“Il 25 giugno 1860, così il Cavour scrive a Costantino Nigra: «Villamarina (ambasciatore piemontese a Napoli, n.d.a.) mi comunica che il Re di Napoli è disposto a seguire i consigli dell’imperatore (Napoleone III). Noi lo asseconderemo per ciò che riguarda il Continente, puisque les macaronis ne sont pas encore cuits, mais quant aux oranges qui sont déjà sur no- tre table, nous sommes bien décidés à les manager».(3) Sono doverose alcune brevissime, ma specifiche, considerazioni, che prescindono dalla funzione, significativa, della lettera. Il Cavour inizia a scrivere in italiano, ma poi completa in francese. È quest’ultima, infatti, la lingua madre non solo del Cavour (figlioccio di Paolina Bonaparte), ma anche di Garibaldi e di Vittorio Emanuele, che continueranno ad usarla persino dopo l’Unità d’Italia. Un’altra considerazione è quella relativa alla terminologia. Si parla cioè di mangiare il Regno delle Due Sicilie. I Siciliani vengono considerati arance ed i Meridionali-continentali maccheroni. Ancora oggi, nel Settentrione d’Italia, maccherone è sinonimo di terrone, per indicare appunto il cittadino del Sud, in senso dispregiativo e razzistico. Non si tratta quindi, per il Cavour, di un semplice lapsus freudiano. Freud c’entra ben poco. La verità è che a Torino si ha poco rispetto tanto per la Nazione Siciliana, che per la Nazione Napoletana”.
Cavour e Garibaldi – per non parlare di casa Savoia – non hanno giocato alcun ruolo strategico e centrale nella conquista dell’ex Regno delle Due Sicilie. Hanno fatto tutto gli inglesi per tutelare i propri interessi. Hanno anche deciso che il Regno delle Due Sicilie finirà al Piemonte. Ma casa Savoia e Cavour devono fare solo ciò che Londra comanda. I Savoia e Cavour sono delle pedine nelle mani dell’Inghilterra. Scrive a tal proposito Giuseppe Scianò nel volume E nel mese di Maggio del 1860 la Sicilia diventò colonia!: “Un monito però è quasi esplicitamente rivolto di fatto pure al Cavour e a Vittorio Emanuele II: facciano le mosche cocchiere. Non vadano oltre. Il piano inglese non deve subire varianti, né sconti. In quest’ottica vanno letti i messaggi che l’ambasciatore piemontese a Londra, Vittorio Emanuele D’Azeglio (il giovane D’Azeglio, come ama definirlo con simpatia la Regina Vittoria) e l’ambasciatore inglese a Torino, l’indaffaratissimo Lord James Hudson, inviano al Cavour per informarlo dell’avviso che il Governo Palmerston ha fatto recapitare all’Imperatore Austriaco Francesco Giuseppe. D’altra parte ci voleva ben poco a capire che se l’Austria si fosse mossa molto meglio e giocando d’anticipo, il Regno Sabaudo sarebbe stato cancellato dall’Europa ancor prima di quello Borbonico… Il tutto avviene mentre gira a vuoto la missione diplomatica della delegazione guidata dall’ambasciatore Duosiciliano presso la Santa Sede, De Martino”.
“Il Cavour, al quale non difettano certo astuzia ed intelligenza, comprende il messaggio londinese. È, del resto, già passata l’euforia derivante dalla facilità con la quale è andato a buon fine lo sbarco in Sicilia. Lo statista piemontese sa, a sua volta, che un Governo plurimiracolato dalla Gran Bretagna, come quello di Torino, non può permettersi di condizionare le scelte di Lord Palmerston. Quest’ultimo, infatti, in quanto premier, guida e governa la Gran Bretagna. Ha un ruolo istituzionale che gli consente di non tenere eccessivamente conto dei ripensamenti della regina Vittoria, successivi allo sbarco dei Mille in Sicilia sotto protezione inglese. La regina Vittoria non vorrebbe più quel tipo di fine per il Regno delle Due Sicilie, né quel modello di annessione, al Regno di Vittorio Emanuele
II. Ma neppure lei può fermare ormai la grande manovra. Al Cavour non resterà altro che dare al proprio operato diplomatico un’interpretazione funzionale al progetto inglese. Quella, cioè, di fare intendere di aver giocato – soltanto giocato – a fare perdere tempo prezioso a Francesco II, distraendolo dalla difesa del Regno del Sud. Si tratta, in verità, di una giustificazione peregrina sufficiente, però, a rassicurare gli Inglesi e a dare ai patiti di storia risorgimentalista un’occasione in più per esaltare la genialità del Padre della Patria, che peraltro amava più parlare in francese che in italiano”.
Giuseppe Scianò E nel mese di Maggio del 1860 la Sicilia diventò colonia
Foto tratta da Agenzia Comunica
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