di Nota Diplomatica
Quella qui sopra è un’iscrizione del 10° secolo nell’alfabeto runico. Appare sulla Grande Pietra di Jelling, nel nord della Danimarca. L’opera, commissionata dal Re Aroldo Dente Azzurro – che mille anni dopo dette il nome al protocollo informatico “Blue Tooth” – è commemorativa. Traslitterata e tradotta in italiano, recita: “Re Aroldo ordinò che fosse fatto questo monumento in onore di Gorm, suo padre, e di Thyra, sua madre, quell’Aroldo che regnò sull’intera Danimarca e Norvegia e che convertì i Danesi al Cristianesimo.” Il runico non era una lingua ma piuttosto un sistema di scrittura usato dalle antiche popolazioni germaniche del Nord come i Norreni, Angli, Juti, Goti ed altri ancora. Chiunque abbia mai tentato di scalpellare una curva liscia nella pietra apprezzerà la semplicità delle linee di cui è perlopiù composto. L’alfabeto, chiamato dagli studiosi “fuþark” (dove il segno þ corrisponde al suono th in inglese), prende nome dalla sequenza dei primi 6 segni che lo compongono (Fehu, Uruz, Þurisaz, Ansuz, Raido, Kaunan). Le sue origini non sono conosciute, anche se c’è chi lo mette in rapporto con l’alfabeto etrusco e dunque, prima ancora, con il greco italico.
In Italia le uniche iscrizioni runiche risalgono al tempo dei normanni e si trovano nel Sud, in particolare nel Santuario di San Michele Arcangelo a Monte Sant’Angelo, in provincia di Foggia. Un’iscrizione runica è presente anche a Venezia, su uno dei leoni di marmo dell’Arsenale provenienti dalla Grecia. In effetti, per via della sua semplicità nella scrittura, si prestava molto ai graffiti lasciati in giro per l’Europa da invasori e mercenari del Nord. Fuþark, una volta ammirata per la “schiettezza barbarica”, catturò l’attenzione dei grafici del Terzo Reich, provocando un crollo della sua popolarità. Comunque, volendo, dei font di caratteri runici sono disponibili (gratuitamente) qui.