Lo scriviamo ora: il Governo nazionale di Mario Draghi – il “Governo dei migliori” e delle “Transizione ecologica” che piace tanto ai grillini – nei prossimi giorni si dovrà pronunciare su due questioni cruciali: la realizzazione di uno dei campi eolici marini più grandi d’Europa nel cuore del Mediterraneo, al largo delle isole Egadi, e su un’impressionante serie di autorizzazioni per le ricerche e, magari, le coltivazioni di idrocarburi nel Mediterraneo e anche nella terraferma siciliana. Su queste vicende abbiamo già scritto più volte. Oggi scriviamo questo articolo per anticipare che il Governo Draghi – questa è la nostra previsione – dirà sì sia al mega campo eolico, sia alle trivelle petrolifere (che sono già operative nel mare di Gela e Licata). Perché il Governo Draghi dirà sì? Per un motivo semplice: perché la Sicilia è una colonia e perché dei partiti che danno vita al Governo Draghi – PD, Lega, Movimento 5 Stelle, Italia Viva, Liberi e Uguali – della Sicilia, del suo territorio e dei suoi abitanti non gliene può fregare di meno. Il problema di questa gente è come continuare a gabbare i Siciliani, carpendo il loro voto per favorire chi deve venire a speculare sulla Sicilia e sul territorio siciliano. Leggere alienazione culturale prima che politica.
Cominciamo con il campo eolico delle isole Egadi. Chi dice che la follia di 18 milioni di metri quadrati di mare strappato ai pescatori nel nome di una speculazione energetica non interferirà con gli equilibri ecologici delle Egadi è un ottimista. L’impatto di questo mega campo eolico sul mare sarà terribile. Lo ha spiegato molto bene l’europarlamentare siciliano, Ignazio Corrao. E lo ha illustrato anche Giovanni Basciano, che da anni si occupa di pesca e di ambiente. Dà ancora più fastidio la parte, come dire?, “ideologica” di questo progetto tanto caro agli ambientalisti. Vero, le pale eoliche non inquinano l’ambiente (anche se questo è vero fino a un certo punto: 18 milioni di metri cubi di mare pieni di pale eoliche sortiranno effetti devastanti sull’aviofauna: o stiamo scrivendo fesserie, signori ambientalisti?). Ma le energie alternative agli idrocarburi hanno un senso non soltanto se non impattano sull’ambiente, ma anche si materializzano come piccoli impianti diffusi nel territorio: per esempio, gli impianti di energia fotovoltaica nelle abitazioni private, nei capannoni agricoli, artigianali e industriali e via continuando.
Nel caso del mega campo eolico marino al largo delle Egadi, però, siamo davanti ai uno dei più grandi campi eolici del mondo che verrà gestito da un privato! Stanno ‘donando’ 18 milioni di metri quadrati di mare – per la precisione di Mediterraneo – a un privato che darà vita a un monopolio. Il fatto che un monopolio risulterà ‘verde’, che non inquinerà l’ambiente (o quasi) non significa proprio niente: sempre di monopolio si tratta! L’impianto che vogliono realizzare al largo delle Egadi è la rappresentazione plastica del fallimento della sinistra: una sinistra al servizio al grande capitale, che continua a favorire smaccatamente quelli che un tempo si chiamavano “i padroni del vapore”. E di questi “padroni del vapore”, beh, il signor Mario Draghi – che già abbiamo visto in azione nei primi anni ’90 del secolo passato, sempre in mare, sulla nave Britannia – è uno dei degni rappresentanti. L’Italia si è sbarazzata della cultura politica socialista i favore degli ex comunisti e dei nipotini rinnegati di Dossetti: gli effetti si notano, eccome se si notano!
Di più: come ha illustrato Domenico ‘Mimmo’ Macaluso – uno dei più grandi conoscitori dei fondali marini del Mediterraneo – il tratto di mare dove realizzeranno il mega campo per la produzione di energia eolica potrebbe custodire preziosi reperti archeologici di tutte le epoche. “Credo che prima di pensare a un progetto di questa portata – ci ha detto Macaluso in un’intervista dello scorso 22 Aprile – vi sia la necessità improcrastinabile di procedere ad uno studio preventivo dei fondali interessati dalla palificazione per questa mega installazione di pale eoliche. Questo studio deve essere realizzato mediante una scansione di tutta questa grande area, con sonar a scansione laterale e multibeam, per evitare ciò che è successo col ponte Morandi di Agrigento, con un dei suoi piloni piantato in mezzo ad una necropoli. Proprio nelle acque delle Egadi – ha ricordato Macaluso – il compianto professore Sebastiano Tusa ha trovato i resti di una delle battaglie navali più grandi della storia. E’ il tratto di mare dove il 10 marzo del 241 a. C., nel corso della prima guerra punica, si affrontarono in duello epocale Roma e Cartagine. L’area interessata dal progetto eolico non è contigua a questo sito archeologico, ma molto più ad ovest; a maggior ragione questi fondali devono essere preventivamente esplorati”. Che ne pensano di tutto questo gli ambientalisti? Ricordiamo, per completezza d’informazione, che sul campo eolico al largo delle Egadi la Regione siciliana non ha voce in capitolo: è il Governo nazionale che decide. Anche se la Sovrintendenza del mare della Sicilia qualcosa la potrebbe dire. O no?
Andiamo alle trivelle. In questo caso la vice il capitolo non è solo del Governo nazionale, ma anche del Governo regionale. Leggiamo nella pagina Facebook del gruppo parlamentare all’Assemblea regionale siciliana di Attiva Sicilia: “Piano #trivellazioni in #Sicilia: stanno per scadere i termini per l’invio delle osservazioni al piano (Pitesai) che le prevede. Abbiamo presentato una mozione affinché la Regione siciliana, con l’assessorato #Ambiente e #Territorio, si faccia sentire immediatamente e ufficialmente con osservazioni puntuali per scongiurare questo rischio! 𝗜𝗹 𝗣𝗶𝗮𝗻𝗼 𝗽𝗿𝗲𝘀𝗲𝗻𝘁𝗮 𝗱𝗶𝘃𝗲𝗿𝘀𝗲 ‘𝗶𝗻𝗰𝗼𝗻𝗴𝗿𝘂𝗲𝗻𝘇𝗲’. 𝗟𝗲 𝘁𝗿𝗶𝘃𝗲𝗹𝗹𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗮𝘃𝗿𝗲𝗯𝗯𝗲𝗿𝗼 𝗿𝗶𝗽𝗲𝗿𝗰𝘂𝘀𝘀𝗶𝗼𝗻𝗶 𝘁𝗲𝗿𝗿𝗶𝗯𝗶𝗹𝗶 𝘀𝘂𝗹 𝗽𝗶𝗮𝗻𝗼 𝗮𝗺𝗯𝗶𝗲𝗻𝘁𝗮𝗹𝗲 𝗲𝗱 𝗲𝗰𝗼𝗻𝗼𝗺𝗶𝗰𝗼. Non possiamo permetterlo! #StopTrivelle #trivelle #trivellesicilia #NoTriv #attivasicilia #economia #salute #mediterraneo #ecologia”. Le possibili ripercussioni “terribili” le ha illustrare – sempre in un’intervista a I Nuovi Vespri – Domenico Macaluso: “Terremoti e maremoti in Sicilia: dove e perché possono avvenire. Il ruolo di trivelle e fracking“. “Riguardo al fracking- ci ha detto Macaluso – si tratta di una tecnica che ha un effetto devastante sul sottosuolo, in quanto, per fratturare le rocce ed estrarne idrocarburi, ricorre ad iniezione di fluidi ed additivi ad altissima pressione, col rischio di subsidenza del suolo, con la possibilità di innescare terremoti ed inquinamento delle acque sotterranee”.
Poi c’è il problema dei pockmark: “La proficua crociera del 2006 – ha raccontato sempre Macaluso a I Nuovi Vespri – rivelò, alcune miglia a sud-est rispetto al banco di Graham (Ferdinandea), anche una grande struttura circolare, localizzata ai margini di una piattaforma crustale. Una struttura giacente su batimetriche di circa 190 metri talmente estesa (quasi mille metri di diametro) che, al momento della scoperta, fu di difficile interpretazione. Decisiva per la sua identificazione fu una successiva sua esplorazione mediante un ROV, in cui si evidenziò la presenza di fumarole, una delle quali, al centro del grande cratere. Si procedette quindi al prelievo di campioni di gas, grazie al braccio articolato di cui era dotato il ROV: era metano. Il grande cratere, del diametro di circa 900 metri e profondo 50, era un grande pockmark, cioè il cratere che si forma dopo la esplosione di una sacca di metano: eravamo in presenza di un altri fenomeni geologici che nulla hanno a che vedere con i vulcani che eruttano magma, dato che in questi casi i fondali marini eruttano fango ed emettono gas, che in determinate occasioni possono esplodere: si tratta del fenomeno del vulcanesimo sedimentario, che sulla terraferma, in Sicilia, ha dato origine alle Macalube di Aragona. Questo fenomeno, che ad Aragona nel 2014 ha causato la morte di due fratellini, investiti da una esplosione di fango, sott’acqua è ancora più subdolo: la liberazione repentina ed esplosiva di una sacca di gas in mare può essere determinata, oltre che dall’aumento del volume del gas, anche dall’aumento della sua temperatura o da un terremoto”.
Cosa potrebbe succedere in Sicilia lo ha descritto in odo puntuale ragusanews.com: “Se la moratoria alle ricerche petrolifere, in scadenza Febbraio non sarà prorogata, saranno 54 permessi finalizzati alla ricerca di idrocarburi che avranno il via libera in tutta Italia. Nell’elenco, a cui il Ministero dello Sviluppo Economico darà il via libera, in assenza di altri provvedimenti, ci sono anche aree marine siciliane, a poche decine di chilometri da paradisi come le isole di Pantelleria e Favignana, nell’arcipelago delle Egadi, con un impatto inevitabile sulla fauna e la flora marine di un angolo di pianeta che ci invidiano in tutto il mondo. Progetti simili riguardano anche la terra ferma, come si vede cliccando sulla mappa ArcGIS – DGS-UNMIG – Istanze per il conferimento di nuovi permessi di ricerca e istanze per il conferimento di nuove concessioni di coltivazione. Zoomando col mouse scopriamo che, solo nella provincia di Ragusa, sono 5 le domande di ricerca o coltivazione (dove cioè si è già bucato) che scalpitano ai nastri di partenza. Di cui tre in mano all’Eni Mediterranea Idrocarburi: ‘Cinquevie’, che interessa un’area di 71 km2 tra Modica e il capoluogo; ‘Contrada Giardinello’, oltre 380 km2 tra Ragusa, S. Croce Camerina, Vittoria, Comiso, Acate, Chiaromonte Gulfi, Caltagirone e Mazzarrone; e il ‘Piano Lupo’, altri 62 km2 tra Acate, Caltagirone, Gela e Mazzarrone. Gli altri due sono: il giacimento ‘Bonincontro’ della compagnia spagnola Petrex, 32 km2 tra Acate e Vittoria; e l’impianto ‘Case La Rocca’ della società concessionaria Irminio, per altri 80 km2 di territorio ragusano. Finora neanche l’ombra di un piano del Ministero dello Sviluppo economico per regolare e monitorare questa raffica di scavi ed estrazioni in partenza che daranno pure lavoro alla manodopera locale, arricchendo le tasche delle multinazionali, ma rischiano anche di trasformare e deturpare per sempre specchi d’acqua e zone di verde incontaminate, come già accaduto in Basilicata: hai voglia poi a risarcire il territorio piantando campi di lavanda! Mentre l’Europa chiede di ridurre le emissioni di Co2 del 55% entro il 2030, lo Stato italiano supporta con 18 miliardi di euro l’anno le estrazione fossili altamente inquinanti, anziché virare sulle fonti energetiche alternative. E l’inquinamento costa ogni anno al nostro Paese oltre 54mila decessi e 47 miliardi di costi sanitari e sociali”. Per la cronaca, il Ministero dello Sviluppo economico, nel Governo Draghi, è gestito dal leghista Giancarlo Giorgetti. Siamo certi che i leghisti siciliani, già da ora, scateneranno un casino per impedire l’assalto delle trivelle alla Sicilia.
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