- … e a Salemi Garibaldi incontrò e si accordò con la futura mafia
- Da allora la mafia sarà una presenza costante negli equilibri dello Stato italiano
- Eh sì, Giuseppe La Masa ha lavorato bene…
- ‘La mamma’ ha pensato a rifornire i garibaldini di vettovaglie e armi
- A Salemi si capisce che il popolo siciliano nella cosiddetta impresa dei Mille non c’è: ci sono il trasformismo della classe politica, la mafia, i baroni e le forze più retrive della società siciliana dell’epoca
… e a Salemi Garibaldi incontrò e si accordò con la futura mafia
E’ a Salemi, nel Trapanese, che Garibaldi, dopo essere sbarcato in Sicilia, incontra i rappresentanti della cosiddetta “Onorata società” della Sicilia occidentale. Nel 1860 la mafia non si chiamava mafia, ma “la mamma”. E Garibaldi e i garibaldini sono ben visti dalla ‘mamma’, come racconta Giuseppe Scianò nel volume E nel mese di Maggio del 1860 la Sicilia diventò colonia. Questa parte del racconto di Scianò è molto importante. Perché descrive il primo incontro tra Garibaldi e i suoi con i rappresentanti della futura mafia siciliana, che era baricentrata nella parte occidentale della nostra Isola, a cominciare dalla provincia di Trapani (oggi sembra che le cose non stiano diversamente). “La mafia – scrive Scianò – di fatto nel 1860 in Sicilia esiste già. Ma è molto diversa da quella che si sarebbe affermata fra la fine del secolo diciannovesimo e di tutto il secolo ventesimo. È più che una grande organizzazione a sé stante, una specie di sottoproletario della camorra. La parola mafia è un neologismo ed è poco usata. Non è ancora entrata ufficialmente nelle cronache giudiziarie e letterarie. Lo farà dopo appena un biennio, con una commedia di grande successo popolare (I mafiosi della vicaria). Va ricordato che mafia, camorra e ’ndrangheta nelle rispettive realtà (Sicilia, Campania e Calabria) ed altre aggregazioni malavitose esistenti in tutto il Sud-Italia avrebbero fatto uno storico salto di qualità proprio collaborando con Piemontesi, Inglesi e Garibaldini nella conquista del Regno delle Due Sicilie e nella successiva opera di sottomissione delle popolazioni ribelli”. Sotto questo profilo, appare centrata la riflessione del giudice Rocco Chinnici sull’origine della mafia: “Prima di occuparci della mafia del periodo che va dall’unificazione del Regno d’Italia alla prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo, dobbiamo brevemente, ma necessariamente, premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione non era mai esistita, in Sicilia. La mafia nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia”.
Da allora la mafia sarà una presenza costante negli equilibri dello Stato italiano
La mafia giocherà sempre un ruolo fondamentale negli equilibri dello Stato italiano. I grandi mafiosi lo faranno direttamente, o sistemando i propri accoliti nei posti di comando. Dall’omicidio Nortarbartolo fino alle stragi del 1992 il rapporto tra mafia e Stato non verrà mai meno. Insieme mafia e Stato organizzeranno e gestiranno tante cose… Ma torniamo a Garibaldi, che a Salemi, non a caso definita la “prima capitale d’Italia” (e in effetti è così, anche se per motivazioni diverse da quelle descritte nell’agiografia risorgimentale…), farà conoscenza con i picciotti di mafia che l’accompagneranno nella sua ‘impresa’ in Sicilia, quasi mai combattendo, ma limitandosi a intimidire e ad azioni di sciacallaggio. “Garibaldi è ben visto dalla ‘mamma’ – scrive Scianò -. Secondo Giancarlo Fusco (noto garibaldino ndr) il merito principale delle accoglienze, riservate dalla cittadinanza di Salemi a Garibaldi ed ai suoi Mille, va attribuito a Giuseppe La Masa. In parte è vero. Ma il La Masa operava in un terreno già predisposto in tal senso dai fratelli Sant’Anna”. Giuseppe La Masa – il grande garibaldino – è stato il vero collegamento tra Garibaldi e i mafiosi, sotto il protettorato degli inglesi.
Eh sì, Giuseppe La Masa ha lavorato bene…
Scianò riporta un passo della narrazione del garibaldino Fusco: “«La Masa ha lavorato bene!, mormora Garibaldi, piegato sulla sella, rivolgendosi a Sirtori. Il “fierissimo” Giuseppe La Masa, palermitano, spadaccino formidabile e oratore travolgente, ha preceduto la colonna di quasi 24 ore, per illustrare ai maggiorenti di Salemi le intenzioni di Garibaldi, convincerli a dargli man forte e prepararli all’entrata dei volontari. Il sindaco e i consiglieri comunali, i cosiddetti ‘decurioni’, per quanto meno restii di quelli di Marsala, lo avevano accolto con palese diffidenza. Ma alla fine, i suoi ragionamenti, favoriti dal dialetto, avevano fatto breccia. E ora mentre la cavalla bianca del Generale si avvicina alla piazza principale, sospesa come un’ala bruna sugli ultimi uliveti, ecco che quel diavolo di La Masa esce dal palazzo comunale tirandosi dietro tutti i ‘pezzi grossi’ locali: il barone Mistretta in elegante completo di velluto marrone, il sindaco Tommaso Terranova, gli esponenti più autorevoli del ‘Comitato di Liberazione’, costituitosi, ufficialmente, appena mezz’ora prima; il dottor Ignazio Lampiasi, l’avvocato Luigi Corleo, il notaio Luigi Torres… Tutti hanno in petto vistose coccarde tricolori. Tutti agitano i cappelli verso il cielo di smalto azzurro». Dopo avere descritto qualche altro episodio della giornata dei Mille a Salemi, compreso l’incontro con fra’ Pantaleo, francescano sui generis, il Fusco ci dà un elenco degli approvvigionamenti che il La Masa procura ai Garibaldini. Si tratta di generi acquistati con i soldi del Municipio e non certamente di offerte spontanee della cittadinanza.
‘La mamma’ ha pensato a rifornire i garibaldini di vettovaglie e armi
«Garibaldi – scrive Scianò – ha la dimostrazione tangibile di quanto sia stato efficiente La Masa nel preparare il terreno. Infatti, il sindaco Terranova consegna all’intendente Bovi una considerevole quantità di vettovaglie: 2000 razioni di carne, 4000 di pasta e di riso, 4000 di vino, 30 chili di caffè, 80 chili di zucchero, 200 chili d’olio, 40 di sale e un quintale di candelotti. Per mettere insieme 4000 pagnotte il sindaco, non essendo sufficienti i forni del paese, ha mobilitato, durante la notte del 13 anche i panettieri di Santa Ninfa. Paga il Comune. Ma Sirtori, per regolarità amministrativa, rilascia una ricevuta. Volendo, potrebbe anche provvedere a un immediato rimborso, giacché nella cassetta di ferro affidata a Bovi vi sono lire 92 mila e centesimi 75. Ma è meglio tenersi stretto quel danaro, finché è possibile. Visto che i Mille hanno bisogno di tutto: scarpe, vestiario, medicinali, armi, muli, cavalli…». Insomma, ‘la mamma’ ha preparato le vettovaglie e tutto il resto per i garibaldini. Un regalo della futura mafia pagata on i soldi dei cittadini di Salemi.
A Salemi si capisce che il popolo siciliano nella cosiddetta impresa dei Mille non c’è: ci sono il trasformismo della classe politica, la mafia, i baroni e le forze più retrive della società siciliana dell’epoca
“Il Fusco – prosegue Scianò – prescindendo dal tono ironico e dal fatto che analisi di carattere generale non ne vuole affrontare molte, ci fornisce uno spaccato, breve ma efficace, delle componenti sociali che in concreto forniscono il loro aiuto a Garibaldi. Le masse contadine, delle quali parla la storiografia ufficiale, non si vedono. Si vede invece il «trasformismo» della classe politica, si vede la mafia, si vedono i baroni e le forze più retrive della società siciliana dell’epoca. A proposito dell’apporto mafioso… dobbiamo dire che per la verità questo si era già intravisto, ma molto di sfuggita in alcuni autori. Ci riferiamo all’Abba, al Nievo, allo stesso Bandi. Con Giancarlo Fusco – così come avviene per Denis Mack Smith – il riferimento alla mafia è abbastanza esplicito. Gli ridiamo la parola: «Il sindaco Terranova, in cuor suo, è di tendenze piuttosto borboniche. Anche cinque o sei dei suoi consiglieri nell’intimo, sono devoti a Franceschiello. Ma, così come stanno le cose, è meglio mettersi sul petto grosse coccarde tricolori. A parte l’aria decisa di Garibaldi e dei suoi seguaci, anche i patrioti locali sono tipi notoriamente risoluti. Nei fuciloni dei ‘picciotti’ vi sono, ben pressati, pallettoni grossi come ceci, impazienti di avventarsi contro i ‘signuri’. E poi, ieri sera, il barone Alberto Maria Mistretta, al cui passaggio tutti gli uomini si cavano rapidamente la ‘coppola’, mormorando il sacramentale ‘voscienza benedica’, ha parlato chiaro: ‘Garibaldi è ben visto dalla mamma. Quindi, bisogna dargli una manuzza!’. Tutti sanno di che ‘mamma’ si tratta. È una ‘mamma’ che ha migliaia di ‘figghiuzzi’, sparsi in tutta la Sicilia occidentale, pronti ad obbedirle ciecamente, senza discutere. Giacché anche la più piccola disobbedienza può costare una scarica di ‘lupara’. E un sasso in bocca’».
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