Sono in tanti, in queste ore, a chiedersi il perché i grillini – o meglio, coloro i quali pensano di essere i leader assoluti del Movimento 5 Stelle – si sono esposti con Mario Draghi, che dovrebbe dare vita a un nuovo Governo, per poi annunciare che il sì allo stesso Governo dovrà essere approvato dalla piattaforma Rousseau. A parte che non è la prima volta che succede una cosa del genere, va anche detto che, questa volta, la situazione è più complessa. Era nell’aria il ricorso alla base, peraltro molto esigua, del Movimento? Agli osservatori di politica non sfugge che, soprattutto nell’ultimo anno, di decisioni importanti i parlamentari grillini ne hanno adottate tante senza sentire il bisogno di ricorrere alla piattaforma Rousseau. E allora perché solo adesso?
Visto dall’esterno, sembra una cosa già vista. I grillini che prima dicono una cosa e poi arriva da Genova Beppe Grillo e gli fa cambiare idea. Tutti in fila per tre, come in una celebre canzone di Bennato. Ma le cose stanno proprio così? A nostro modesto avviso, non possono essere escluse sorprese. Perché provando ad andare al di là di ciò che appare, la sensazione che viene fuori è che il dissenso verso l’ennesima genuflessione chiesta ai parlamentari grillini sia molto più profondo di quanto sembri. Potrebbe finire com’è quasi sempre finita: alla fine la piattaforma avalla le scelte di Beppe Grillo e Luigi Di Maio e via continuando verso la fine del Movimento, magari con la fusione nel PD (un finale da noi ipotizzato nel Settembre del 2019). Però non si può escludere un altro finale: per esempio, un bel no al Governo Draghi dalla piattaforma. Che succederebbe, a questo punto? Intanto bisognerebbe vedere quanti parlamentari si professeranno contrari al Governo Draghi e quanti proseguirebbero a governare dopo due esperienze che definire disastrose è un eufemismo. Ribadiamo: non sappiamo come si distribuirebbero i parlamentari fautori del no a Draghi e i fautori del sì al Governo Draghi. Se le cose dovessero andare così, è chiaro che i governativi si ritroverebbero fuori dal Movimento.
A questo punto il Movimento potrebbe finire nella mani di Alessandro Di Battista, che avrebbe il tempo, dall’opposizione, di riorganizzarlo e di prepararsi alle elezioni, con la speranza quanto meno di frenare l’emorragia di consensi che due Governi sbagliati hanno provocato. Del resto, la posizione assunta in questi giorni da Di Battista, con interventi molto calibrati su Facebook, è piuttosto chiara. Quanto ai grillini governativi, beh, le strade potrebbero essere due: o l’adesione al PD, o la creazione di un nuovo soggetto politico sotto la guida di Giuseppe Conte: cosa, questa, che non dovrebbe fare piacere al PD, che si ritroverebbe contro i grillini vecchia maniera guidati da Di Battista e il partito moderato di Conte. Più – cosa che non ci sembra molto gettonata – un partito di sinistra, che non sarà più rappresentato da Rifondazione comunista o Liberi Uguali, ma da Potere al Popolo, formazione che, lavorando sotto traccia, si è organizzata e che potrebbe risultare la sorpresa alle prossime elezioni, soprattutto se, come sembra, la vecchia politica proverà ad auto-tutelarsi con una legge elettorale proporzionale.
La domanda è: chi appoggerebbe Draghi? I partiti più fedeli ai poteri bancari e finanziari che Draghi personifica sono il PD, Forza Italia e Italia Viva di Renzi, tre formazioni politiche espressione della stessa destra economica e finanziaria europea. Poi la Lega di Matteo Salvini, costretta a questo capitombolo dal Nord, Lombardia a Veneto in testa. Poi ci dovrebbero essere i grillini governativi (e sarà interessante capire quale sarà, in caso di scissione, il numero di parlamentari grillini disposti ad ‘immolarsi’ per Draghi). Quindi i transfughi raccolti qua e là nel gruppo misto. All’opposizione andrebbero Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, i grillini rinsaviti e i parlamentari del gruppo misto che non finiranno nella rete di Draghi.
Basterà questo per governare? Dovrebbe bastare. Con un ‘piccolo’ problema per Salvini, che diventerebbe il ‘prigioniero politico’ della situazione. E sarebbe tanto più prigioniero quanto più i voti della Lega risulterebbero determinanti. In questa fase non è facile capire – soprattutto al Senato – quale sarebbe il margine di manovra del Governo Draghi. Perché se è vero che il Governo pescherebbe tra i senatori del gruppo misto – che sono circa una trentina – è anche vero che la maggioranza di questi senatori del gruppo misto è rappresentata da ex grillini. Questi ultimi – sempre in caso di scissione in casa grillina – restando nell’area governativa non avrebbero molte possibilità di essere rieletti; mentre restando nel Movimento 5 Stelle rinsavito a guida Di Battista avrebbero di certo molte possibilità in più di tornare in Parlamento.
In tutto questo, con un centrodestra diviso che oggi governa più della metà delle Regioni italiane, si andrà al voto sia in alcune Regioni, sia in tantissimi Comuni. Con Fratelli d’Italia che strapperà a voti sia alla Lega, sia a Forza Italia; con i grillini governativi che dovrebbero organizzarsi con Conte o sparire; con il Movimento 5 Stelle di Di Battista che riprenderebbe piede; con il Governo Draghi che verrebbe strattonato di qua e di là. Con l’arrivo dell’Estate ci sarà l’invasione di migranti che porterà altri voti alle opposizioni, Fratelli d’Italia in testa; mentre a Luglio scatterà il ‘Semestre bianco’, ovvero l’impossibilità di sciogliere le Camere prima dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica prevista per Gennaio del prossimo anno. Arriverà, il Governo Draghi, a Luglio?
Dimenticavamo: il Sud e la Sicilia. Che conteranno sempre meno, a meno che non si ribellino.
Foto tratta da MSN
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