Palermo, ore 19,00, quartiere popolare della Zisa. Comminiamo a piedi in una via piuttosto stretta. Alle spalle cominciamo ad avvertire una musica, anzi le parole di una canzone napoletana. Man mano che passano i secondi, avvertiamo le parole e la musica sempre più forte. Proviene da un’automobile con i finestrini aperti. Appena l’automobile è vicina a noi ci accorgiamo che due ragazzi – avranno sì e no vent’anni, uno dei due seduto alla destra di chi guida anche meno – che cantano. Hanno indubbiamente una bella voce. la cosa che ci colpisce è che parlano il napoletano come se fossero napoletani. Il caso vuole che accostino a una decina di metri da noi. Uno dei due scende dall’auto. La curiosità è troppo forte. Chiediamo: “Scusi, lei è napoletano?”. La nostra domanda è accolta con un sorriso: “Ma quannu mai! ‘I Paliemmo, semu“. “Però – osserviamo – il napoletano lo conoscete monto bene”. “U sapi com’è? Unn’abitamu i canzuni napulitani i cantanu tutti. E’ di quannu erami nichi chi sintemu i canzuni napulotani. E senti oggi e senti rimani, fuinisci chi n’insignamu. E i cantamu“.
Ancora oggi – magari non in tempo di Covid – quando ancora il virus non era entrato nelle nostre vite, stravolgendo le nostre abitudini, camminando per i quartieri popolari di Palermo è normale incontrare manifesti che annunciano feste popolari con cantanti napoletani o che cantano rigorosamente in lingua napoletana. Le immagini di questi cantanti, o di queste cantanti – di solito immortalati o immortalate sullo sfondo dell’azzurro del mare – ci accompagnano ormai da decenni. E il fatto che da taluni vengano quasi apostrofate in negativo rende il fenomeno ancora più interessante storicamente e sociologicamente. Spesso è dalle piccole cose – come il causale incontro di oggi – che vengono fuori riflessioni sulla vita: in questo caso, su un aspetto della vita dei palermitani dei quartieri popolari (che, a nostro modesto giudizio, sono i quartieri più belli e più veri di Palermo): il legame del popolo palermitano con Napoli.
Da anni ci si interroga su questo rapporto. E, grosso modo, a partire dagli anni in cui è iniziato il lungo lavoro di riappropriazione della nostra storia, – storia di meridionali e siciliani – va in scena la polemica tra chi pensa che il rapporto tra la Sicilia e il Borbone di Napoli sia stato un incidente della storia e chi, invece, pur riconoscendo che la nostra Isola ha una storia che comincia molto prima della Sicilia borbonica, pensa che un legame, anche di un certo peso, tra la Sicilia e Napoli (e in particolare tra Napoli e Palermo) si sia cementato. Se ancora oggi, tra le giovani generazioni di palermitani dei quartieri popolari la lingua napoletana è ancora cantata e, magari, anche parlata, ebbene, un motivo ci sarà. E, senza bisogno di scomodare studiosi, non è difficile intuire e verificare che certi modi di dire e di fare di Napoli sono arrivati in Sicilia – e in particolare a Palermo – nelle fasce di popolazione dove la tradizione, a cominciare dalla lingua, non è stata completamente alterata dall’appiattimento della televisione.
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