Con tutta la buona volontà del caso, non si può non sorridere amaramente osservando il quadro politico nazionale. Noi, la sera della votazione al Senato – appena due giorni fa – osservando i numeri, abbiamo ipotizzato, dandola per scontata, la crisi di Governo. E lo confermiamo: un Governo che in uno dei due rami del Parlamento, in questo caso al Senato, racimola 156 voti, con tre senatori a vita e due senatori che votano in favore dell’esecutivo in ‘zona Cesarini’ (quelle convinzioni che ‘maturano’ all’ultimo minuto…) non può governare. Non può governare perché i ‘numeri’ hanno dimostrato che al Senato il Governo non ha una maggioranza. Punto. Al Senato il minimo richiesto è quota 161, senza i senatori a vita. Leggere sui giornali che il Presidente del Consiglio “lavora per allargare la maggioranza” è semplicemente allucinante. Perché allucinante? Perché non è normale ipotizzare di trovare una nuova maggioranza convincendo i senatori che qualche giorno hanno votato contro il Governo a votare, al prossimo, ‘giro’ in favore del Governo. Questo, in politica, da Agostino Depretis in poi, si chiama trasformismo.
In questi giorni abbiamo letto di “responsabili”, di “costruttori” e, nelle ultime ore, di “disagio diffuso”. E, forse, questa è la formula corretta: dove il “disagio diffuso”, però, non è la voglia – vera o presunta – di alcuni senatori di cambiare casacca, per passare dai banchi dell’opposizione ai banchi del Governo: il vero “disagio diffuso” è legato, semmai, al sentimento che provano le persone normali nel vedere un Governo che, per sopravvivere, cerca di convincere a portare dalla propria parte – perché di questo alla fine si tratta – senatori di Forza Italia, dell’UDC e, magari, ex grillini. Non sono scene nuove, in Italia. Abbiamo ricordato Depretis, che sulla ‘materia’ ha fatto scuola. Ma ci sono stati altri periodi storici meno lontani: come dimenticare, ad esempio, le accuse mosse a Berlusconi?
Che fare, allora? Risposta semplice: prendere atto che si è chiusa una fase politica, peraltro non esaltante. Giuseppe Conte ne prenda atto e vada a casa. Questo non significa andare al voto: al contrario, significa pensare a un Governo sostenuto da una maggioranza di salute pubblica (in questo momento di emergenza sanitaria più che mai utile), presieduto da una personalità autorevole, al di sopra delle parti. Una soluzione che dovrebbe tenere separate, fin dov’è possibile, l’esigenza di assicurare un Governo all’Italia in un momento storico difficilissimo dalle legittime divisioni tra le varie forze politiche.
Pensare – perché alla fine di questo si tratta – di mettere su una nuova maggioranza raccogliendo senatori di qua e di là, per poi utilizzare il Governo non per governare, per per eleggere un nuovo Presidente della Repubblica, magari di parte, sarebbe un errore politico gravissimo. Questo perché in Parlamento si aprirebbe una stagione conflittuale che non farebbe altro che peggiorare sia la gestione sanitaria, fino ad oggi non eccelsa, sia la situazione economica, destinata comunque a peggiorare.