di Diego Fusaro
Non conosco di persona Fabrizio Masucci, direttore del museo di Cappella Sansevero, tra i più importanti e conosciuti di quel tempio maestoso di cultura, identità forte e civiltà classica che è Napoli. Mi sento però di dire che uomini come lui, con i loro gesti, nobilitano l’intera categoria del genere umano. E ci segnalano che, anche quando tutto pare perduto, si può ancora sperare in desideri di migliori libertà, in modi più dignitosi di abitare il mondo rispetto a quelli in cui, nostro malgrado, ci troviamo a vivere. Questo è un breve passaggio della lettera con cui Fabrizio Masucci, dopo anni di onorato servizio, ha dato conto delle proprie dimissioni da direttore del museo: “Se viene richiesto a un museo di rinunciare alla parità di trattamento per motivi che non possono che essere recepiti come strumentali, in quanto non connessi alla tipologia di spazio e attività, intendo pacatamente ricordare che i musei sono per loro vocazione luoghi di inclusione e che l’accesso paritario all’arte e alla cultura, diritto di tutti, dovrebbe essere sacrificato solo all’esito di ogni sforzo possibile volto a evitare una simile ferita. Mi auguro che le autorità competenti possano riconsiderare una decisione che coinvolge aspetti socioculturali di rilevante interesse collettivo, al fine di risparmiare almeno ai musei, riserva aurea di civiltà, lo scomodo ruolo di bersaglio delle intemperanze dell’arena mediatica. Ci sarebbero anzi le condizioni propizie per fare dei musei un sicuro ‘spazio neutro’ in cui le persone, circondate dalla bellezza, possano ricominciare a conoscersi e riconoscersi, senza etichettarsi reciprocamente. Per la radicata cultura della legalità che ha sempre contraddistinto la nostra istituzione, a partire dal 6 agosto anche il Museo Cappella Sansevero, come è ovvio che sia, si adeguerà al rispetto delle regole previste dal DL n. 105 del 23 luglio 2021. In considerazione di quanto fin qui esposto, non posso però sottrarmi al più forte richiamo della mia coscienza, che mi induce a lasciare – dopo oltre dieci anni e mezzo – la presidenza e la direzione del Museo Cappella Sansevero. Spero che questa decisione venga intesa, qual è, come un semplice gesto di coerenza del mio giudizio e del mio sentire”.
Parole che devono essere meditate, quelle di Fabrizio Masucci. Parole che chiamano in causa non solo le istituzioni ma anche noi, nella nostra indeducibile singolarità e nel nostro rapporto con gli altri e con la società. E leggendo il testo di Fabrizio Masucci pare di sentire quella magnifica musica, oggi così rara, che nel “Lachete” platonico si dice provenire dagli uomini coerenti, come Socrate, in cui parole e azioni si accordano magnificamente. E producono il suono amabile di una vita coerente ed equilibrata, in cui punto saldissimo è la fedeltà a se stessi e ai propri principi. Lo sappiamo: in ogni regime degno di questo nome, sono pochi o, comunque, non abbastanza quelli che hanno il coraggio e l’onestà di opporsi, di non prendere la tessera e di non piegarsi alle più folli ingiunzioni che provengono dall’alto. Sono, ovviamente, gli uomini più invisi al potere: e non solo perché non si inginocchiano davanti a chi comanda e ai suoi simboli, ma anche perché, con la loro limpida coerenza, mostrano in forma immediata la non innocente responsabilità e, spesso, la viltà di quanti invece si piegano e accettano l’inaccettabile, per convinzione radicata o per semplice quieto vivere. Uomini come Fabrizio Masucci ci ricordano che anche nel peggior regime si può essere liberi, se al regime ci si oppone e si rimane fedeli a se stessi. Il singolo che non si piega è l’incubo peggiore per l’ordine dominante: nel suo “no” fiero e risoluto risuonano splendidamente la libertà e la costanza di chi è disposto a perdere tutto, pur di non perdere se stesso. È di uomini come Fabrizio Masucci che oggi l’umanità ha disperato bisogno, nell’attuale lungo inverno della democrazia e della libertà, nel tempo della notte che si fa sempre più buia. Con il suo gesto, al tempo stesso semplice ed eroico, Fabrizio Masucci ci ha ricordato che la notte in cui siamo dipende da noi, perché il buio è semplicemente quando tutti chiudono gli occhi.