Questa è la storia di come un piccolo gruppo di militari Duosiciliani dà scacco ai garibaldini che erano numericamente dici volte superiori. Erano numericamente superiori, i garibaldini, perché i Generali Duo siciliani si erano venduti agli inglesi, veri promotori dell’invasione della Sicilia e del Sud Italia, che allora si chiamava Regno delle Due Sicilie. I protagonisti sono il Generale Due Siciliano Tommaso Clary, al servizio degli inglesi, il garibaldino Giacomo Medici e il valentissimo Colonnello, poi Generale del Regno delle Due Sicilie, Ferdinando Beneventano del Bosco, siciliano di Palermo, e il Tenente Colonnello Marra, due militari borbonici che gli inglesi non erano riusciti a corrompere. Ma adesso andiamo alla storia, raccontata non dai libri di storia, che di questa vicenda hanno nascosto tutto, ma da Giuseppe Scianò, figura storica dell’Indipendentismo siciliano.
“Il 5 luglio il Medici occupa Barcellona Pozzo di Gotto e minaccia di assalire Milazzo, difesa da un solo battaglione di scarsa consistenza numerica, non dotato di armi e di munizioni adeguate a resistere ai quattromila Garibaldini già in campo che disponevano anche di artiglieria. Questi ultimi erano, adesso, schierati nei pressi di Milazzo pronti per essere mandati all’attacco. Certamente il Clary, da Messina, avrebbe potuto e potrebbe ancora mandare tanti aiuti da ributtare in mare i Garibaldini con i loro comandanti. Peraltro la Fortezza Duosiciliana di Messina era stata rinforzata da nuovi arrivi di truppe scelte. E la Cittadella restava imprendibile e pericolosa, a guardia dello Stretto e dell’area circostante. Si fa presente che non manca al fianco del Bosco una pattuglia di ben duecento volontari decisamente antigaribaldini che avevano respinto le offerte dei Garibaldini ed erano decisi a contrastare il passo agli invasori. Appena qualche settimana prima (il 22 giugno) Garibaldi era entrato nella rada del porto di Messina per un fugace sopralluogo e per qualche abboccamento riservato. Aveva viaggiato a bordo di una nave da guerra Inglese. Nessuna meraviglia: gli Inglesi erano più impazienti di lui di concludere la conquista della Sicilia. Dopo aver avuto qualche incontro coperto da segreto, possibilmente con militari e politici di alto rango pronti a tradire il Dittatore, viene riportato indietro a bordo della nave Governolo (della flotta sabauda). Difficile dire con precisione che impressione avesse avuto di Messina”.
“La città era stata abbandonata dalla maggior parte della popolazione ed appariva quasi deserta. Così come era già avvenuto a Palermo ed in altre località della Sicilia. Anche a Messina – non a caso – sulle abitazioni campeggiavano cartelli con le scritte «Domicilio Inglese» e «Domicilio Francese». A tal proposito Giacinto De’ Sivo così scriverà (nel suo antiquato e difficile italiano): «I cittadini sloggiavano, scriveano sulle case “domicilio inglese o francese”; così palagi, botteghe, abituri e sin le barchette avean in lettere cubitali d’esser straniere, appunto in quel furibondo gridar “fuori lo straniero”. E mentre i cittadini uscivano, veri stranieri entravano». Gli agenti Anglo-piemontesi hanno la massima libertà d’azione. Le bande comuni pure. La popolazione, terrorizzata, come Garibaldi stesso ha ben compreso, cerca di salvarsi e non è affatto entusiasta dell’occupazione che di lì a poco avverrà. Non era comunque in rivolta e probabilmente, sotto sotto, aiutava le truppe Duosiciliane. Diversamente, queste truppe non avrebbero potuto resistere neppure un giorno (nel sistema di tradimenti che faceva capo al Governo Costituzionale di Napoli e che trovava proseliti soprattutto fra gli alti gradi dell’esercito). Il Clary, sia pure obtorto collo, finalmente darà al Colonnello Bosco l’autorizzazione a marciare su Milazzo. Ma, com’è comprensibile, con forze molto modeste ed inferiori al bisogno. In quel modo accontenta tutti. Fa, inoltre, vedere a quanti volessero resistere all’invasione che lui ha mobilitato contro l’Armata Garibaldina uno dei più valorosi ufficiali Duosiciliani, il Bosco, appunto. A quanti avessero preferito, invece, la resa, la ritirata ed il doppiogiochismo, avrebbe potuto giurare che aveva inviato, sì, contro gli invasori un contingente di soldati, ma di consistenza veramente irrisoria. Non dice, il Clary, al Bosco che gli ordini arrivatigli da Napoli il 13 luglio lo avrebbero obbligato a passare comunque al contrattacco. Il Clary, peraltro, considera il Colonnello Bosco nient’affatto capace. Un facile boccone, insomma, per il Colonnello Medici, la cui fama di ottimo militare superava di gran lunga quella degli altri colleghi Garibaldini.
Al Bosco sono stati affidati una brigata con tre battaglioni (1°, 8° e 9°), uno squadrone di cacciatori a cavallo e 40 pionieri, nonché alcuni compagni d’arme (volontari civili di campagna). In tutto poco meno di duemila soldati Duosiciliani. Mentre, in campo avverso, da Palermo il Comando Garibaldino, accogliendo probabili, specifici suggerimenti Inglesi, continua ad inviare uomini e mezzi per rafforzare la colonna Medici. L’atteggiamento del Clary appare maggiormente riprovevole in quanto nei fatti tiene fermi e bloccati almeno ventimila uomini. Si comporta a Messina come si era comportato il Luogotenente Lanza a Palermo. Sia pure in condizioni diverse e forse senza alcuna specifica intesa con il nemico. Il Clary raccomanda, inoltre, al Bosco di non assalire mai per primo. Assalito, tuttavia, il Bosco è autorizzato a difendersi. Con un’ulteriore precisazione: in caso di contrattacco non dovrà mai andare oltre il territorio di Barcellona. Bosco esce dalla città di Messina il 14 luglio, all’alba. A Colle San Rizzo ed a Gesso vede fuggire le camicie rosse al suo solo apparire. Secondo gli ordini avrebbe dovuto lasciare il 1° battaglione per rilevare, in cambio, altri uomini. Ma i soldati e gli ufficiali di quel battaglione insisteranno per andare in prima linea a combattere. Il Bosco li accontenta. Non chiede di meglio. Questo piccolissimo episodio la dice lunga, ancora una volta, sul coraggio e sulla determinazione dei soldati del Regno delle Due Sicilie”.
A Spadafora (oggi Spatafora) il Colonnello Siciliano trova buona accoglienza sia da parte delle autorità municipali, sia da parte della popolazione. Viene rifornito di vettovaglie. Trova il tempo per fare ripristinare il telegrafo e, ripartendo, lascerà nel paese una piccola guarnigione militare. Arrivato nei pressi di Milazzo decide di trascorrere la notte, fra il 15 ed il 16, accampato nel Piano San Papino. Il mattino del 16 occupa due mulini sulla costa per assicurare la macinazione del grano e la fornitura di pane ai propri soldati. Dividerà poi le sue forze mandando il maggiore Maring con i suoi uomini al Trivio di Archi. Verrà disturbato soltanto da alcune scaramucce garibaldine di poco conto, che saranno puntualmente respinte. Il 17 mattina avviene il primo vero scontro armato fra il Maring ed un robusto contingente di Garibaldini proprio sulla strada che costeggia il mare, nei pressi di Milazzo. Lo scontro sarà breve, ma durissimo! I Duosiciliani perderanno 13 uomini e conteranno ben 25 feriti. Maggiori le perdite dei Garibaldini, che tuttavia riusciranno a fuggire precipitosamente, lasciando anche alcuni di loro indietro, che saranno tutti fatti prigionieri. Con i soldati semplici si troveranno un Capitano, un Tenente e diciotto soldati, tutti Piemontesi. I combattenti Garibaldino-piemontesi avevano come grido di battaglia «Savoia e Italia». Questo è un fatto molto significativo. Secondo il De’ Sivo, i Garibaldini in quello scontro lasciarono cento commilitoni fra morti e feriti”.
“Un altro grosso scontro armato avviene fra i soldati Duosiciliani e i Garibaldini, sempre nei pressi del Trivio di Archi. Comandava i soldati Duosiciliani il bravo Tenente Colonnello Marra, che saprà tener testa ad un numero superiore di nemici. Al momento opportuno il Marra verrà raggiunto da un forte contingente delle truppe guidate dallo stesso Bosco. I Duosiciliani, resi più forti, registreranno, così, una nuova smagliante vittoria. I danni arrecati ai Garibaldini sono stati rilevanti, ma la loro superiorità numerica non consentiva al Bosco di sfruttare al meglio i vantaggi delle brillanti operazioni militari svolte, né di sferrare un attacco che lo avrebbe potuto portare ad una vittoria risolutiva. Il Bosco chiede quindi nuovamente rinforzi al Clary, prospettandogli sia lo stato di pericolo nel quale si trova, sia le grandi occasioni di successo militare che si sarebbero potute sfruttare con un più adeguato numero di soldati. Il Clary fa orecchio da mercante ed accamperà mille pretesti per… non fare niente. Alla fine gli mandò il Capitano Fonseca con appena sette uomini, tutti e sette compagni d’arme. Una vera e propria beffa, aggravata dal fatto che il disimpegno del Clary suona come l’ennesimo servizio reso a Garibaldi”.
Giuseppe Scianò E nel mese di Maggio del 1860 la Sicilia diventò colonia!