Mediterraneo. Lì sono rimasto poco, sì e no sei mesi. Quando rassegnai le dimissioni Arrigo mi rimproverò severamente: “Ma che fai? Ti arrendi? Non lotti più? Non sono d’accordo”. Per un anno e mezzo non ci siamo sentiti. Lo andai a trovare nel 1996. “Sto cercando di dare vita a un quindicinale”, gli dissi. “Chi c’è che ti appoggia?”, mi chiese. “Nessuno”, gli risposi. “Il solito matto. Ma non ti abbandono. Della sede del nuovo periodico mi occupo io, tu non devi fare niente”. E fu così che siamo riusciti a sistemarci, naturalmente a Palermo, in un edificio bellissimo di via Giosuè Carducci, con i balconi che si affacciano su via Libertà. Uno spettacolo. Era di proprietà di un personaggio eccentrico, amico di Arrigo. Il quindicinale è l’Inchiesta, che esiste ancora. Esperienza un po’ spericolata e piena di querele. Ogni articolo era un mezzo ‘casino’; persino le pagine culturali, che avrebbero dovuto essere le più ‘tranquille’, scatenavano polemiche. Arrigo se la prendeva a ridere: “Tutto previsto. Si sapeva che picchiavate duro”.
Qualche anno dopo mi offrirono di andare a lavorare all’assessorato regionale al Bilancio. Mi consultai con Arrigo. “Certo che ci devi andare”. E ci andai. Era il 2000. Primavera. Mi dimisi nel Dicembre dello stesso anno. Arrigo era furente: “Questa no, questa non la dovevi fare. Non sei più un ragazzino. Non ti voglio più sentire per il resto della vita”. Due settimane dopo mi invita a cena. “Niente – mi disse – con te non c’è niente da fare”. Quella sera avrebbero dovuto essere con noi la moglie di Arrigo, persona affascinante, e le due figlie, Laura, anche lei giornalista, che conosco da una vita, e Marta, musicista. Ma non vennero. Un anno dopo lavoravo presso la Commissione Bilancio e Finanze dell’Assemblea regionale siciliana con il presidente, l’onorevole Nino Croce, un vecchio socialista che era stato eletto nel collegio di Trapani nelle file di Forza Italia. Presidente della Regione era Totò Cuffaro. Credo che in quel periodo, o qualche anno più tardi, Arrigo sia andato in pensione. Come ho già scritto, non ci siamo mai persi. Quando con alcuni amici abbiamo fondato il quotidiano on line Link Sicilia mi invitò a cena. “Ma tu ci credi in questo mondo on line?”, mi disse. Gli risposi che ne sapevo meno di lui. Mi diede un consiglio che purtroppo non ho ascoltato: “Stai attento. Sei direttore di una ‘macchina’ che non padroneggi. Se passa qualche articolo pesante ti becchi una querela come direttore”. Aveva ragione. Mi sono beccato una querela e una condanna per una lettera che nemmeno avevo letto.
In tutti questi anni di on line, con Arrigo ci sentivamo ogni tanto. Più volte, passeggiando la sera sotto casa sua, cercavo di coinvolgerlo. Arrigo andava sulla rete? Non l’ho mai capito. Negli ultimi tempi ci siamo sentiti poco. Non stava bene in salute. Ci sentivamo solo al telefono. Una decina di giorni fa mi ha chiamato al telefono Vania, un mio vecchio amico, amico anche lui di Arrigo. Mi ha detto: “Chiama Arrigo che sta male”. Vania non poteva sapere che avevo sentito Arrigo qualche giorno prima. Mi aveva chiamato lui. E’ stata una telefonata molto triste. Arrigo parlava a fatica. “Sai, Giulio, non mi sento molto bene”. Siamo rimasti al telefono per cinque minuti, forse più. Mi ha ricordato una cosa di cui, negli ultimi tempi, mi parlava spesso. Di un mio amico, che io ho iniziato al mondo del giornalismo, diventato importante, che aveva scritto cose non belle – e soprattutto non vere – su di lui. E’ stato l’argomento fisso delle ultime cinque-sei telefonate con Arrigo. “Tu lo conosci, gli devi dire che ha sbagliato”. Ho cercato in tutti i modi di dire ad Arrigo di lasciar perdere. E che, da una decina di anni, non faccio più vita sociale. E che con certi giornalisti della ‘presunta’ sinistra è inutile parlare, perché loro sanno sempre tutto, anche se certe volte – è il caso di pandemia e vaccini – non capiscono nulla. E che certe persone, se posso, le evito. Alla fine Arrigo si è arreso. Però, nell’ultima telefonata, me l’ha ricordato di nuovo. Che dire, oggi? Che se n’è andato un grande amico. Un’amicizia indistruttibile, durata quasi cinquant’anni. Una vita.
Foto tratta da Blog Sicilia