L’impresa dei Mille, oltre che piane di traditori e di tradimenti, è anche costellata da alcuni misteri mai chiariti. Due misteri sono legati a due morti ‘eccellenti’: la mote del nobile siciliano Rosolino Pilo, un mazziniano che, ufficialmente, era passato al servizio della causa dei Savoia (ma c’è chi non ci ha mai ceduto) e la morte dello scrittore Ippolito Nievo, l’autore de Le confessioni di un italiano. Oggi ci occupiamo della strana morte di Rosolino Pilo. Che quest’ultimo fosse legato a Garibaldi non ci sono dubbi. Che fosse grande amico di un altro eminente garibaldino siciliano Giovanni Corrao è un’altra certezza. Che Rosolino Pilo e Giovanni Corrao abbiano lavorato insieme per spianare la strada a Garibaldi in Sicilia è fatto noto. Dopo di che cominciano le stranezze. Rosolino Pilo trova la morte in circostanze che definire strane è poco. Quel giorno si trova a San Martino delle Scale, alle porte di Palermo. Con lui ci sono personaggi non esattamente cristallini: in pratica, picciotti di mafia. Non c’è da stupirsi perché, a Palermo, a volere la ‘rivoluzione’ contro il Borbone sono alcuni nobili che contano di mantenere i propri privilegi nell’Italia che nasceva e i mafiosi che, dal 1860 in poi, sarebbero diventati parte importante dello Stato italiano. Sulla strada che li conduce a Palermo Rosolino Pilo e i picciotti di mafia incontrano un gruppo di soldati Duosiciliani che i generali corrotti del Regno delle Due Sicilie non erano riusciti a bloccare. Lo scontro è inevitabile. Ma diamo la parola a Giuseppe Scianò che nel suo volume E nel mese di Maggio del 1860 la Sicilia diventò colonia! racconta:
“Lì, a San Martino, sono acquartierate le bande di picciotti, guidate da Rosolino Pilo, pronte a scendere verso Palermo, anche perché corre voce che da un momento all’altro la città si ribellerà compatta alle autorità Duosiciliane, in nome dell’Italia e di Vittorio Emanuele (ovviamente!…). Trovandosi in condizioni estremamente vantaggiose, i picciotti attaccano, affrontando, probabilmente per la prima volta dopo la battaglia di Calatafimi, un vero, regolare conflitto a fuoco. È un combattimento destinato però a non durare a lungo. Subito dopo l’inizio, infatti, cade ferito mortalmente proprio Rosolino Pilo. I picciotti sono quindi costretti a ritirarsi in modo precipitoso. Ricordiamo che Rosolino Pilo apparteneva ad una delle più illustri famiglie siciliane. Il padre, Girolamo, è il conte di Capaci e la madre, Antonia Gioeni, appartiene alla famiglia dei duchi di Angiò. Rosolino era stato, giovanissimo, uno dei protagonisti della rivoluzione indipendentista siciliana del 1848. Avrebbe successivamente aderito agli ideali repubblicani ed unitari del Mazzini ed avrebbe collaborato a lungo con questi. Anche lui, nel 1860, è già convertito alla Causa Sabauda, unitaria e conseguentemente monarchica. Con Giovanni Corrao si era trovato in Sicilia, fin dal 12 aprile di quel 1860, per organizzare appunto le squadre dei picciotti e per accendere qua e là qualche focolaio d’insurrezione che giustificasse e preparasse uno sbarco in Sicilia. Sbarco che, con Garibaldi o senza Garibaldi, si era comunque deciso di fare effettuare, per scelta strategica di quegli ambienti autorevoli di Londra e di Torino, ai quali abbiamo già fatto cenno. Secondo alcuni studiosi, Rosolino Pilo avrebbe mantenuto integri e forti gli ideali indipendentisti e Sicilianisti della propria gioventù, al di là delle apparenze, in fondo al suo cuore. Molto in fondo riteniamo. Certamente il suo aiuto per Garibaldi era stato utile, soprattutto dal punto di vista propagandistico. Ma la sua morte avrebbe lasciato un vuoto notevole nello schieramento garibaldino. Venuto meno Rosolino Pilo, le squadre dei picciotti si disperdono. La battaglia di San Martino si conclude quindi con la vittoria del Capitano Del Giudice e dei soldati Duosiciliani”.
Ignazio Coppola, autore di vari libri sul Risorgimento in Sicilia, dà qualche spiegazione in più. Ricorda che nel 1860 Rosolino Pilo, insieme con Giovanni Corrao, era una figura importante dell’impresa dei Mille. All’inizio si disse che Rosolino Pilo era stato colpito da una pallottola di rimbalzo sparata dai militari Duosiciliani. Tesi che, secondo Coppola, è inverosimile. Molto più probabile – sempre secondo Coppola – che ad assassinare Rosolino Pilo sia stato qualcuno dei suoi uomini con i quali, a quanto pare, nei giorni precedenti aveva avuto discussioni piuttosto accese. Non è una tesi campata in aria. Ricordiamoci che, in quel momento, Rosolio Pilo si accompagnava con i picciotti di mafia. Avrà avuto una discussione accesa con un mafioso? O forse l’ordine di ammazzare Corrao è partita da chi ‘governava’ l’impresa dei Mille in Sicilia, perché, sotto sotto, si pensava che Rosolino Pilo era in realtà rimasto mazziniano? La verità non si saprà mai. Una cosa è certa: le voci messe in giro per far ricadere su Giovanni Corrao la responsabilità della morte di Rosolino Pilo son illogiche, come osserva giustamente Ignazio Coppola: i due erano grandi amici e Corrao mai e poi mai avrebbe ucciso o fatto uccidere il suo amico. Diamo adesso la parola a Ignazio Coppola:
“Sulla morte del conte di Capaci, proprio perché non fu mai chiaro come fu ucciso, si rincorsero, da quel lontano 21 maggio 1860, una ridda di ipotesi che, per la dinamica degli avvenimenti e per i fatti accaduti avrebbero dato, senz’altro, interessante materiale ad un fantasioso scrittore di libri gialli… Molte furono, infatti, le versioni che dalla morte di Rosalino Pilo presero spunto. Una prima, ossia quella accreditata dalla storiografia ufficiale, fu quella che sostenne che Rosalino Pilo alla Neviera, mentre, con i suoi picciotti, circondato dalle truppe borboniche di Bosco e di Von Meckel, stava scrivendo un messaggio di richiesta d’aiuto a Garibaldi, che si trovava accampato a passo di Renda, fu raggiunto da una pallottola di rimbalzo sparata dai borbonici e che poi lo colpì accidentalmente alla nuca. L’altra ipotesi fu quella che il conte di Capaci fu ucciso da uno dei suoi indisciplinati e poco raccomandabili picciotti, come lui stesso spesso li definiva e che aveva precedentemente redarguito con l’aggiunta di un pesante ceffone. Il picciotto offeso e umiliato, spinto da evidente spirito di vendetta, non trovò, a quel punto di meglio, che sparare a tradimento al suo capo centrandolo alla nuca. Una terza versione la più traumatica e inverosimile per i seguaci e i cultori della mitologia risorgimentale fu quella che ad uccidere Rosalino Pilo fosse addirittura il suo luogotenente compagno ed amico, Giovanni Corrao. Questa fu una ‘diceria’ che in seguito misero in giro i detrattori e i rivali politici del Corrao, sostenendo che il Corrao, uomo dal carattere forte e prepotente, uccise Rosalino Pilo perché geloso del fatto che questi avesse assunto il comando supremo delle squadre ritenendosene lui, per il suo carisma, il degno successore. Cosa che del resto puntualmente avvenne, dando adito a quei sospetti che, molto spesso, sono l’anticamera della verità”.
“Bisogna aggiungere all’irrisolto giallo – prosegue Coppola – un fatto di non poco conto. Subito dopo essere stato colpito, a quanto ricostruito da varie cronache e discordanti testimonianze, rantolante venne soccorso dallo stesso Corrao e da Salvatore Calvino che si premurarono di far trasportare il corpo in una casupola della Neviera abbandonandolo e attivandosi, giacchè incalzati dai borboni, di fare avvisare, attraverso alcuni contadini del luogo, l’abate del convento di San Martino, padre Luigi Castelli di Torremuzza, perché ne recuperasse il cadavere. Padre Castelli, tra l’altro legato da stretti vincoli di parentela con lo stesso Pilo, appresa con dolore la notizia della morte del congiunto, al termine degli scontri tra picciotti e Borboni, calmatesi le acque, alcune ore dopo, verso le cinque del pomeriggio, inviò alla Neviera tre inservienti del monastero, Rosario e Pietro Pellerito e Gaspare Schiera. Giunti sul luogo per i tre grande fu la meraviglia di trovare il cadavere del conte di Capaci completamente nudo, spogliato e depredato di ogni cosa. Prima dell’uccisione così lo descrive Emanuele Librino nel suo libro Rosalino Pilo nel risorgimento italiano: ‘Vestito in borghese, giacca e calzoni chiari, cappello nero, stivali alla polacca, fazzoletto al collo, una fascia tricolore sotto la giacca fatta di seta lavorata a crochet ed un orologio d’oro con una catenella di vari fili di platino’. Di tutto questo all’atto del prelevamento del cadavere da parte dei tre inservienti inviati dall’abate Castelli non esisteva più niente. Il conte di Capaci era stato denudato e depredato di tutto. La salma posta dagli inservienti in una rozza cassa fu poi trasportata nella chiesa della Badia, dove la sera stessa del giorno 21 fu sepolta nella cappella centrale detta di San Gregorio. Il seppellimento nello stesso giorno della morte è certificato nel registro dei defunti del monastero datato 1839 e custodito nell’attuale biblioteca del monastero di San Martino delle Scale. Alla pagina 19 di detto registro è così dettagliatamente riportato a firma dell’estensore dell’epoca, padre Guglielmo Martino:
“1860 – 21 maggio- Rosalino Pilo dei conti di Capaci di anni 41 è morto stamattina alle ore 10 nella montagna, il suo corpo fu seppellito nella nostra chiesa”. Nella pagina 18, in corrispondenza del nome di Pilo, è poi riportato con grafia molto più chiara della pagina successiva: ‘Morto nell’assalto al Castellaccio’. Sgombrato il campo che sia stato, avendoli di fronte, ucciso dai Borboni, perché colpito alla nuca da una pallottola di rimbalzo su una roccia (il più eccellente giocatore di carambola non sarebbe mai stato capace di tanto). Rimane in piedi indiziariamente l’ipotesi che Rosalino Pilo sia stato ucciso da ‘uno dei suoi’. Dunque ucciso alle spalle da fuoco amico. In buona sostanza, seguendo la logica dei fatti, una pallottola amica e non una pallottola ‘pazza’ di rimbalzo pose fine alla vita di Rosalino Pilo. Un omicidio in piena regola, come regolamento dei conti a tutti gli effetti da parte di un picciotto offeso e umiliato o di un sodale quale il Corrao per rivalità di comando e per cui dalla soppressione del Pilo lo stesso ne avrebbe tratto vantaggi, gloria e giovamenti. Cosa che in effetti avvenne. Il 24 agosto del 1860 quando la Sicilia era ormai totalmente in mano ai garibaldini e Mordini ne era il prodittatore, poco più di tre mesi dopo la sua uccisione, la salma di Rosalino Pilo verrà traslata dall’abbazia di San Martino per essere seppellita, in pompa magna, nella chiesa di San Domenico, il Pantheon di Palermo, e dove ad oggi giace tra molti dei più illustri insigni siciliani e dove è ricordato da un monumento opera dello scultore Rosario Bagnasco erettogli nel 1878. Le celebrazioni funebri furono imponenti e le esequie che durarono oltre tre ore si conclusero con un discorso ricco di enfasi e retorica di un frate domenicano che così concluse: ‘I siciliani sapevano che senza Rosalino Pilo forse la loro libertà non sarebbe un fatto. Sapevano che senza di lui Garibaldi non avrebbe avuto l’ultima spinta che rese possibile l’Unità d’Italia: Pilo con cuore devoto e con risoluta volontà aveva dunque giovato alla patria sopra ogni altro e i siciliani ebbero ragione se, con esequie tanto solenni, ne onorarono la salma’. Quello che le cronache del tempo, tanto prese dall’enfasi delle loro celebrazioni, omisero di riportare fu che: ‘I siciliani non avrebbero mai saputo chi, in quel lontano 21 maggio del 1860, uccise a tradimento con un secco e proditorio colpo alla nuca Rosalino Pilo'”.
Insomma, è molto probabile che Rosolino Pilo sia morto accidentalmente, per un colpo sparato da un suo compagno d’armi. Ricordiamoci che quando Rosolino Pilo viene ucciso è iniziata la prima trattativa tra Stato e mafia. I mafiosi sono stati assoldati non tanto da Garibaldi, ma da alcuni nobili e alto borghesi che si accompagnavano a Garibaldi, Francesco Crispi in testa. Uomini che conoscevano bene la Sicilia e l’onorata società che allora si chiamava “la mamma” e che poi si chiamerà mafia.