Ci vollero cinque anni, uno stato d’assedio, ventiquattro mesi di leggi speciali, oltre 100.000 soldati per avere la meglio sui ribelli nel Sud. Ma quella guerra contadina continuò a far vittime. Qualche anno dopo, infatti, cominciò la grande emigrazione meridionale, su cui Francesco Saverio Nitti avrebbe voluto raccogliere una mappa ragionata. Scrisse proprio Nitti: “Noi mandiamo ogni anno fuori dall’Europa, dal solo Mezzogiorno continentale, un vero esercito di quasi 50.000 persone e i contadini della Basilicata, delle Calabrie, del Cilento, che non chiedono nulla allo Stato, nemmeno bonifiche derisorie, nemmeno consorzi mentitori, nemmeno tariffe di protezione, danno il contingente più largo”. Da briganti a emigranti.
Chi rimase continuò a vivere nella miseria e in condizioni difficili. Lo confermò, vent’anni dopo la rivolta del brigantaggio, il lavoro della Commissione agraria che pubblicò le sue conclusioni nel 1882. La situazione dei “lavoratori della terra” veniva tratteggiata così: “Pane bruno e duro, condito dal sudore della fronte e con la scarsa quantità. E’ questo il cibo ordinario degli agricoltori; una magra minestra allieta il loro desinare nei giorni festivi (…). La tassa sul macinato ebbe effetti funesti”. Ventun anni di Italia unita non avevano dunque cambiato la situazione, nessun intervento era stato deciso per migliorare le condizioni dei contadini. Continuava l’emorragia verso Paesi lontani documentata dalla Commissione parlamentare, che aggiungeva: “L’emigrazione cresce di giorno in giorno da impensierire. La miseria presente e la lusinga di arricchire altrove con mezzi quali che fossero, ne sono la cagione principale. Tende a divenire definitiva, perché non pochi emigrati chiamano le rispettive famiglie in quelle remote regioni”.
Gigi Di Fiore Briganti, pag. 33, 34 – Utet Edizioni.
Articolo tratto da Regno delle Due Sicilie.eu
Foto tratta da Starting Finance