- L’Unione Europea e la Sicilia
- Le responsabilità delle classi dirigenti
- Il ruolo strategico della Sicilia nella prospettiva dell’Italexit
da Luigi Savoca
coordinatore regionale Italexit Sicilia
riceviamo e pubblichiamo
Con un importante intervento sul blog I Nuovi Vespri il direttore Giulio Ambrosetti ha posto con nettezza il tema del rapporto fra le istanze autonomistiche e la proposta economica-politica dell’Italexit. Si tratta di un tema strategico che non è possibile rimuovere e sul quale vorrei esporre alcune sintetiche considerazioni.
L’Unione Europea e la Sicilia
Non è il caso di girarci attorno, basta guardare le statistiche degli ultimi decenni ed il baratro in cui sta precipitando la Sicilia per comprendere che l’Unione Europea è nemica dei siciliani. E, del resto, non potrebbe che essere così, se è vero, come è vero, che la UE nasce da un preciso accordo franco-tedesco la cui prima finalità era ed è quella di smantellare il sistema produttivo italiano. Questo obbiettivo è stato scientificamente perseguito grazie a sfrenate politiche neoliberiste che hanno privatizzato asset industriali pubblici strategici ed hanno aperto la strada allo shopping dei grandi gruppi industriali stranieri. Per il Sud e la Sicilia questo ha significato la fine di una pur limitata stagione di investimenti pubblici per superare il gap infrastrutturale che penalizza le nostre aziende a cui si aggiunge una scellerata politica di distruzione di filiere di importanza decisiva, nella nostra regione, come quella agricola e la pesca. Tutto questo non è che l’inevitabile conseguenza della subordinazione dell’Italia alle politiche mercantilistiche tedesche fondate sulla riduzione dei costi e la flessibilità del lavoro, politiche che se in Italia hanno determinato la precarizzazione infinita del lavoro, in Sicilia hanno sic et simpliciter riattivato il fenomeno dell’emigrazione, giovanile ed in buona parte qualificata. Infine l’annichilimento, in campo geopolitico, del nostro ruolo strategico nel Mediterraneo (esemplare, ma non unico, il caso della Libia) si risolve in un danno enorme che colpisce in particolar modo l’economia siciliana. Nel quadro generale che abbiamo tratteggiato la Sicilia costituisce l’estrema periferia destinata ad una crescente marginalità e desolazione.
Le responsabilità delle classi dirigenti
Ma l’analisi sarebbe del tutto incompleta se non mettessimo in luce le enormi responsabilità delle classi dirigenti, di destra, centro e “sinistra”, che hanno governato negli ultimi trenta anni la nostra Isola. Si tratta di una classe dirigente che ha usato la bandiera dell’autonomismo e del sicilianismo come un comodo paravento dietro cui occultare squallidi mercanteggiamenti affaristici finalizzati a privilegiare i soliti “amici”, mentre in realtà ha svenduto a prezzi stracciati le competenze istituzionali statutarie che pure avremmo potuto far valere con la dovuta forza e determinazione. Una classe dirigente, espressione di un groviglio nefasto di affari ed incapacità burocratica, cui difettano prestigio ed autorevolezza, che ha lasciato sprofondare la Sicilia. essendo del tutto priva di un orizzonte strategico. Una caratteristica, questa, che accomuna tutti i partiti nazionali, che si alternano, in uno squallido gioco delle parti, fra maggioranza ed opposizione. Superfluo dire del flop assoluto del Movimento 5 Stelle e della finta ispirazione “sovranista” della Lega, che per i siciliani costituisce una vera e propria truffa alla quale si presta il politicante di turno in cerca di poltrone.
Il ruolo strategico della Sicilia nella prospettiva dell’Italexit
Premessa questa analisi, perché la Sicilia dovrebbe fare propria la prospettiva strategica dell’Italexit? Provo ad indicare in maniera molto sintetica alcune ragioni.
– Un’Italia fuori dalla UE potrebbe finalmente riacquistare pienamente la propria naturale vocazione mediterranea, quella vocazione che ha fatto grande l’Italia della Prima Repubblica. La Sicilia diventerebbe un avamposto strategico essenziale nel medioceano mediterraneo, snodo centrale dei rapporti fra Asia, Africa ed Europa, con quali implicazioni in tema di sviluppo infrastrutturale (porti, ferrovie, strade) è facile immaginare.
– Un’Italia fuori dalla UE sarebbe in condizione di difendere i nostri interessi strategici nei rapporti con i Paesi confinanti via mare, quegli interessi che oggi sono conculcati da una UE guidata da Paesi a noi ostili.
– L’Italexit ridarebbe competitività alle nostre merci oberate da una moneta sovradimensionata, nell’interesse della Germania, rispetto alla nostra economia reale.
– Infine l’Italia fuori dalla UE potrebbe svolgere una politica attiva che punti sul made in Italy il cui fulcro essenziale da quello “stile di vita mediterraneo”, aborrito dalle grandi multinazionali, intriso di cultura, tradizione, ambiente, economia circolare, qualità ambientale, che costituisce la risorsa che ci fa essere unici nel mondo.
Un patto chiaro e trasparente tra forze autonomiste ed un partito nazionale, fondato su un programma chiaro e preciso, costituisce l’unica realistica speranza per il futuro della Sicilia. Pensare di agire per rivendicare un’immediata indipendenza oltre che del tutto irrealistico costituisce una falsa prospettiva, in quanto nei fatti una teorica indipendenza, per come si configura la situazione odierna, oltre a favorire ulteriormente l’abbraccio mortale delle mafie, ci esporrebbe ad essere colonia di potenti forze straniere non più condizionate dall’esistenza di uno Stato, per quanto malandato ed inefficiente esso sia, né del resto la Regione siciliana in quanto istituzione costituisce un esempio incoraggiante. Quindi liberiamoci della gabbia europea, smantelliamo il sistema di potere politico-burocratico che da decenni governa la nostra bella terra, sviluppiamo il nostro territorio quale laboratorio di avanguardia di un’Italia a trazione mediterranea e solo allora potremo veramente immaginare una Sicilia che eserciti appieno il proprio diritto all’autodeterminazione. Il tempo è ora, domani potrebbe essere, anzi sarebbe, troppo tardi.
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