Da tempo si sa che il Veneto, nella battaglia contro il SARS-COV-2, è una Regione ben attrezzata. E non c’è da stupirsi se ha identificato 17 gruppi genetici diversi. Le indagini sono stata effettuate nella prima metà di Febbraio. Sotto osservazione 296 campioni ricevuti da 12 laboratori distribuiti in tutto il territorio regionale. I campioni sono stati prelevati da pazienti colpiti da Sars-CoV-2 che si sono infettati tra il 25 Gennaio e il 15 Febbraio. Come racconta il giornale quotidianosanità.it, quattro delle varianti identificate in questa Regione “destano preoccupazione” e vanno “monitorate” con attenzione. Così la pensano al Centro Europeo per la prevenzione e controllo delle malattie. L’Istituto Zooprofilattico del Veneto sta sequenziando il Covid. Tra le diverse varianti, leggiamo sempre su quotidianosanità.it, “si segnala in particolare l’identificazione dalla seconda metà di Dicembre 2020 la variante VOC-202012/01 (B.1.1.7) anche detta variante inglese che si caratterizza per una maggiore trasmissibilità ed una possibile maggiore virulenza. Si evidenzia inoltre la recente (12 Febbraio) identificazione della variante P.1 o brasiliana in Veneto. Tale variante presenta mutazioni che ne aumentano la trasmissibilità e riducono l’efficacia di neutralizzazione da parte di alcuni anticorpi”.
Insomma, in Veneto è presente sia la variante inglese, sia la variante brasiliana. Considerato che “riducono l’efficacia di neutralizzazione da parte di alcuni anticorpi”, la domanda è: funzionano gli attuali vaccini contro queste due varianti? La risposta, forse, sta nell’analisi della variante brasiliana: “L’identificazione della variante brasiliana in cittadini residenti nel territorio regionale senza viaggi pregressi viene considerata preoccupante, visto anche il possibile impatto delle mutazioni tipiche della variante sull’efficacia della profilassi vaccinale (necessari titoli anticorpali post vaccinazione elevati per la protezione)”. Anche se il linguaggio è molto tecnico, significa che i vaccini potrebbe non essere efficaci. Nell’articolo c’è anche un passaggio ancora più preoccupante: “Data infine l’identificazione di numerosi clusters di infezione non ascrivibili alle varianti inglese, brasiliana o sudafricana, si ritiene prioritario continuare ad effettuare la caratterizzazione del genoma completo dei virus identificati al fine di poter riconoscere l’emergere di nuove mutazioni che possano avere un impatto sulla trasmissibilità, la virulenza e l’immunogenicità dei virus”.