E’ in corso la 12esima, enorme eruzione esplosiva dell’Etna. Come le altre, cenere e lapilli finiranno per ricoprire strade e piazze di numerosi Comuni oltre che, naturalmente, campi e colture. I Comuni devono sostenere il costo dello smaltimento, ma non hanno le risorse. E’ stato dunque richiesto lo stato di emergenza per attingere a fondi regionali e statali. Noi abbiamo chiesto invece al chimico del Cnr Mario Pagliaro se di questa cenere vulcanica non è possibile fare qualcosa di diverso e migliore che mandarla in discarica al costo di centinaia di euro a tonnellata. Ecco cosa ci ha risposto.
Ma veramente nel 2021 dobbiamo pensare che non esistano applicazioni per il materiale
“Certo che esistono. Ma, al solito, sono poco conosciute. E’ stata proprio l’Università di Catania, con la collega Loredana Contrafatto, a dimostrare e pubblicare già nel 2017 come la cenere vulcanica dell’Etna recuperata dalle operazioni di pulizia delle strade può essere usata con successo nella produzione di malte e calcestruzzo di ottima qualità, a patto di pulire la cenere al fine di rimuovere le sostanze organiche che si accumulano rapidamente sulla cenere a contatto col terreno ma anche su quella che si deposita su strade e tetti, e di usare particelle di cenere di dimensioni inferiori a mezzo millimetro. In pratica, è sufficiente polverizzare le particelle di cenere vulcanica più grosse e aggiungerle alle miscele con cui si producono malte e calcestruzzo. Le ceneri vulcaniche si comportano come le ‘pozzolane’, ovvero reagiscono con la calce, formando un gel entro il quale si depositano piccoli cristalli che poi ne determina l’indurimento, mentre alla superficie si forma uno strato duro e resistente di carbonato di calcio. Lo scoprirono i Romani producendo il primo cemento. Partivano da un conglomerato formato da cenere vulcanica, calce, acqua e sedimenti di roccia vulcanica. Il Pantheon ha quasi 2mila anni, e sembra costruito ieri. Lo stesso accadeva per i porti costruiti dai Romani di cui scriveva Plinio il Vecchio pochi anni dopo Cristo nella celebre Naturalis Historia“.
Cioè lei ci sta dicendo che i Romani usavano la cenere vulcanica per fare il cemento e realizzare acquedotti e costruzioni di ogni tipo, e noi nel 2021 siamo ancora qui a cercare dove portare la cenere dell’Etna in discarica?
“Non deve meravigliarsi. Per oltre un secolo, l’abbondanza e il basso costo dei combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale), ha fatto dimenticare alle moderne società industriali molte grandi conoscenze del passato. I Romani prima ottenevano la calce viva cuocendo le pietre calcaree. Poi, aggiungevano alla calce l’acqua. Quindi, mescolavano l’impasto con la cenere vulcanica abbondante tanto sul Vesuvio che in Sicilia. Vitruvio ci ha lasciato scritto che, per ottenere la malta, mescolavano tre parti di cenere vulcanica e una parte di calce. A quel punto, aggiungendo qualche inerte sminuzzato come i pezzi di mattoni o di tufo, il cemento era pronto”.
Ci conferma che la cenere vulcanica è un buon fertilizzante?
“Certo che lo è. Cenere e lapilli sono materiali vetrosi, composti essenzialmente per metà da silice ma anche da ossidi di ferro, alluminio, calcio, manganese, fosforo, potassio e zinco. Sono quasi tutti elementi preziosi per le piante che hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo della vegetazione. Quando nella primavera del 2010 l’eruzione esplosiva del vulcano Eyjafjallajöku in Islanda portò al blocco del traffico aereo sul Nord Atlantico per molti giorni, il risultato osservato dai contadini islandesi fu un sorprendente incremento del raccolto. Lo stesso era avvenuto in America dopo l’esplosione del vulcano S. Elena nello stato di Washington nel 1980, ed avviene regolarmente in Sicilia o in Campania dove sulle pendici dell’Etna o del Vesuvio sono fiorenti da millenni le attività agricole, oggi persino nelle serre. Due colleghi americani si fecero inviare le ceneri eruttive tanto del vulcano Eyjafjallajökull del 2010 che di un altro vulcano islandese del 2004 testandole come fertilizzanti per la crescita del grano, che come lei sa è un’erba. Dopo sole 6 settimane di coltura partendo dai semi in condizioni controllate in presenza di torba e innaffiamento, il grano fertilizzato con la cenere vulcanica era comparso più rapidamente e l’erba era molto più sana di quella ottenuta con un suolo in cui al posto della cenere vulcanica si era usata sabbia di quarzo, cioè silice quasi pura”.
E’ possibile, nel 2021, che di tutto questo la Regione siciliana non sappia nulla, e che ci si limiti a dare i soldi solo per buttare in discarica tutta questa ricchezza?
“Ho sentito dire pochi giorni fa in televisione da Salvo Cocina, che è un grande tecnico della Regione siciliana, che le ceneri verranno accumulate in attesa di essere riutilizzate. Sono anche state condotte iniziative nel recente passato, sia nel Parlamento regionale che in quello nazionale, per cambiare lo stato giuridico della cenere vulcanica da rifiuto a materia prima. Se poi mi chiede perché queste conoscenze siano poche diffuse anche fra i tecnici, lo stesso vale per buona parte delle nuove tecnologie dell’energia e per quelle della bioeconomia. Ed è esattamente per questo motivo che ho collaborato con un deputato eletto a Catania – Santi Cappellani – a scrivere un disegno di legge per la promozione della bioeconomia e delle nuove tecnologia dell’energia necessarie alla transizione energetica. Il provvedimento, che è stato assegnata lo scorso Ottobre alle Commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera, prevede la fondazione di un istituto comunitario di ricerca e formazione nel campo della bioeconomia, dell’economia circolare e delle nuove tecnologie dell’energia che avrebbe la sua sede più felice proprio in Sicilia”.