Quando, per l’avanzata sull’Aspromonte dei garibaldini fermati dall’esercito italiano, nel 1862 fu dichiarato lo stato d’assedio nell’Italia meridionale, la repressione arbitraria divenne regola e la vita dei contadini armati cominciò a valere ancor più poco. Una situazione accettata e incoraggiata dalle classi dirigenti che ricoprivano cariche pubbliche al Sud. Come il prefetto di Salerno, Vittorio Zoppi piemontese della provincia di Alessandria, che subito dopo lo scontro all’Aspromonte scriveva: “Coi mezzi legali non si otterrà mai nulla, vi è troppa corruzione nelle masse, troppa fiacchezza nei tribunali e troppa gente di mal’affare. Le garanzie costituzionali disgraziatamente non giovano qui che alla gente di mal’affare. La convinzione che qui abbisognano mezzi eccezionali è così profonda in me e nella onesta gente del paese”. Delle stesse convinzioni erano molti altri prefetti del Sud, come Nicola De Luca ad Avellino.
Quei metodi repressivi, in violazione dei limiti costituzionali, lasciavano i poveri diavoli del Sud in balia dell’umore dei militari, che non dovevano dar conto alla magistratura civile. Nel suo diario sugli anni 1860 – 1861, il suddiacono Nicola Nola di Venafro nel Molise ricorda molte fucilazioni a freddo che sembravano veri e propri rastrellamenti di tempi recenti. Come il 23 luglio 1861 quando, dopo una spiata, furono arrestati “tre briganti di Letino da molti soldati piemontesi”. Consegnarono le armi senza alcuna resistenza, poi, “senza giudizio, senza avvisarli, senza dargli gli ultimi conforti della propria religione che non si negano neppure ai Maumettani, furono accompagnati da una ventina e più di soldati, senza dirgli niente, presero la strada che porta a Napoli”. Superata la zona di Pontenuovo, ai tre indifesi e impauriti fu ordinato di dirigersi in una stradina isolata sulla destra. I tre capirono e tentarono una resistenza senza speranza. Furono picchiati con violenza e costretti a prendere il sentiero indicato. Andavano alla morte, nel silenzio, senza difesa, senza poterlo urlare. “Quando giunsero poco distante dalla strada, e propriamente sul terreno dello Speziale Atella, i piemontesi fecero un fuoco di fila, colpi che lugubremente rimbombarono per la città e pei monti.” Uno cercò di ripararsi il volto, ma le fucilate gli trafissero la mano. Morirono tutti e i soldati “a sangue freddo, come se niente fosse stato, se ne tornarono al Quartiere, lasciando i cadaveri nel luogo dove caddero, al pasto di cani e uccelli”. Una vera e propria esecuzione a freddo. Scene in presa diretta, testimonianza di chi visse quei giorni e appuntò ogni cosa sul suo diario non destinato alla pubblicazione, scovato dai pronipoti nell’archivio di famiglia. Il Sud come un grande Far West, una prateria dell’arbitrio di uno Stato conquistatore e prevaricatore.
Gigi Di Fiore Briganti, Utet Edizioni, pag. 22, 23.
Tratto da Regno delle Due Sicilie.eu