Tra le pagine oscure dell’impresa dei Mille in Sicilia c’è la rivolta di Resuttano. Gli abitanti di questa cittadina, che oggi fa parte della provincia di Caltanissetta, tra la fine di Giugno e i primi giorni di Luglio del 1860 si ribellarono. Ma non scesero in piazza in armi per inneggiare a Garibaldi: si ribellarono contro Garibaldi, contro i garibaldini, contro i mercenari al servizio di Garibaldi e, soprattutto, contro i picciotti di mafia che si accompagnavano con Garibaldi. Ovviamente, questa storia non è venuta fuori. Era, quello, il tempo in cui gli “scrittori salariati” raccontavano un sacco di minchiate sulla popolazione siciliana in armi che inneggiava a Garibaldi contro il Borbone. La battaglia durò quattro giorni e i garibaldini, i mercenari ungheresi e i mafiosi ebbero la meglio solo perché erano numericamente superiori e meglio armati. La storia è stata nascosta. Ne parla il solito Cesare Abba per dare una versione dei fatti inventata di sana pianta, naturalmente in favore della retorica garibaldina. Ne parla Giuseppe Scianò dando una diversa versione dei fatti.
“Torniamo a parlare dell’avanzata dei Garibaldini. Tutto procede bene. Ma ad un certo punto il paese di Resuttano si è ribellato alla colonna dei Garibaldini lì pervenuta. La notizia arriva come un fulmine a ciel sereno a Santa Caterina, dove è accampata la colonna del Colonnello ungherese Eber. Scatta l’allarme rosso. Si organizza una spedizione punitiva comandata dal maggiore Angelo Bassini, il quale si mette in marcia immediatamente alla volta di Resuttano. La popolazione si mostra coraggiosa: affronta il battaglione del Bassini con le armi in pugno. Si combatte con energia dall’una e dall’altra parte. I Garibaldini hanno, a fatica, la meglio. A questo punto il Bassini avrebbe ordinato la decimazione dei ribelli. Il condizionale è d’obbligo. Non abbiamo prove certe in proposito, ma solo indizi interessanti e seri. L’Abba, da parte sua, ci racconta qualche singolo fatto di sangue e di morte. Non già per informarci compiutamente su come le cose siano andate realmente, ma piuttosto per minimizzare la gravità della rivolta. E, probabilmente, per disinformarci. Dobbiamo, quindi, estrapolare dal suo stesso testo quelle poche ammissioni sincere ed accertabili che l’autore, per affermare o per negare quanto gli interessa dire, in un modo o nell’altro si è lasciato sfuggire. Solo così riusciremo a sapere qualche altra notizia. Avviene, infatti, che lo scrittore ligure affermi che il Bassini avrebbe messo le mani su «undici scellerati», per di più «rei di Mille prepotenze e di sangue.»
Dice anche che il Maggiore Garibaldino, pur essendo «uomo da dar dentro a baionetta calata», avrebbe usato degli accorgimenti. Non ci spiega tuttavia quali, ma pensiamo che gli accorgimenti siano stati più micidiali delle baionette, sempre chiamate in causa, ma poco usate. Dulcis in fundo: l’Abba conclude dicendo che un Siciliano, come un demonio, avrebbe cacciato, raggiunto ed ucciso uno degli undici malcapitati, che era riuscito a fuggire. Non precisa, però, che fine abbiano fatto gli altri dieci ed, inoltre, attribuendo la colpa di una (sola) esecuzione ad un Siciliano fa credere agli ingenui lettori che tutto sia finito lì. E per giunta… fra Siciliani. Per compiere quest’azione, tuttavia, il Bassani ed il suo battaglione, del quale non sappiamo quanti Garibaldini facessero parte (l’Abba si guarda bene dal dirlo), avrebbero impiegato addirittura «quattro giorni di marcia»”.