- Riflessione di un ex studente dell’Università di Catania
- La rimodulazione del Logo dell’Università voluta da Alfonso il Magnanimo
- Mortificata l’identità della città
- Lo stemma è Siciliano, non Aragonese, ed è particolarmente legato alla città di Catania!
- Aragona è il cognome del casato del Regno di Sicilia indipendente
- Non eliminiamo l’ultima testimonianza vivente del Regno di Sicilia
di Massimo Costa
Riflessione di un ex studente dell’Università di Catania
Magnifico Rettore,
chi Le scrive è un collega dell’Università di Palermo ed ex studente dell’Università degli studi di Catania. Mi presento, sono Massimo Costa, ordinario di Ragioneria generale ed applicata al Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali e Statistiche dell’Università di Palermo, e – fra le altre cose – accademico della Società Italiana di Storia della Ragioneria, di cui ho avuto l’onore di organizzare proprio nel 2020 il XV Convegno Biennale. La Storia della Ragioneria, non tragga in inganno il nome, non è solo storia delle rilevazioni contabili, ma – tra le altre cose – storia delle istituzioni attraverso i loro documenti amministrativi e contabili e, al contempo, storia degli impatti politici, economici, e sociali sulle dinamiche amministrative aziendali. Una storia settoriale tra quelle che vantano una maggiore tradizione e continuità di studi, in proficuo rapporto con la storiografia generale. Aggiungo che sono molto legato all’Università degli studi di Catania, perché dopo essermi laureato in Bocconi e specializzato alla Luiss, è proprio a Catania che ho fatto gli unici studi in Sicilia, frequentando il Dottorato di Ricerca in Economia aziendale coordinato dal grande Prof. Carmelo Buttà, dal 1994 al 1997. Gli studiosi usciti da quel dottorato, ormai storico, oggi occupano tutti posti di grande rilievo, non solo nel mondo universitario, in Italia e all’estero, ma la comune formazione di quegli anni ci lega sempre al brand che ci ha visto dottorare. E vengo al tema.
La rimodulazione del Logo dell’Università voluta da Alfonso il Magnanimo
Apprendo, con vero sgomento, della rimodulazione estremamente superficiale che si prospetta per il Logo della “nostra” (mi lasci dire così) amata Università. Non c’è nulla di male a fare un restyling del logo (nella foto), che lo renda più efficace comunicativamente e più moderno; del resto Unipa lo ha fatto con successo da anni, sostituendo al logo storico, ex sigillo di ceralacca di epoca napoleonica, bello, carico di storia, ma poco leggibile, quello attuale, che – senza perdere alcun elemento essenziale – lo ha veicolato secondo una grafica moderna ed efficace. Non voglio neanche mettere in stato d’accusa i creativi che l’hanno prodotto. Essi non fanno che realizzare quanto chiesto dalla committente, che sicuramente, senza volerlo, sarà stata particolarmente infelice nella specificazione del lavoro da fare.
Si rischia di mortificare l’identità della città
Il nuovo logo, infatti, perde alcuni elementi semantici essenziali del logo attuale, mortificando il cuore dell’identità dell’Università, della città, e della Sicilia tutta. Vede, caro collega, sarà stato certamente mal consigliato. Ma è risaputo, e qui vesto un po’ i panni dell’aziendalista, che il brand delle istituzioni non è solo un fatto culturale, o storico. Esso è a tutti gli effetti un asset patrimoniale. Nel mondo globalizzato, in cui la competizione tra le istituzioni culturali è ad ogni livello, l’identità di un’istituzione, nel bene e nel male, è quanto contribuisce a dare quel valore aggiunto che nessuna altra istituzione può avere. Nessun’altra università al mondo è stata istituita nel 1434 da Alfonso il Magnanimo come università “nazionale” dei Siciliani. Il beneficio in termini di immagine di un logo unico e riconoscibile, carico di una storia irripetibile, si traduce anche in ritorno economico per la comunità nella quale l’istituzione è inserita, per vie che qui non mette neanche conto richiamare. E se questo è vero per qualunque sorte di azienda, lo è molto di più per quelle relative agli enti pubblici, i cui brand non appartengono solo alle medesime, ma sono appannaggio di un’intera comunità, dei laureati innanzitutto, ma anche della Città, e della Terra (lato sensu) in cui l’istituzione è inserita.
Lo stemma è Siciliano, non Aragonese, ed è particolarmente legato alla città di Catania!
Nel merito, la “decapitazione” del “Liotro”, la scomparsa della “A” di Sant’Agata, ma soprattutto del glorioso stemma del Regno di Sicilia, equivalgono ad un declassamento della stessa Università degli studi di Catania; declassamento che l’Ateneo non merita, Ateneo che invece tanto avrebbe bisogno di veder tutelata la propria immagine di questi tempi. Sulla cancellazione di Sant’Agata non voglio spendere alcuna altra parola, se non per dire che vederla solo come “patrona cristiana” (e quindi non inclusiva?) sarebbe miope e riduttivo. Sant’Agata ha per l’identità di Catania un valore antropologico immenso, ed è quasi un sacrilegio toglierle il posto che merita nell’identità “cittadina” che intorno ad essa si è formata: “CITTADINI….”, motto civico questo, molto ma molto prima che religioso! Quello stemma, poi, NON È, come superficialmente riportato nelle pagine della stessa Università, lo “Stemma d’Aragona”, quasi si trattasse di una dominazione straniera. No! Questo è un clamoroso errore storiografico! Ed è bene che la pagina di Unict sia rapidamente emendata; non mancano del resto gli storici di valore nel nostro Ateneo. Quello stemma è Siciliano, non Aragonese, ed è particolarmente legato alla città di Catania.
Aragona è il cognome del casato del Regno di Sicilia indipendente
“Aragona” non è infatti solo il nome di nota regione della Spagna e già una volta Regno, ma anche – IN QUESTO CASO – il cognome del casato del Regno di Sicilia indipendente. Quello stemma fu ideato dal Nostro re Federico III, l’eroe della Guerra del Vespro, nel Parlamento del 1296, e donato poi al Regno di Sicilia, di cui continuò ad essere lo stemma e bandiera ufficiale dal 1296 al 1816, anno in cui la Sicilia fu annessa al Regno delle Due Sicilie. Esso non fu MAI simbolo o stemma dell’Aragona in senso proprio. E dove si tenne quel famoso Parlamento, in cui fu acclamato Federico III, creata la prima monarchia costituzionale d’Europa, e innalzato questo vessillo? Al Castello Ursino, cuore politico della Catania Medievale! Quel Parlamento dichiarò guerra all’Aragona, allora alleata di Angioini e Papalini, e con quell’emblema la Sicilia resistette da sola agli attacchi di tre nazioni congiunte (Spagna, Italia e Francia), conquistando finalmente la propria libertà con la Pace di Caltabellotta (1302, la faccio breve). Quando Alfonso il Magnanimo, molto tempo dopo, decise che era arrivato per i Siciliani il momento di avere una loro università, lo fece da Re di Sicilia (nella quale del resto al momento risiedeva) e non da Re d’Aragona, pur avendo riunito in sé le corone.
Non eliminiamo l’ultima testimonianza vivente del Regno di Sicilia
Da allora quell’emblema e Catania sono unite da un vincolo speciale. Messo nel simbolo dell’Università sta a testimoniare che Unict non è SOLO un’università catanese, ma è ANCHE a servizio dell’intera Sicilia. È peraltro l’ultima testimonianza vivente del Regno di Sicilia. È proprio il caso di cestinarla? Ce li immaginiamo i Maltesi, che sui “Cavalieri” hanno fatto un vero e proprio business, buttare a mare la loro celeberrima Croce? Non compiamo questo delitto. Anche sull’elefante avrei qualcosa da ridire, ma non vorrei sembrasse che infierisco. Mi limito a dire che siamo tra la squadra di football americano, un’anonima marca commerciale, il logo di una palestra, ovvero il recto delle monete che l’Italia faceva per la Somalia quando era in amministrazione fiduciaria negli anni ’50. L’elefante del Mago Eliodoro non c’è più, o, appunto, è solo decapitato. Mi perdoni per questa lunga lettera, ma è la passione di ex studente e di siciliano che mi muove a farlo. Sono certo che avrà la saggezza di fare un passo indietro su quello che sarebbe un vero errore ed un danno per Catania e per la Sicilia tutta.
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