Correva l’anno 1860 e Garibaldi, da 12 anni vedovo di Anita, a 52 anni suonati si innamora, ai limiti della pedofilia, della appena diciassettenne marchesina Giuseppina Raimondi, alla quale, nonostante i 36 anni di differenza, dichiara in ginocchio tutto il proprio amore, per convincerla al grande passo del matrimonio. La marchesina, prima esitante, alla fine stranamente acconsente. Il 24 gennaio, da don Filippo Gatti, prevosto vicario, vengono celebrate le nozze nella cappella privata della tenuta della famiglia Raimondi, alla presenza del governatore di Como, Lorenzo Valerio, e del conte Giulio Porro Lambertenghi in qualità di testimoni, nonché di numerosi invitati. Garibaldi, per nulla presago di quanto sarebbe accaduto di lì a poco, raggiante stringe il braccio della sposina. Ma al momento in cui, dopo il fatidico sì, gli sposi escono dalla chiesa, avviene il colpo di scena.
Uno sconosciuto si avvicina a Garibaldi e gli consegna una lettera. Il novello sposo trasecola alla lettura del suo contenuto e chiede spiegazioni a Giuseppina, la quale farfuglia, cercando inutili giustificazioni. La lettera contiene prove palesi che la marchesina Raimondi, sua moglie da qualche minuto, ha due amanti. Uno di loro è un ufficiale dello stesso Garibaldi, il tenente Luigi Caroli, l’altro è il marchese Rovelli, cugino della ragazza. Tra l’altro, la vigilia delle nozze, la marchesina ha avuto rapporti intimi con Caroli ed è incinta dello stesso Caroli e quella con lui è una tresca nota a tutti tranne che a Garibaldi. Un bel ginepraio. Ce n’è abbastanza perché il nostro “eroe”, cercando di colpire con un ceffone la fedifraga, dopo averle lanciato contro una sedia, la apostrofasse con un duro: “Siete una puttana”.
“Credevo di essermi sacrificata sposando un eroe, ma siete solamente un brutale soldato”, fu la risposta di lei. La sera stessa, Garibaldi partì per Caprera e cercando, nei mesi successivi, di dimenticare la brutta avventura, si tuffò anima e corpo nell’impresa dei Mille, che iniziò appena quattro mesi dopo ai primi di maggio del 1860. In definitiva l’Unità d’Italia deve qualcosa alla marchesina Raimondi e, soprattutto, i meridionali e i siciliani devono eterna “riconoscenza” alla giovanissima rampolla della famiglia Raimondi per essere stati “liberati” da un marito tradito che, toltosi dalla testa il “peso” (e che peso) di quel matrimonio si dedicò esclusivamente, in nome di Vittorio Emanuele II, alla conquista del Sud.
Ignazio Coppola Il boccaccesco matrimonio di Giuseppe Garibaldi con una minorenne un po’ ‘vivace’…
Foto tratta da La Bottega dei Barbieri