- I rapporti tra mafia e Stato e i depistaggi nascono con la Repubblica italiana. Molto istruttiva la “Sentenza contro la banda Giuliano per la strage di Portella delle Ginestre”
- “Nel dibattito furono accertati dei fatti che non possono non essere enunciati, tanto essi sono eccezionali ed abnormi… “
- Gli incontri tra il bandito Salvatore Giuliano, la Polizia e altri uomini dello Stato
I rapporti tra mafia e Stato e i depistaggi nascono con la Repubblica italiana. Molto istruttiva la “Sentenza contro la banda Giuliano per la strage di Portella delle Ginestre”
Ancora oggi discutiamo dei depistaggi messi in atto dopo la strage di via D’Amelio, dove persero la vita il giudice Paolo Borsellino e uomini e donne della sua scorta. A proposito di stranezze oggi vogliamo ricordare alcuni passi della “Sentenza contro la banda Giuliano per la strage di Portella delle Ginestre”. Sentenza pronunciata dalla Corte d’Assise di Viterbo nel 1952. Alcuni passaggi di questo pronunciamento sono riportati nel libro di Michele Pantaleone, Mafia e politica, libro pubblicato nel 1962.
“Nel dibattito furono accertati dei fatti che non possono non essere enunciati, tanto essi sono eccezionali ed abnormi… “
“La Corte reputa non opportuno, ma necessario, fare alcune enunciazioni, perché soltanto così potrà essere restituita la fiducia dei cittadini nelle Istituzioni dello Stato che non dovrebbero mai formare oggetto di discussione, tanto esse devono essere in alto nella estimazione dei cittadini. Nel dibattito furono accertati dei fatti che non possono non essere enunciati, tanto essi sono eccezionali ed abnormi… affidata soltanto all’Arma dei Carabinieri soltanto la funzione che fino all’eccidio di Bellolampo (Agosto 1949) era stata propria dell’Ispettorato Generale di Pubblica Sicurezza per la Sicilia, sorse il contrasto (la emulazione, eufemisticamente chiamata dal Generale Luca) tra Carabinieri e Pubblica Sicurezza, nonché altri esponenti pure appartenenti alle Forze Armate dello Stato. Onde si ebbe questa situazione davvero strana: l’ultimo funzionario di PS cui era stata affidata la direzione dell’organo creato per la repressione delle delinquenza associata e specificatamente per la repressione del banditismo che faceva capo a Salvatore Giuliano, omise di consegnare anche una carta soltanto al comandante delle Forze Repressione Banditismo e non fece neppure nulla conoscere di quella che era l’organizzazione confidenziale di cui si era fino a quel momento servito, nella speranza di pervenire a trovare il capo della banda. Per cui il nuovo organo dovette incominciare a costruire ex novo quell’edificio che era stato già costruito a spese dello Stato e nell’interesse esclusivo della generalità dei cittadini”.
Gli incontri tra il bandito Salvatore Giuliano, la Polizia e altri uomini dello Stato
“Ma anche durante l’attività del Comando Forze Repressione Banditismo l’ispettore generale di Pubblica sicurezza, Verdiani Ciro, malgrado non dovesse più occuparsi del bandito Giuliano, continuò ad occuparsene iniziando e mantenendo con costui una corrispondenza epistolare, attraverso il capo mafioso Ignazio Miceli, ricevendo in casa propria, in Roma, il mafioso nipote Nino Miceli, nonché il capo della mafia di Borgetto, Domenico Albano, ricevendo il memoriale che il capo della banda scrisse intorno al delitto di Portella delle Ginestre, e quando già il procedimento penale per tale fatto aveva avuto il suo primo inizio avanti questa Corte d’Assise nel giugno del 1950, trasmettendolo al Procuratore Generale presso la corte d’Appello di Palermo, Emanuele Pili, ma all’indirizzo privato di costui. E si ebbe ancora qualche cosa di più interessante: l’ispettore verdiani non esitò ad avere rapporti con il capo della mafia di Monreale, che si apprende attraverso una pubblicazione essere la più importante delle ‘famiglie’ della Sicilia, Ignazio Miceli ed anche con lo stesso Giuliano, con cui si incontrò nella casetta campestre di un sospetto appartenente alla mafia: Giuseppe o Pino Marotta, in territorio di Castelvetrano ed alla presenza di Gaspare Pisciotta, luogotenente del capo, nonché a quella dei mafiosi Miceli, zio e nipote, quest’ultimo cognato dell’imputato Remo Corrao, del mafioso Albano, consumando un panettone che egli, Verdiani, aveva portato per la lieta e straordinaria occasione ed innaffiando il dolce con due diverse qualità di liquore che egli stesso aveva portato nell’automobile con cui giuliano mandò a rilevarlo da un albergo di Marsala. E quel convegno si concluse con la raccomandazione fatta al capo della banda ed al luogotenente di essere dei buoni e bravi figliuoli, perché egli si sarebbe adoperato presso il Procuratore Generale di Palermo, che era Emanuele Pili, onde Maria Lombardo, madre del capo dei banditi, fosse ammessa alla libertà provvisoria”.
Foto tratta da I giorni e le notti
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